A Perugia un prestito d’onore alle vittime
da tipitosti.it
“Vorremmo che ci fosse un luogo anche fisico in cui accogliere le persone vittime di violenza. Stiamo lavorando perché l’associazione abbia un ruolo nel cambiamento del lavoro degli operatori istituzionali con le vittime di violenza di genere. Intanto siamo stati i primi nel nostro Paese a mettere a disposizione delle vittime un microcredito per chi denuncia e non può contare su risorse economiche per ricominciare”.
A parlare è Vanna Ugolini, di Forlì, giornalista, per venti anni cronista di nera, oggi vicecaposervizio al Messaggero di Terni, responsabile dell’Associazione Libertas Margot, sorta a Perugia nel 2013 per contrastare la violenza di genere e che, a giugno scorso, ha lanciato una raccolta fondi per garantire un prestito d’onore.
“Si tratta di un piccolo salvadanaio – spiega Vanna – a disposizione di quelle donne che hanno denunciato, in modo circostanziato, dimostrano determinazione, vanno avanti, ma che non possono più contare su risorse per tornare a vivere. Con alcuni eventi abbiamo raccolto poco più di mille euro. Puntiamo in futuro a garantirne 1500 euro a testa, a chi, ripeto, sia davvero intenzionata a cambiare vita, abbia seguito un percorso psicologico, voglia prendere una casa in fitto, aprire una partita Iva e andare da un notaio. Il 25 novembre il prossimo appuntamento per una nuova raccolta fondi. Un’iniziativa che ci costa fatica, perché spesso queste donne, che ricevono soldi, vanno guidate. Per anni è stato il coniuge a gestire per loro i soldi”.
L’associazione, che prende il nome dalla prima vittima, ha due sedi: una presso la Libertas Perugia e l’altra presso il Siulp, il sindacato di polizia più rappresentativo della categoria, in Questura.
“Da quando si è costituita – chiarisce la giornalista – Margot si occupa di violenza di genere, anche se lo statuto prevede per i soci un impegno più ampio per la tutela dei diritti e della sicurezza”.
Margot, nata per creare una diversa cultura di genere, è costituita soprattutto da professionisti, volontari, che nel loro percorso di lavoro o vita hanno dovuto affrontare casi di violenza di genere.
“Ci sono molti uomini a sostenerci – aggiunge Vanna – Crediamo, infatti, che la violenza di genere si combatta non solo tutelando le vittime, ma soprattutto contribuendo a creare una corretta relazione fra le parti, un’alleanza fra uomini e donne.
Quanti iscritti ci sono?
Il gruppo dei soci operativi è composto da una decina di persone. Poi abbiamo una cinquantina di soci ordinari che, con il tesseramento, contribuiscono a sostenere le nostre iniziative.
C’è una quota per iscriversi?
Quella per diventare socio ordinario è di dieci euro. Cinque euro per gli studenti. Poi contiamo sul buon cuore di chi ci vuole sostenere: ci sono varie quote come soci sostenitori.
Che tipo di servizi offrite?
Cerchiamo di lavorare sul problema della violenza di genere in maniera complessa, sulla prevenzione e la protezione. Organizziamo anche corsi di difesa personale per dare strumenti psicofisici di autodifesa. Riteniamo importante il lavoro sul corpo, è un buon punto di partenza per far scoprire energie e risorse che spesso le vittime di violenza credono di non avere. Aiutiamo le vittime in percorsi protetti di denuncia, in modo che non siano sole quando devono raccontare il trauma subito. Con il nostro contributo e quello del Siulp la denuncia viene presa nella maniera più corretta e approfondita possibile. Ancora, organizziamo corsi di formazione per operatori che si occupino di violenza di genere (forze dell’ordine, personale sanitario) per contribuire a costituire una rete di operatori istituzionali in grado di riconoscere la vittima di violenza e metterla in condizione di raccontare il maltrattamento subito. Non è tutto.
Cos’altro assicurate?
Abbiamo aperto il primo centro di ascolto per autori di maltrattamenti in Umbria. Gli studi fatti sugli autori di violenze hanno stabilito che solo il due per cento degli uomini violenti ha problemi psichici. L’altro 98 per cento è composto da persone in grado di intendere e volere. Si tratta quindi di persone che decidono di essere violente. Siamo convinti che si possa scegliere di non essere persone violente. Per cambiare, ovvio, si fa un percorso non semplice, che noi supportiamo, in cui il maltrattante capisce che fare violenza è una scelta, oltreché un reato. In questo percorso lo stalker ad allontanare da sé la necessità del controllo sulla vittima. E tutto questo grazie ai rapporti che l’associazione ha con i centri antiviolenza, i Tribunali, le forze dell’ordine.
Fate anche attività nelle scuole?
Sì, lavoriamo anche nelle scuole, in maniera gratuita per far riflettere i ragazzi sui temi del bullismo, la violenza di genere, le dipendenze. Inoltre forniamo una consulenza gratuita a livello psicologico e legale a chi ce la chiede. Però non siamo in grado di offrire ospitalità alle vittime, né un servizio telefonico di emergenza per 24 ore. Non ci possiamo permettere di seguire le donne nelle terapie psicologiche, in quanto, fino ad ora, ci siamo finanziati solo con alcune iniziative.
Chi vi sta aiutando?
Il Siulp, il sindacato unitario lavoratori di polizia, in questura, che protegge le denunce. Ci sostiene la Libertas, a cui siamo affiliati, per i corsi di difesa personale e la sede in cui avvengono gli incontri con gli autori di maltrattamenti. E poi le istituzioni. Il sindaco Andrea Romizi e la presidente del Consiglio regionale, Donatella Porzi partecipano alle nostre iniziative. Ci stimola vedere che stiamo riuscendo a mettere in moto qualche piccolo cambiamento. Anche se è dura. Ci stiamo rendendo conto della complessità del problema e di quanto la violenza sia carsica, scavi e cambi le persone che arrivano a perdere fiducia in se stesse, non hanno più voglia di riprogettarsi e pensarsi senza subire violenza. Il lavoro con le vittime è lungo e spesso costellato di sconfitte, di donne che, nonostante il sostegno, tornano sui loro passi. La percentuale di chi va nella direzione giusta per anni e poi torna indietro è qui molto alta. La conferma ci viene dalle forze dell’ordine. Non è un caso che ancora non abbiamo avuto richieste di prestito.
Progetti?
Vorremmo che ci fosse una Casa Margot, un luogo anche fisico in cui accogliere le vittime di violenza. Vorremmo che Margot avesse un ruolo nel cambiamento del lavoro degli operatori istituzionali con le vittime di violenza di genere: a volte una accoglienza sbagliata, il mancato riconoscimento della gravità della situazione da parte degli operatori istituzionali (medici, psicologi, assistenti sociali, forze dell’ordine), si sa, crea un meccanismo di “vittimizzazione secondaria”.
Cioè?
E’ una condizione ulteriore di sofferenza che una vittima subisce quando affronta un percorso istituzionale che, per negligenza o mancanza di preparazione degli operatori, provoca ulteriore dolore. Per questo riteniamo importante che gli operatori vengano formati e lavorino in équipe. Vorremmo inoltre che il nostro sito http://www.margotproject.org/wp/ diventasse un punto di riferimento per chi cerca informazioni su questo tema.
C’è una donna che ha chiesto il vostro aiuto e ricorderai sempre?
Ogni donna ha lasciato un segno in noi. Aprire la propria intimità, raccontare il proprio dolore, scoprire le proprie ferite, è il più grande regalo che possa farti una persona: è una condivisione di umanità dolente che ci coinvolge e ci fa sentire responsabili. Un’esperienza di vita, prima di tutto. Di recente mi ha chiamato una donna di Caserta, 35 anni, laureata in architettura, con due bambini di 3 e 5 anni. Malata, era stata sequestrata a casa dal marito ingegnere che per due giorni non aveva voluto chiamare il medico. La donna è riuscita a liberarsi grazie ai suoi genitori. Al telefono, dopo avermi raccontato la sua storia e detto che, nonostante la laurea, non aveva mai potuto lavorare perché suo marito non voleva, mi chiede: ma secondo lei sono vittima di violenza? Ho provato un grande dolore per la sua ingenuità.