In memoriam: ritratto di Eleonora (de) Fonseca Pimentel
di Nadia Boaretto
Il vanto di Milano è di essere un piccolo melting pot di varie provenienze. Ecco perché le sue strade rispecchiano la considerazione per personalità non strettamente locali. È pur vero che la sua canzone simbolo, O Mia Bela Madunina, recita:
A disen la canzon la nas a Napoli
e certament gh’hànn minga tutt’i tort
Sorriento, Mergellina, tutt’i popoli
i avran cantaa almen on milion de volt.
Mi speri che se offenderà nissun
se parlom on cicin anca de nun.
O mia bela Madonina
che te brillet de lontan
tutta d’ora e piscinina
ti te dominet Milan.
Sotta a ti se viv la vita
se sta mai con i man in man.
Canten tucc: “Lontan de Napoli se moeur”
ma poeù vegnen chì a Milan…
Qui si esprime l’orgoglio meneghino… e nel contempo si getta un ponte di scherzosa rivalità/amicizia fra Milano e Napoli. Le due città si apparentano per esempio tramite la figura di Eleonora (de) Fonseca Pimentel, che con un nome lusitano e un’ascendenza aristocratica si presenta alla Storia nelle vesti di una martire della Repubblica Partenopea e in quelle di una donna che subì violenze dal marito, al punto di avere due gravidanze interrotte a causa delle sue percosse. Vicenda di tragica “normale” attualità seguita da una causa di divorzio e da una situazione di indigenza.
Eppure Eleonora si muoveva in ambienti eruditi, a contatto con gli illuministi Voltaire e Diderot, ed era donna di lettere poliglotta, in relazione epistolare con Metastasio. Nel 1780 partecipò alla manifestazione di apertura della Reale Accademia di scienze e belle lettere creata nel 1778 da Ferdinando IV allo scopo di promuovere le discipline scientifiche e favorire la vita intellettuale. Da una cronaca del tempo risulta che «si recitarono sette sonetti, sei de’ quali di altrettanti poeti, ed uno di una poetessa, D. Eleonora de Fonseca Pimentel, detta la “Portoghesina (Croce, 1954, p. 129)”». [NOTA 1]
Autrice di testi patriottici e di componimenti poetici, si entusiasmò per le riforme sociali che cominciavano a delinearsi in Europa e condannò nei suoi scritti l’atmosfera retriva e grossolana della corte borbonica di Maria Carolina e di Ferdinando IV, detto il Re Nasone o anche il Re Lazzarone, che «… di libri di lettere, non volle mai saperne; gli uomini di più fama e dottrina erano suoi maestri; ma ora il tempo, ora mancando il volere, nessuno o rarissimo l’insegnamento; si vedevano crescere del re la forza e l’ignoranza, pericoli dello Stato nell’avvenire. Fanciullo non soffriva conversare coi sapienti, e fatto adulto, ne vergognava». [NOTA 2]
Infelice in quell’ambiente e nella vita privata, Eleonora si dedicò anima e corpo alle idee giacobine nate dalla Rivoluzione Francese, convinta che accanto alla tradizione classica e giuridica dovesse diffondersi una mentalità scientifica e tecnica che valorizzasse l’ingegno delle donne. Il suo entusiasmo, forse anche ingenuo nell’intrepida sfida ad un regime assolutista così gretto, fu punito con l’arresto.
«Il vecchio amico e incaricato d’affari portoghese G. De Sousa, informando di ciò il ministro de Sà Pereira, in quei giorni a Lisbona, ricordava come inutilmente le avesse raccomandato la moderazione e la prudenza concludendo, con un moto di stizza, esser lei “donna quanto dotta altrettanto pazza, imprudente e sciocca”». [NOTA 3]
Un giudizio impietoso, che non teneva conto del coraggio e del rischio personale corso da Eleonora. A certi uomini di potere non sono mai piaciute le donne che sanno osare in contrasto con le convenzioni.
Le carceri furono poi prese d’assalto dai lazzari napoletani, che liberarono i detenuti comuni e politici.
Il 20 gennaio 1799 Eleonora fu tra i “pochi intrepidi cittadini” che occuparono Castel Sant’Elmo e proclamarono la Repubblica Partenopea. Successivamente divenne la principale cronista del Monitore Napoletano un organo di stampa politica molto impegnato, sulla scia del Moniteur francese, che si proponeva di dare notizia delle operazioni di governo.
Eleonora scrisse «la più parte di articoli, informazioni, precisazioni, raccogliendo le notizie tramite la partecipazione diretta alle sedute del governo provvisorio e alle manifestazioni e cerimonie della Repubblica. Dalle colonne del giornale ella si misurò con pressoché tutti i problemi cruciali che si posero in quei pochi mesi affrontandoli con stile semplice ed efficace e con notevole indipendenza di pensiero. Essa credeva, in questo ricalcando il grande progetto giacobino dell’educazione politica del popolo, che uno dei principali compiti della Repubblica fosse l’azione pedagogica rivolta verso la plebe. “La plebe diffida dei patrioti perché non l’intende” scriveva sul Monitore (n. 3, 21 piovoso [9 febbraio]) mentre invitava “qualche zelante cittadino a pubblicare delle civiche arringhe nel patrio vernacolo napoletano, onde così diffondere la civica istruzione in quella parte del popolo che altro linguaggio non ha”, e tentava una prima riflessione sui rapporti che la Repubblica doveva intrattenere con la plebe: “questa parte del popolo comprende non solo la numerosa minuta popolazione della città, ma benanche la più rispettabile delle campagne; e se sopra di questa parte poggia pur nelle Monarchie la forza dello Stato, vi poggia nella Democrazia la forza non solo, ma la sua dignità” (ibid.). La propaganda in dialetto napoletano, una gazzetta in vernacolo che, a spese del governo, fosse letta nelle piazze e riportasse i più importanti provvedimenti presi dalla Repubblica, teatri di burattini e cantastorie che trattassero “soggetti democratici”, missioni civiche create sul modello delle preesistenti missioni religiose e affidate a ecclesiastici che avessero pratica di “persuasiva popolare” sono alcuni dei rimedi che la Fonseca andò proponendo… In ogni questione trattata mantenne sempre posizioni di estremo equilibrio: “la saggia e sventurata Pimentel” dirà di lei V. Cuoco (p. XXXVIII), mentre Croce (1968, p. 52) del Monitore sottolineerà “la calma e l’elevatezza morale”». [NOTA 4]
Nel rapido incalzare di avvenimenti sempre più drammatici, finì per pubblicare notizie strettamente ufficiali e nell’ultimo numero dell’8 giugno ancora riportava voci di vittorie repubblicane.
Il 13 giugno 1799 il cardinale Ruffo entrò a Napoli con le truppe pontificie. Seguì la capitolazione dei patrioti, ai quali fu concesso inizialmente di espatriare. Successivamente il re, rientrato in città, fece compilare due liste, una delle quali per soggetti autorizzati a riparare in Francia dopo aver accettato la condanna all’esilio rinunziando al processo. Già pronti a salpare sulla nave, alcuni patrioti, fra cui Eleonora, furono fatti sbarcare e rinchiusi nel carcere della Vicaria.
In un processo senza appello il 17 agosto fu pronunziata la sentenza a morte per impiccagione. Tre giorni dopo insieme ad altri sette condannati Eleonora fu condotta sulla piazza del Mercato dove «”vestita di bruno, colla gonna stretta alle gambe” (De Nicola, in data 20 agosto), per ultima salì sul patibolo». [NOTA 5]
Tra i nomi dei 121 giustiziati figura quello di Luisa Sanfelice.
Il Processo a Eleonora è stato messo in scena al teatro San Carlo nello spettacolo dell’8/1/1999 con una veemente Vanessa Redgrave come protagonista. [NOTA 6]
L’infrangersi dei sogni di libertà è ben espresso dal titolo del film Il Resto Di Niente (2004, regia di Antonietta De Lillo), tratto dall’omonimo romanzo di Enzo Striano. Struggente la scena in cui Eleonora, magistralmente interpretata da una vibrante Maria de Medeiros, sale al patibolo per essere impiccata con disonore (in quanto nobile le sarebbe invece spettata la decapitazione), le sue parti più pudiche esposte al pubblico ludibrio.
Antonella Orefice, erede ideale di Eleonora in quanto direttrice del Nuovo Monitore Napoletano e studiosa della sua storia, ha curato la pubblicazione del libro Il Pantheon Dei Martiri Del 1799. In un suo articolo leggiamo: «Eleonora, una donna settecentesca su cui tanto si è scritto, tanto da farla apparire, nella letteratura giacobina una martire santificata e sacrificata per la causa rivoluzionaria, in quella borbonica un’esaltata mentale, senza mezzi termini, un esempio negativo di donna che pur di fare storia ha sacrificato se stessa, dissacrando con un divorzio i canoni di una donna rispettabile: marito, chiesa e sacra famiglia. Dopo oltre un ventennio di ricerche, in virtù delle quali per me è divenuta una persona di famiglia, io credo che Eleonora sia stata fondamentalmente una donna vissuta in un tempo che non le apparteneva, come un personaggio venuto dal futuro e costretto a vivere nel passato… Visse con coraggio il suo sogno di donna intellettuale; in quei mesi aveva ritrovato al suo fianco gli amici di un tempo ed altri venuti da lontano. Gli alberi della libertà fiorivano nell’ultima splendida primavera della loro vita. Tuttavia, anche se soffocato nella culla, il sogno espresso dalla Repubblica Napoletana avrebbe gettato il seme per la maturazione del movimento del Risorgimento italiano. “Forsan et haec olim meminisse juvabit” (E forse un giorno gioverà ricordare tutto questo) furono le parole di congedo alla vita pronunciate da Eleonora prima di avviarsi al patibolo. Era il 20 agosto 1799 e a Piazza Mercato finiva colei che sarebbe divenuta il simbolo di una rivoluzione; con lei caddero le speranze di una città che, anche al femminile, aveva saputo proporre all’Europa intera un nuovo ed inusitato volto. Non solo feste e balli, sole e mare, maccheroni e lazzaroni, come allora si diceva di Napoli in Europa, ma anche coraggio, cultura e scienza. Con la rivoluzione napoletana nacque in Italia la figura di un intellettuale nuovo per il quale letteratura e filosofia divennero definitivamente impegno morale ed azione politica sino al sacrificio supremo della vita. Eleonora ne è stata l’antesignana». [NOTA 7]
Eleonora, Lènor in ambiente familiare, donna di tante battaglie libertarie, sarebbe di certo stata partecipe orgogliosa delle 4 giornate di Napoli, narrate nell’omonimo film di Nanni Loy (su soggetto di Vasco Pratolini), che mostra la drammatica rivolta dei napoletani contro gli occupanti nazisti, iniziata il 28 settembre 1943, prima dell’arrivo degli Alleati. «Fu una ribellione spontanea, portata avanti con armi e mezzi di fortuna, per un disperato bisogno di libertà…». Come scrisse Gian Luigi Rondi, «dalla molteplicità di situazioni e di caratteri emerge “un clima unitario, dettato e ispirato da quell’impeto collettivo che condusse il generoso popolo di Napoli, pur stremato dalle privazioni e dai bombardamenti, a sollevarsi ed a vincere”». [NOTA 8]
Letteratura, teatro e cinema si alleano sempre nel tramandarci le figure leggendarie e le nostre targhe stradali cittadine portano incisi nel marmo i nomi da rispettare e ricordare.
NOTA 1: http://www.treccani.it/enciclopedia/fonseca-pimentel-eleonora-de_(Dizionario_Biografico)/NOTA 2: Giovanni La Cecilia, Storie segrete dei Borboni di Napoli da http://www.repubblicanapoletana.it/ferdinando.htm
NOTA 3: http://www.treccani.it/enciclopedia/fonseca-pimentel-eleonora-de_(Dizionario_Biografico)/
NOTA 4: FONSECA PIMENTEL, Eleonora de, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 48 (1997) di Cinzia Cassani.
http://www.treccani.it/enciclopedia/fonseca-pimentel-eleonora-de_(Dizionario_Biografico)/
NOTA 5: ibid.
NOTA 6: Registrato da Rai3 21/11/2008
http://youtu.be/34IB3GRsVPE
http://youtu.be/2GtC6V94Tm8
NOTA 7: http://youtu.be/0lpME5YgLao
http://www.nuovomonitorenapoletano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=428:eleonora-de-fonseca-pimentel-la-rivoluzione-al-femminile&catid=37:biografie&Itemid=28
http://www.instoria.it/home/fonseca_pimentel.htm
NOTA 8: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=19718