È iniziata sabato 23 gennaio e si concluderà probabilmente il 12 febbraio l’invasione pacifica degli spazi commerciali di Euroma2 ad opera dell’associazione Toponomastica femminile che in questo modo vuole mantenere viva o riaccendere la memoria delle tante figure femminili che in ogni epoca, con il loro lavoro, hanno contribuito al miglioramento della società ma che spesso la storia, quella scritta dagli uomini, ha dimenticato.
di Paola Spinelli
È iniziata sabato 23 gennaio e si concluderà probabilmente il 12 febbraio l’invasione pacifica degli spazi commerciali di Euroma2 ad opera dell’associazione Toponomastica femminile che in questo modo vuole mantenere viva o riaccendere la memoria delle tante figure femminili che in ogni epoca, con il loro lavoro, hanno contribuito al miglioramento della società ma che spesso la storia, quella scritta dagli uomini, ha dimenticato.
La toponomastica, con i nomi delle strade, costituisce una sorta di libro dove si può leggere la storia di un paese, con i suoi personaggi più illustri, le sue tradizioni più antiche, gli eventi considerati più significativi, i valori a cui si ispira. Ma in questa rappresentazione della città è per lo più assente il contributo dato dalle donne: in un libro immaginario che dovrebbe rappresentare la memoria collettiva sono troppo poche le pagine dedicate alle figure femminili, eppure le donne, la cui presenza è stata volutamente negata, non sono passate senza lasciare traccia e questa mostra DONNE E LAVORO lo dimostra con la ricchezza dei suoi novanta pannelli disposti per tutto il primo piano.
Dappertutto si vedono i grandi tabelloni a sfondo nero da cui si affacciano tante donne ed è come se quel fondo nero fosse una metafora dell’oblio in cui queste figure femminili erano precipitate e da cui riaffiorano e diventano protagoniste grazie al lavoro che Toponomastica femminile ha fatto in tutta Italia per rappresentare le tante professioni e i mestieri svolti dalle donne.
Ma… non finisce qui, la mostra è in divenire e si arricchirà di nuovi contributi.
Ci sono i pannelli con le foto delle targhe raggruppate per professioni: le “strade maestre”, con le maestre e le pedagogiste, le attrici, le imprenditrici, le scrittrici, le politiche, le partigiane, le levatrici e così via.
Poi ci sono i pannelli che rappresentano le varie professioni e i mestieri attraverso foto d’epoca e brevi ma documentati testi: le operaie, le tabacchine, le velare, cioè le donne che cucivano le vele, le retare, che intrecciavano le reti, le portatrici di ardesia, le ricamatrici, le lavandaie, le acquarole, le corallare, le merlettaie e così via. A questi si aggiungono i pannelli colorati con rappresentazioni grafiche e statistiche delle varie professioni.
Le pittrici sono rappresentate attraverso le loro opere, le cantanti e le astronaute con i loro ritratti.
Non mancano le scienziate, le musiciste, le giornaliste, le costituenti, le sessolote, ossia mondatrici di frutta triestine e tante altre donna ancora. L’elenco può continuare ma alla fine risulterebbe noioso, insomma questa mostra bisogna venire a vederla.
Un’altra particolarità della mostra è la scenografia che ha intorno. Si è fatta la scelta insolita di allestire questa esposizione all’interno di un centro commerciale per raggiungere un pubblico nuovo e più variegato del solito.
Qui tutte le donne rappresentate escono dai cassetti della memoria per stare in mezzo alla gente e, se ci pensiamo bene, è giusto che stiano qui, proprio come le targhe che sono sulle strade poiché il centro commerciale, con tutte le persone che l’attraversano, è come se fosse un concentrato di strade.
Qui si ripetono gli stessi comportamenti che vediamo nelle nostre vie dove a volte le persone alzano gli occhi per leggere il nome sulla targa, ma spesso camminano in fretta, distratte, senza vedere il nome della strada che percorrono. Nel centro commerciale questo avviene soprattutto di primo mattino. Le persone vanno di fretta e in genere sono dirette verso una meta precisa, non hanno tempo e una rapida occhiata alle foto è il massimo dell’attenzione concessa.
Le cose cambiano sul tardi, quando entra in gioco un’altra utenza, fatta di mamme, baby sitter, nonne e nonni con carrozzine che desiderano per lo più passare il tempo con lentezza, in un luogo coperto e sicuro, senza gli scossoni del selciato: i pannelli suscitano allora interesse e vengono letti anche integralmente e in sequenza.
A ora di pranzo si aggiungono studenti in gruppi misti o in coppie e terzetti amicali, per lo più femminili. Nel primo caso gli espositori sono del tutto invisibili, tanto da essere spesso urtati nell’esuberanza espressiva e motoria delle performance individuali, nel secondo e nel terzo caso, invece, attirano lo sguardo ma raramente l’attenzione, troppo presa ad ascoltare le narrazioni delle compagne. Qualche volta però, il nome impresso su una targa stradale o un volto in evidenza calamitano il passo, facendo sì che un pannello venga interamente fruito.
Nel pomeriggio e nel fine settimana la mostra ha il suo più largo pubblico: i tempi sono distesi e – udite, udite! – sono soprattutto gli uomini, in attesa di mogli e figlie rapite dalle boutique, a esplorare gli espositori, dapprima timidamente per poi perlustrarne i quattro lati con crescente curiosità e interesse.
Questa così articolata fruizione della mostra avvalora la bontà della scelta della insolita collocazione. Siamo convinte che un’osservazione anche poco attenta delle immagini possa comunque suggerire una chiave per decodificare il mondo che ci circonda e la curiosità di ritrovarne le tracce del lavoro femminile.
L’osservatore più attento, poi, ne esce con indossando lenti virtuali che gli permetteranno di valutare con altri occhi la realtà e di riconoscere, ad esempio, quando ammira il Cenacolo di Leonardo o l’Ultima cena del Ghirlandaio, il paziente lavoro delle donne perugine che tanti secoli fa hanno tessuto quelle straordinarie tovaglie.
Foto di Andrea Zennaro