Ieri era la giornata del coming out.
Ecco una testimonianza di una delle autrici di dol’s, Cristina Obber che attraverso i suoi libri riesce a far parlare i ragazzi nelle scuole, perché se lì si sentissero accolti vivrebbero meglio. Invece si osteggia l’argomento omofobia perche nemmeno i prof sono pronti. Poi quando uno muore tutti sgomenti.
“Ciao Cristina, io sono un omosessuale non dichiarato e ci tenevo a ringraziarti tantissimo per l’incontro di stamattina a scuola, mi hai riempito il cuore, grazie davvero”. Poi c’è un cuoricino.
Mi arriva questo messaggio via facebook prima dell’estate, come spesso accade dopo un incontro a scuola.
Leggo le parole di Stefano e penso a lui, che non ha alzato la mano, che non ha detto niente. Che ha ascoltato le cose belle ma anche le cose brutte che sono state dette. Non c’è malafede tra i banchi di scuola (quella ce la dispensano i #cattossessivi) ma si può essere omofobi senza saperlo anche a 16 anni.
Rispondo dunque a Stefano, chiedendogli se gli era venuta voglia di alzarsi quando ho chiesto (lo faccio in ogni scuola) “C’è qualcuno tra voi omosessuale?” e la risposta da più parti è stata NO e io ho aggiunto “Mi sembra strano perché siamo in tanti e tra tanti probabilmente qualcuno c’è, ma non dichiarato/a”.
Gli chiedo di dirmi come si è sentito quando qualcuno ha detto “Quella è più o meno una malattia” oppure “Dio ci crea etero” oppure “Per me non c’è problema, ho un’amica lesbica e sono contenta se lei è felice ma non vedo perché si deve baciare in giro” e altre cose del genere (ma c’è anche chi dice “L’amore è amore” oppure “Dio ci ama come siamo” o anche “Nell’antichità l’omosessualità non era un problema”, sia chiaro, ed è per questo che la discussione si anima).
Ecco la sua risposta.
Ciao Cristina, per rispondere alla tua domanda non credo ci sia un aggettivo per descrivere quello che un omosessuale prova in molte situazioni di normale interazione sociale, ma uno che si avvicina molto a quella spiacevolissima sensazione è “frustrante”. Perché frustrante è nascondere un’enorme parte di se stessi, frustrante è sentire parole come “frocio” o “ricchione” riferite anche ad altre persone, frustrante è vedere un sacco di coppiette ostentare la loro felicità con la consapevolezza di non potersi mostrare per come si è a tutti con la stessa facilitàed infine è frustrante sentire quell’opprimente peso di illusioni e aspettative, speranze e delusioni sulle spalle.
Non credo che un ragazzo debba subire tutto questo soltanto per aver avuto la sfortuna di nascere “diverso”, se di diversità si vuol parlare. Io non mi sento diverso davanti agli altri, non mi sento inferiore solo per il mio orientamento sessuale perché sono consapevole che non sia quello a fare la mia personalità, il mio non è un amore anormale, solo anti convenzionale, ma questo non tutti lo capiscono. Sono dell’idea che certe cose non si capiscono se non si vivono perciò non mi meraviglio se gli altri dimostrano stupidità.
Qualche tempo dopo sui giornali la notizia del ragazzo suicida in Sicilia, anche lui 16enne.
La conversazione con Stefano riprende, così:
“Non credo ci sia da stupirsi se sentiamo parlare di suicidi di omosessuali.
Il caso di quel ragazzo morto suicida perché gay è solo la punta dell’iceberg e io, a dir la verità, non me ne sono stupito. Come ci si fa a sorprendere se qualcuno vuole porre fine alla propria vita solo perché la società in cui si trova gli punta il dito contro giudicandolo e condannandolo come diverso. È vero, viviamo in una società che ha paura della diversità, prova ne sono i movimenti che incitano all’odio verso tutti se non verso il dio denaro ed il menefreghismo di chi segue solo i propri interessi.
E allora, circondati da tanta cattiveria e da dita puntate su di sè, come può un ragazzo omosessuale rivelarsi a tutti per come è veramente? Con quale coraggio? Io proprio non lo so e per questo non penso ancora ad un coming outperché, per quanto una dose di “chissenefrega” è sempre lecita non me la sento di sentirmi ancora più giudicatodi quanto mi sembra di essere adesso. Emoticon smile.”
Con un sorriso si chiude il suo messaggio. E alla richiesta di pubblicare le sue parole, ovviamente cambiando il nome, Stefano (che non si chiama così ma fa niente) mi raccomanda solo di dire che è di un piccolo paese del sud, perché per lui fa differenza.
Io in realtà non trovo differenza tra scuole del nord e scuole del sud, tra i banchi di scuola l’omofobia lieveserpeggia anche nelle città dell’ emancipata Emilia Romagna, per dire.
E se un ragazzo di 16 anni, gay, oggi in Italia non si stupisce se un suo coetaneo gay si toglie la vita, a quegli adulti che puntano il dito e giudicano dobbiamo chiedere se è così che vogliono che i ragazzi si sentano. Dovrebbero chiedersi perchè la frustrazione e la sofferenza di un 16enne dia loro conforto.
E chiudo questo post con una pagina tratta da “L’altra parte di me”, una pagina tra i banchi di scuola, appunto.
“Giulia ha vomitato. C’è odore di rancido nella manica della maglia.
Davanti alla porta della classe stamane alcuni suoi compagni parlavano di un ragazzo di Roma che era stato pestato perché gay, così avevano detto al telegiornale, come se esistesse un motivo per essere picchiati.
E’ successo perché la cattiveria esiste, aveva pensato Giulia, ma senza dire niente si era seduta al suo posto.
Quelli fuori ridacchiavano, facevano battute sulle seghe.
Poi uno di loro aveva detto: Secondo me quello di terza D è ricchione, prima o poi qualcuno gli darà una passata.
Giulia si era sentita salire una nausea improvvisa, e quei sorrisi avevano perso voce. Li vedeva senza sentirli, sterili ed incoscienti, le pareva di udirle le urla di quel ragazzo che piangeva sotto un ammasso di stronzi che menavano, magari armati di mazza per farsi più forti.
D’improvviso aveva sentito il dolore, non quello delle botte, quello dentro, del subito prima o del subito dopo, di cui nessun telegiornale parla.”
1 commento
capisco che dal suo punto di vista possa sembrare “ostentazione” ma non lo è, quelle coppiette esprimono solo la loro affettività liberamente come dovrebbero poter fare le coppiette dello stesso sesso, e nessun amore è “convenzionale” o “anti-convenzionale”, l’amore è amore, quello tra persone dello stesso sesso è solo statisticamente meno frequente di quello tra persone di sesso diverso per ovvi motivi (le persone etero sono numericamente di più quindi anche i loro amori sono numericamente di più)