Quanto le nuove generazioni diano per acquisito e consolidato l’attuale modo di vivere, come se fosse stato sempre così
di Paola Bortolani
Poco tempo fa ho riletto “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir. Lo lessi la prima volta negli anni ’70, nel pieno della rivoluzione culturale poi tanto contestata, io ero giovanissima e conoscere una situazione collocata una ventina d’anni prima della mia nascita mi aveva fatto l’effetto di qualcosa perso nella notte dei tempi.
Rileggendolo oggi, invece, ho visto chiaramente quante cose sono cambiate da allora, e quante invece non sono cambiate affatto. Ho cercato il confronto con qualche giovane donna nata dopo gli anni ’70, e ho scoperto con stupore, e anche con preoccupazione, di quanto le nuove generazioni diano per acquisito e consolidato l’attuale modo di vivere, come se fosse stato sempre così. E invece no.
Facciamo un po’ di storia, andiamo indietro di un centinaio d’anni, non poi tanti.
Osserviamo come vivevano le bisnonne di queste ragazze. La società era molto classista, vicino a pochissime persone abbienti, c’era una moltitudine che viveva quasi al limite della sopravvivenza. Per queste donne non era prevista istruzione: a che serviva saper leggere e scrivere, se la vita si sarebbe svolta tra le mura domestiche, impegnate nella cura dei famigliari? Prima i fratelli e le sorelle più piccoli, poi il marito e i figli, e ancora gli anziani. Se c’era un lavoro, era quello della campagna, della fabbrica, oppure quello della domestica. I pochi soldi guadagnati andavano in famiglia, e per legge i salari erano la metà di quelli maschili. Si sposavano con una persona praticamente sconosciuta, per invecchiare in fretta, sfiancate dalle gravidanze e dalle condizioni di vita difficili.
Anche le poche più abbienti, per quanto almeno alfabetizzate, hanno trascorso una vita altrettanto costretta e limitata. Quelle che non si sposavano restavano quasi nascoste al mondo, costrette a una vita ritirata e alla cura dei genitori.
Tutte, in ogni caso, erano accessori del capofamiglia, private dei diritti sui figli e sulla proprietà.
Queste donne, le bisnonne, hanno avuto figlie, che hanno cominciato a vedere qualche piccolo cambiamento. Non subito però: i primi anni di vita per la generazione nata negli anni ’20 e ’30 sono stati simili a quelli delle loro madri. Poi c’è stata la seconda Guerra Mondiale. Non voglio fermarmi a immaginare cosa può essere stato vivere cinque anni di guerra: poco cibo e scadente, freddo, disagi, enormi dolori e tanta, tanta paura.
Durante e dopo la guerra, qualche donna ha incominciato a lavorare fuori casa. Il livello di scolarizzazione femminile era in genere ancora molto basso, si trattava di piccoli lavori da impiegata, artigiana, operaia, ma la sudditanza alle figure maschili, il padre prima e il marito poi, era ancora fortissima. Il rapporto di coppia si costruiva ancora con un uomo quasi sconosciuto, che si frequentava, prima del matrimonio, solo in compagnia dei fratelli maggiori o dei genitori.
La maggioranza delle donne, comunque, non aveva altro destino che quello della casalinga: la vita quotidiana era subordinata all’organizzazione domestica, l’autonomia economica non esisteva.
Arriviamo così a parlare delle mamme di queste giovani donne nate negli anni ’70, quelle che hanno fatto, con tanta forza e passione, la rivoluzione culturale che ha portato le figlie a essere donne libere come sono oggi.
Ci siamo battute per poter studiare, per lavorare, per avere un’autonomia economica, per il controllo delle nascite, per poter scegliere … ci siamo battute, ma non tutte sono riuscite ad avere tutto. Quante volte, parlando tra noi, dei nostri desideri e delle speranze per la vita futura, alla fine qualcuna confessava frasi come questa: “Vorrei studiare medicina, ma scelgo lettere così potrò insegnare” in quanto il lavoro di insegnante prevedeva lunghe vacanze estive e l’impegno fuori casa concentrato la mattina, compatibile con gli orari e la gestione della famiglia.
Guardo le giovani donne e le ragazze nate dagli anni ’70 in avanti: hanno studiato, hanno seguito un percorso di studi da loro stesse scelto in base ad attitudini e passioni. Conoscono le lingue straniere e sanno vivere all’estero perché fin da piccole sono state abituate alla vita fuori casa. Poco più che adolescenti hanno incominciato a organizzare il proprio tempo, dello studio e della vacanza.
L’impegno professionale è oggi identico per gli uomini come per le donne, nei diritti e nei doveri, e molte ragazze pensano di potersi sedere sugli allori di questa nuova realtà.
Non fatelo, ragazze. Gli allori su cui vi appoggiate sono ancora teneri germogli nati da ben poco tempo. Anche se è giusto ricordare che già nel 1800 c’erano donne illuminate che si sono battute per l’emancipazione, questi cambiamenti importanti sono recenti e devono essere difesi con forza e soprattutto con ferma attenzione. C’è ancora così tanto da fare! La violenza contro le donne non si placa, il rispetto verso il nostro genere viene spesso trascurato, la maternità – la scelta di diventare o meno madre, la scelta di abortire – sembrano ancora in mano ad altri, a un mondo maschile che nulla ne sa, ma non cede il potere.
C’è ancora molta strada da fare, molto lavoro da portare avanti, con l’obiettivo preciso di essere libere. Libere di scegliere.
L’autrice
Sono nata a Genova nel 1954, ho 61 anni. Sposata, due figli maschi, adulti e indipendenti, con i quali sto benissimo. Dopo il diploma di ragioneria mi sono iscritta a economia, senza arrivare alla laurea perchè già lavoravo a tempo pieno (e ovviamente questo è il mio grande cruccio). Per seguire il marito e gli spostamenti imposti dal suo lavoro, ho fatto un po’ di tutto, dall’aprire una mia attività, alla vendita, alla baby sitter e, nei tempi vuoti, tanto volontariato. Ora vivo a Milano e qui, per 10 anni, ho collaborato con una agenzia di comunicazione, dove ho seguito un “grosso” cliente in tutte le attività. Ora sono serenamente in pensione e, non essenso ancora nonna, mi dedico a tutte le mie diverse passioni: non ho ancora capito se sono eclettica o dispersiva.