Francesca Palumbo , autrice del libro ”Le parole interrotte” scrive: “L’identità si rinnova quotidianamente nell’incontro e nella relazione con gli altri.”
Tra un bagno di folla di 350studenti/sse in una scuola e il mescolarsi fra canto , musica, lirica, parole scritte e immagini di un’altra scuola , continua senza sosta e sempre con successo il tour infinito del libro “Le parole interrotte” di Francesca Palumbo.
Ho avuto anche io l’onore ed il piacere di presentare questo romanzo nell’ambito della rassegna EquiLibri Polignanesi, organizzata dall’Assessora alla cultura (ma non solo) di Polignano, Marilena Abbatepaolo. Alla presenza anche di giovanissimi e giovanissime, dell’artista autore della copertina del primo libro scritto dall’autrice, intervallati dalla bella voce ed interpretazione di alcuni brani del libro da parte dell’attrice Floriana Uva, ci siamo addentrati nel disquisire su migranti, comunicazione, maternità, colori e natura, ma anche di tanto altro.
Francesca Palumbo, sempre presa e felice di ogni incontro, scrive: “L’identità si rinnova quotidianamente nell’incontro e nella relazione con gli altri.”
I libri della Palumbo toccano sempre tematiche scomode, comunque argomenti che creano attenzione e rivalutazione dei più deboli, degli emarginati, dei “Non considerati” per sentirsi accolti tutti in quanto “siamo tutti importanti”.
In un momento in cui i TG sciorinano ìogni giorno numeri di migranti che sbarcano vivi o cadaveri sulle coste dell’europa e che i dibattiti a livello europeo sono incentrati sulla spartizione di queste masse di persone, di accoglienze costose e di recriminazioni sul lavoro rubato, sul degrado della dignità, l’autrice parla nel suo ultimo romanzo di un incontro e di amore comunque perché persone con pari paure e pari sentimenti come la maternità.
Il libro si apre con una scena di violenza verso una delle due protagoniste e poi passa ad un momento lieto come una festa di matrimonio. Il libro si muove continuamente tra stati emotivamente tristi ed altri allegri. Alti e bassi di umori e sentimenti continui in una scrittura delicata, ma anche forte ed intensa. Diversi modi di approccio all’altro. E lei dice “Dobbiamo imparare a fare anima”.
Il romanzo inizia nelle campagne di Polignano e si dipana durante un viaggio verso Genova alla ricerca di un bambino, ma anche alla scoperta di sentimenti veri e forti che uniscono due donne di diverse nazioni, di diverse culture, di diverse esperienze di vita, ma unite dalla voglia di essere madri dell’altro, l’una dell’altra e viceversa in un dialogo fatto di gesti di tocchi di voglia di capirsi.
Oltre alla fotografa Clara, separata e con un figlio Matteo balbuziente, l’altra donna è una nigeriana malaika, migrante, con esperienze negative anche durante il viaggio di avvicinamento all’Italia, con tentativo di violenza da parte di un camionista e poi…l’incontro con la paura dell’altro, con la paura di essere rispedita nell’inferno del suo paese, ma anche con la paura di Clara di accoglierla, lei straniera con tanti problemi. Ma in un attimo il cuore s’impone sulla ragione e, in una delicatissima scena di pulizia, o purificazione dalle paure reciproche, col toccare il corpo straziato e nero, Clara scopre i segni di una maternità che le accomuna. Malaika vuole ritrovare il figlio dal quale è stata separata durante la traversata per giungere in una terra che la speranza fa pensare accogliente e migliore. Durnte il viaggio comunicano non con linguaggi della parola perché diverse sono le loro conoscenze linguistiche, ma con gli sguardi, i gesti e tra Malaika e Matteo, balbuziente forse per i traumi subiti in una unione non sempre felice fra la madre ed il padre, col canto. Il ragazzo comprende, benchè giovanissimo, l’amore di sua madre che mai lo sgrida o lo riprende quando non lo comprende, ma che con pazienza gli sta sempre vicino e lo ama, con un amore che non è solo biologico, ma un amore verso l’altro, comunque.
“Le prole non bastano a Salvare”.
Le parole interrotte è un romanzo che coinvolge anche grazie alla scrittura fluida che l’accompagna, ma è il tema del racconto e il taglio che Francesca Palumbo dà ai suoi personaggi a costituire una finestra aperta sulla realtà dei nostri giorni, sull’immigrazione, la realtà con cui ciascuno di noi deve fare i conti, i barconi di migranti che senza sosta trasportano figli e madri, uomini e donne, bambini e ragazzi. In cerca d’Europa, di rifugio, di una vita migliore, ma anche di giustizia e solidarietà. Un esodo di massa che intercetta le nostre vite: noi possiamo averne paura, oppure scegliere la solidarietà e accogliere l’altro/a in uno scambio che regala umanità e che finisce per dare senso a ogni esistenza.
Un romanzo e una fiction, ma con la forza di una fotografia che arriva al cuore.
Due donne molto diverse eppure simili, il suo libro è solo fiction?
Credo che dipenda da ognuno di noi fare in modo che non resti solo fiction, perché ognuno di noi può impegnarsi in prima persona al raggiungimento dell’incontro, che diventa tanto più interessante quando l’altro non ci assomiglia, non è un nostro clone, ma ci sollecita piuttosto a confrontarci con le differenze nell’ottica di uno scambio reale. Perché l’incontro accada, basta essere mossi da un’audace curiosità verso il prossimo, spinta che per me, nello specifico, accade in maniera piuttosto naturale e spontanea. Ora, il mio approccio laico mi porta a sostenere che nella vita di un uomo non c’è nessun segreto da carpire: abbiamo solo vite da vivere e sarà possibile dare un senso a queste vite solo se impariamo a consistere qui e ora, dentro i provvisori confini che a ognuno è dato di abitare. Rintracciare orizzonti individuali fa del consistere un ‘esistere con’, nella prossimità con l’Altro, in quella sapienza mediatrice che ci permette di confrontarci con il prossimo, ossia con la molteplicità del reale, con le forme intime di ogni vita, con il sentimento dell’esperienza.
Come vincere la paura del diverso?
Ho molto rispetto nei confronti del termine ‘paurà in senso lato, di conseguenza anche la paura del diverso non va minimizzata bensì va compresa e fronteggiata, non negandola ma assumendola con intelligenza. Mi piace, in quest’ottica, l’idea di poter provare a cambiare prospettiva perché va fatto presente che nell’incontro con lo straniero, non c’è solo la mia paura, la paura di chi accoglie ma anche la sua! Ho cercato fortemente nel romanzo di mostrare questa biunivocità della paura, in particolare sia nelle pagine in cui Clara trova Malaika (ed entrambe si guardano con sospetto, perché entrambe non sanno nulla l’una dell’altra) che nella scena in cui Clara deve aiutare Malaika a lavarsi ed entrambe si trovano l’una di fronte all’altra ognuno nella propria nudità, reale, corporea e psicologica. La paura del diverso va sradicata facendo perno sul ragionamento e sulla consapevolezza che l’identità non è mai statica e monolitica, la nostra identità è plurale e poggia su un tessuto costituito da molte maglie e molti colori. L’esclusione dell’Altro si risolve in un autismo sociale che crea autoisolamento producendo un sistema chiuso e asfittico, un processo autoreferenziale che non ci porta da nessuna parte. Ha senso lavorare su uno spostamento di prospettiva invece e riflettere su quanta ricchezza (culturale e sociale) ci portano i migranti e su quanto sia positiva l’inserzione, la sana convivenza che pur rispetta l’autonomia e l’identità laddove le differenze sono giustapposte senza che ad alcuno siano confiscate autonomia e identità. Le due protagoniste del mio romanzo devono fronteggiarsi con delle scelte importanti e in questa dinamica relazionale decidono di affidarsi, pur sapendo di correre dei rischi. Del resto cos’altro è l’amore per il prossimo se non il riconoscimento di una situazione critica e della disponibilità a farsene carico? Tutto questo ha a che fare con la responsabilità, e anche con la forte tensione etica che muove i miei personaggi.
Dall’accoglienza all’amicizia, davvero basta saper guardare?
Nella stesura del mio romanzo, man mano che davo vita ai personaggi, mi è capitato più volte di chiedermi chi aiutasse chi, e via via che le vicende si delineavano, era come se, in maniera assolutamente naturale e autonoma, la relazione tra le due donne diventasse sempre più reciproca. Ne ‘Le parole interrotte’ ad agire è il principio di intersoggettività, per cui il rapporto che si stabilisce con l’altro diventa inter-esperienza, comunicazione tra esperienze. La mia intenzione era quella di indagare in primo luogo su cosa ci muove a prendere delle decisioni così importanti come quella di scegliere, al cospetto di una situazione drammatica, di voltare le spalle o di intervenire. Qual è la scintilla che si accende dentro di noi in maniera imprevista e veloce, e che ci invita a tuffarci nell’ignoto scegliendo di agire! Se è vero che arriva sempre un momento in cui è necessario individuare se stessi, essere in relazione con la propria storia e con il proprio destino, ecco che a Clara (la protagonista) tutto questo si presenta come una ‘gestalt’ che va attraversata nel momento stesso in cui sceglie di porgere la mano. Ed è in quel momento che lei prende a confrontarsi con le proprie risorse, le proprie energie e anche qualcosa di assolutamente nuovo per lei come ‘incontrò e dunque anche come proiezione del sé. Clara è sicuramente una persona molto in contatto con le proprie emozioni e possiede quello ‘sguardo intercettante’ che è tipico dei fotografi, e anche degli scrittori. Ma è vero, lo sguardo non basta! In realtà lei possiede una capacità in più, quella di essere ‘angelo’ a qualcuno, quell’angelo necessario e laico cui allude Wallace Stevens nella sua splendida poesia e che forse ognuno di noi dovrebbe ritrovare dentro di sé, in quella capacità di comunicare con l’esperienza altrui che tutti abbiamo un po’ perso, concentrati come siamo molto spesso soltanto su noi stessi.
Francesca Palumbo è nata a Bari dove vive e insegna Lingua e Letteratura Inglese nelle Scuole Superiori, occupandosi anche di Alfabetizzazione e Certificazione dell’Italiano per stranieri. È counsellor di formazione Gestaltica e, nell’ambito scolastico, organizza laboratori sull’Intercultura. È membro dell’Associazione Donne di Carta, referente regionale del gruppo “Persone Libro”.
Scrive recensioni di romanzi e di graphic novel per riviste letterarie nazionali online, come Repubblica.it.
Prima del romanzo “Le parole interrotte” (Besa ed.) ha pubblicato la silloge di racconti “Volevo Dirtelo” e il romanzo “Il tempo che ci vuole” (Besa Editrice, 2010). che ha ricevuto il riconoscimento massimo delle ‘tre penne’ di Billy, il vizio di leggere, rubrica del TG1 dedicata ai libri; l’instant book “La vita è un colpo secco”(2014) in collaborazione con il disegnatore e fotografo Giacomo Pepe; e la graphic novel “In fondo” (2014) in collaborazione con la giovanissima illustratrice Lucia de Marco.