Dopo 24 anni di maltrattamenti subìti dal marito, ricaduti sui figli della coppia e certificati da denunce la richiedente non ha diritto a niente, perché avrebbe tollerato per troppo tempo la condotta dell’uomo.
Sembra uno scherzo di pessimo gusto, ma non lo è: un tribunale che emette una sentenza non può scherzare, perché il suo compito è ristabilire giustizia ed equità.
Ma quale giustizia, quale equità si può trovare in un giudizio che nega il risarcimento ad una donna che per anni è stata abusata dal coniuge, in modo accertato e conclamato, perché per troppo tempo ha sopportato le vessazioni?
Da quando è giuridicamente misurabile la sopportazione della violenza degna di risarcimento, distinguibile da quella che invece non lo merita?
La vicenda riguarda una donna che ha chiesto la separazione, dopo 24 anni di maltrattamenti subìti dal marito, ricaduti sui figli della coppia e certificati da denunce: secondo la sentenza, emessa dalla quarta sezione civile del Tribunale di Genova, la richiedente non ha diritto a niente, perché avrebbe tollerato per troppo tempo la condotta dell’uomo.
“Una sentenza vergognosa, che afferma una cultura di non rispetto della dignità e integrità della donna e che contrasta con tutte le norme sulla violenza di genere del nostro Paese” – ha affermato Valeria Fedeli, vice presidente del Senato.
Anche la deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria ha stigmatizzato i fatti: “Non c’è una data di scadenza per reagire alla violenza. E’ incredibile vedere, nell’avvicinarsi della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che nel nostro paese esistano ancora vuoti eclatanti nella tutela delle donne vittime di violenza; vuoti che vanno colmati con il buonsenso prima ancora che con la legge”.
In questi nostri tempi di terza guerra mondiale parlare di buon senso sembra attenere più alla fantascienza che alla realtà. Ma il buon senso è, soprattutto, il prodotto dell’educazione che riceviamo e che impartiamo alle giovani generazioni.
Per questo, alla lettura della decisione del tribunale genovese, mi è partito il collegamento con un concetto che sto incontrando molto spesso durante le discussioni pubbliche sulla violenza maschile contro le donne: il concetto dell’istinto.
“Le case chiuse, o comunque la prostituzione, sono una necessità. Come la mettiamo con l’istinto sessuale degli uomini”? mi ha domandato un uomo ad Aosta in un incontro di presentazione di Uomini che odiano amano le donne.
“Se una bella ragazza in minigonna salta su un tavolo e comincia a dimenarsi davanti a me, ovvio che mi venga da saltarle addosso. La sua esibizione la sento come una violenza. E’ l’istinto”, mi han detto due giovani uomini, attivisti antirazzisti e animati dalle migliori intenzioni per cambiare il loro paese e il mondo.
“Penso che molte donne non si rendano conto della violenza che possono esercitare sui maschi con il loro vestiario, atteggiamenti e discorsi provocanti (tutte le donne, non in riferimento a quelle violentate). Donne, con la provocazione non è corretto giocare in pubblico, riservatela ai vostri partner in camera da letto”- è una delle milleottocento risposte arrivate nel 2012 alle sei domande lanciate da questo blog, nel primo post al mio esordio sul Fatto.
Sembra dunque che, nel secondo millennio governato dalla virtualità incorporea, che chiunque esibisce con la tecnologia domestica della quale è impossibile fare a meno, se si va al dunque vincano in assoluto gli istinti primordiali, e tra loro primeggi negli uomini quello della sessualità predatoria, compulsiva e incontrollabile. Ecco che quindi se porti i jeans non è violenza: toglierli è laborioso per cui devi avere collaborato; se sei brilla o drogata non è violenza, perché nemmeno la tua incoscienza è aggravante per chi abusa di te; se hai aspettato anni prima di lasciare un uomo violento hai acconsentito a ciò che hai meritato a causa della tua lentezza nel decidere di lasciarlo.
Domando: se gli uomini accettano così facilmente di essere governati dall’istinto (e perché questo istinto è sempre sessualmente predatorio, e mai, per esempio, paterno, come per le donne è scontato che esista quello materno?) come possono dirsi davvero umani? L’umanità, a differenza degli altri animali del pianeta, non è forse scelta di relazione, empatia, sganciamento dal governo dagli istinti che, pur esistendo dentro di noi, sono plasmati e indirizzati dall’educazione, dalla cultura e dalla politica? Non è più che mai necessario ragionare insieme sul ‘destino’ maschile predatorio, evocato così fortemente dal giogo dell’istinto, citato a giustificazione universale della violenza da molti uomini, affinché proprio dagli uomini parta la rivoluzione di se stessi, per dirsi umani, e non ferini?
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