Se fatto con cura, attenzione e profondità, il lavoro di costruzione collettiva di una narrazione fa germogliare consapevolezza e forza, e aiuta a trovare strumenti per cambiare il mondo..ad Altradimora
Tanto.
Troppo, e quindi tocca scegliere.
Così, per raccontare in due lampi qualcosa del seminario con Beatrice Monroy ad Altradimora dal titolo Ascolti? Ti /mi racconto una storia (violenza/sessismo/razzismo imparare a narrare) nel primo week end di febbraio lascerò che parlino Enrico, 13 anni da Imola, e Peter 27 anni da Castellazzo Bormida, unici maschi presenti alla tre giorni per intero, (Eugenio se n’è andato, purtroppo, sabato e le altre 12 partecipanti erano donne, dai 19 anni in su).
Rispondendo alla sollecitazione di Beatrice, che ha chiesto di condividere alcune parole di autopresentazione con il gruppo, Enrico, amante del sassofono e delle arti marziali, ha scelto musicale, serio e insicuro.
Dopo un momento nel quale si pensava di aver capito male ci è caduta la mandibola.
Io, a 13 anni, avrei fatto scena muta, in un gruppo perlopiù di persone sconosciute.
Peter, attivista entusiasta dell’associazione Estacion Esperanza (sì, va bè, vogliono vincere facile con il fascino caliente iberico, ma sono giovani, perdiana!) ha esclamato, prima del pranzo: “Dovrebbe essere sempre così. Questa è la politica!”
Non so voi, ma si tratta di uno dei complimenti più belli che abbia mai avuto, da quando faccio formazione e politica femminista.
Basterebbe, (e basta), l’emozione provata nell’ascoltare loro, e le altre parole e pensieri che hanno riempito le stanze di Altradimora a immagazzinare anticorpi poderosi per innalzare difese immunitarie contro i malanni di stagione, e quelli perenni della depressione sempre in agguato a vedere come vanno le cose fuori, nel mondo.
Davvero, se fatto con cura, attenzione e profondità, il lavoro di costruzione collettiva di una narrazione fa germogliare consapevolezza e forza, e aiuta a trovare strumenti per cambiare. Il mondo e se stesse, se stessi.
Non è poco.
Se darete un’occhiata alle (brutte) foto che ho scattato durante i nostri lavori vedrete il tappeto del salone nel quale hanno continuamente cambiato di posto i fogli che Beatrice ha scritto, riportando i nostri racconti: talvolta stentati, talvolta flussi, raramente impennate fulminanti che condensano immagini precisissime.
Persone sconosciute (alcune si vedevano per la prima volta), insieme in una stanza tra camino, stufa a pellet e coperte a strati, per quasi tre giorni hanno composto un racconto stranissimo e antico, nel quale il viaggio, reale o simbolico, è stato il tema conduttore.
Hanno viaggiato con noi: un gatto che sa il fatto suo, un canarino (ma forse anche più di uno), la ragazza intrappolata in ragnatele di flebo, un giovane rasta, due padri scappati di casa insieme, una madre che cuce al tombolo, un tizio che si chiama Lazzaro e non è morto per niente, gente di taverna, una immigrata con un diario che racconta la storia di un giovane morto ammazzato e altro di più che non ricordo adesso, ma appena riesco compongo un mosaico con le immagini che ho girato, e rendo disponibile il pdf della nostra narrazione collettiva che Beatrice, da consumata maieuta, ha aiutato a venire alla luce nella magia di questi giorni. Stay tuned, e hasta sempre 🙂