Cos’è avvenuto nel mondo artistico e architettonico del Novecento.
di Francesca Di Bitetto
Non esistono le mezze stagioni. Via il costume colorato, su il cappottino nero. Ricordi di un’estate e pensieri di Natale. E desideri e speranze per il nuovo anno.
Io segno sul mio calendario 2016, dedicato a Henri Matisse, la data del 17 Giugno: inaugurazione nuova Tate Modern – Londra. Questa notizia è arrivata a me tramite un video, questo:
L’espansione è stata progettata, in collaborazione con il designer Jasper Morrison e l’architetto del paesaggio Günther Vogt, da due prestigiosi e notissimi architetti svizzeri, Jacques Herzog & Pierre de Meuron.
Qualche data per capire meglio la loro storia:
1947-63 realizzazione della Bankside Power Station (progetto dell’architetto Giles Gilbert Scott)
1975 laurea di Herzog & de Meuron
1978 apertura del loro studio a Basilea
1981 la centrale elettrica viene dismessa e abbandonata
1995 inizio della riconversione dell’ex centrale termoelettrica
2000 inaugurazione della TATE MODERN
2001 gli architetti svizzeri vincono il Pritzker Prize, il Nobel dell’architettura.
La Tate Gallery è il museo d’arte moderna e contemporanea più visitato al mondo, con 4 milioni e mezzo di visitatori all’anno – per questo cresce e cambia.
Assistiamo al suo ampliamento già dall’estate 2012: i Tanks, spazi grezzi e apparentemente freddi, sono stati sistemati (con un intervento leggero, “restaurativo”) per ospitare, per (15) settimane, la mostra Art in Action, una ricca rassegna di performance live, eventi, programmazioni cinematografiche, video arte e installazioni. È la prima volta che il pubblico viene invitato a prendere parte, a partecipare così attivamente a nuove forme artistiche. È una call to action. Gli addetti ai lavori si mostrano e si avvicinano al pubblico.
Il Tate Modern Project intende aprirci gli occhi, sorprenderci e sostenerci. Sembra dirci: collaborate con noi, esploriamo insieme il mondo e noi stessi. Dialoghiamo tra di noi e conosciamoci, scopriamo le ultime forme, le nuove culture. Aggiorniamoci ricordandoci chi siamo. In un luogo accogliente e stimolante, assiduamente frequentato da creativi, sempre aperto, sempre pieno, sempre vivo. L’arte puoi vederla mentre si fa, puoi farne parte, assistervi, assisterla e da essa, dalla sua visione, apprendere, riflettere e imparare. Il direttore del museo, Chris Dercon, lo sa.
“When people step into the museum, they don’t want to step out of their life. They want to get closer to it.” Quando la gente entra oggi in un museo non cerca una fuga dalla propria vita, al contrario vuole avvicinarsi ad essa.
“The future museum will be full with new ideas, activities and people.”
“The museum is gradually becoming much more than a continuously expanding container for art – it is becoming a unique platform for human encounters.”
Il museo sta gradualmente diventando molto più di un contenitore in continua espansione per l’arte – sta diventando una piattaforma unica per incontri umani.
Un luogo, la Tate. Un nome, Chris. E un concetto, quello di incontro, connessione, contatto.
Passioni in digitale. E citazioni. Per i capolavori non esistono momenti sbagliati. MATCH POINT, Woody Allen (2005)
“As art is one of the most dynamic and engaged forms of human behaviour, the museum has to develop completely new types of exhibitions.”
Non possiamo più fare a meno dei contenuti video. Perché il Novecento è stato un secolo fecondo di ricerche artistiche e tecnologiche. Abbiamo conosciuto le potenzialità di mezzi quali la televisione – utile per comunicare, convincere, confondere, comprare; democratizzare, omologare, globalizzare = addomesticare fino ad assoggettare e ad annullare – e il computer – per registrare informazioni e dati, realizzare l’impossibile, salvarlo e addirittura modificarlo.
È dagli anni ’60 che l’occhio pretende la sua parte. Conquista per primo, anche in amore. La vista è il senso più forte, il più persistente. Un’immagine ci colpisce, ci emoziona e ci rimane più facilmente in memoria. E noi ci siamo abituati, siamo assuefatti e anche un po’ storditi, drogati. E siccome abbiamo già provato un po’ di tutto e già tutto è stato inventato, lo reinventiamo mixando i linguaggi. Compiamo un’operazione cross mediale/trans mediale, divenendo storytellers e performers, artisti a tutto tondo. Serve una certa agilità per surfare sulle onde, tutte uniche e diverse, dell’arte. Abbiamo un mare da scandagliare prima di poter prendere fiato, prima di emergere. E serve coraggio per ogni nuova immersione.
Con altri 22.000 metri quadri – per spazi espositivi, pubblici e commerciali, sale di formazione, laboratori, uffici, ristoranti, terrazze panoramiche – cosa vedremo? Uno dei volumi aggiunti è la Switch House. Ha dieci piani, è quasi ultimata e sarà collegata alla struttura esistente e ad essa accordata da un rivestimento in mattoni rossi. Il suo rendering non è un’altra forma d’arte? Una rappresentazione grafica, di qualità, disegnata per essere il più possibile simile a una foto realistica, prefigurazione del futuro.
Una persona, coinvolta emotivamente, concentrata o assorta davanti ad un’opera, affronta davanti a lei i suoi dilemmi esistenziali e la interroga, a volte trovando persino sollievo nella catarsi. Così il museo diventa purgatorio, tempio per pregare, palestra mentale, spazio ludico, luogo d’interazione e d’apprendimento, di ristoro dell’anima, di piacere per i sensi, “parco divertimenti”.
Come recita un concetto luminoso dell’artista fiorentino Maurizio Nannucci, “tutta l’arte è stata contemporanea”. Ogni età partorisce un tipo di cultura, figlia di una certa società. Eppure sono necessari cambi d’abito e di rotta, evoluzioni, trasformazioni, rinnovamenti e modifiche, coscienti dei segnali del tempo.
Dunque non importa che siano colori – pigmenti, pelli – corpi reali, suoni – dal vivo o immagini – riprodotte. Qualunque spazio, qualunque media, qualunque fruizione, qualunque spettacolo o esposizione, qualunque input produrrà qualcosa, una reazione di qualche tipo: appagamento, curiosità, perplessità, godimento, meraviglia, stupore, angoscia, paura. Qualcosa non assumerà significato e rimarrà un punto di domanda o sarà rimosso. Avrà avuto un valore relativo. Ci saremo in ogni caso arricchiti, conoscendo un altro minuscolo pezzo d’umanità.
Da un sondaggio (online) del 2013, promosso dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali, sono le donne (60%), tra i 31 e i 45 anni a frequentare i luoghi della cultura: laureate (52%), impiegate (24%), in un museo tra le 16 e le 19. Disponibili a pagare un biglietto d’ingresso (76%) pur non trovando adeguato il suo costo (57%), attirate soprattutto dalle opere esposte (77%). Ci procuriamo il materiale illustrativo e informativo gratuito e iniziamo il nostro percorso di visita, prestando attenzione a supporti multimediali, audio guide o visite guidate. Che il personale sia cortese e ci siano luoghi di sosta e ristoro, magari anche un bookshop. Ci fan comodo orari di apertura estesi (fino alle 22 o alle 24), mezzi pubblici e posti auto vicini. Apprezzeremmo domeniche dall’ingresso libero per tutti, sconti per abbonamenti e riduzioni per fasce orarie.
In Italia il 29% degli architetti sono donne e la femminilizzazione della professione è un fenomeno lento ma in continuo aumento. Bisogna riconoscere che l’uomo è dotato di senso pratico, ma la donna possiede una maggiore sensibilità per il dettaglio.
Controllando lo stato dell’arte, nel Novecento, fautori di grandi imprese architettoniche sono state proprio donne, capaci di farsi largo nella giungla urbanistica maschilista e abili nel creare nuovi spazi dedicati all’arte.
Denise Scott Brown [1931], statunitense, sposata col collega Robert Venturi: Seattle Art Museum.
Gae Aulenti [1927-2012], italiana che negli anni ’80 diede nuova vita alla ferrovia parigina Gare d’Orsay, trasformandola in museo.
Kazuyo Sejima [1956], giapponese, Pritzker Prize nel 2010 e prima direttrice della sezione architettura della Biennale di Venezia. Oltre al Museo di Arte Contemporanea del 21simo secolo di Kanazawa, in patria, e il New Museum of Contemporary Art a New York. –
Nella foto con Paolo Baratta, presidente della Biennale.
Odile Decq [1955], francese, cui è stata affidata nel 2001 l’espansione del Macro.
Zaha Hadid [1950], irachena/britannica, Pritzker Prize nel 2004: Rosenthal Center for Contemporary Art di Cincinnati, ma soprattutto il MAXXI di Roma.
Un altro neon writing di Maurizio Nannucci.
Per certe cose non servono le parole. Bastano gli occhi.
Autrice: Francesca Di Bitetto
Diploma in Storytelling & Performing Arts, College Filmmaking
SCUOLA HOLDEN.
Laurea triennale in Lettere, Curriculum Cultura letteraria dell’età moderna e contemporanea
Tesi in Sociologia della Letteratura – “Nell’universo buzzatiano tra realtà e immaginazione: Viaggio agli inferni del secolo”