L’immagine della merlettaia è quella trasmessa da vari dipinti di Vermeer, che la rappresenta china sui fuselli, intenta a intrecciare fili in un motivo forse tramandatole dalla nonna.
L’immagine della merlettaia è quella trasmessa da vari dipinti di Vermeer, che la rappresenta china sui fuselli, intenta a intrecciare fili in un motivo forse tramandatole dalla nonna.
La postura suggerisce un tono di raccoglimento, di interiorità di sé e dell’ambiente domestico. La figura assume valore di metafora nel film LA MERLETTAIA di Claude Goretta (1977), dove una giovanissima Isabelle Huppert appare ripiegata su se stessa, racchiusa nel suo bozzolo di persona timida, introversa, di aspirazioni semplici e casalinghe.
Il riferimento al cinema non è casuale. Chi visita il Musée des Dentelles et Broderies a Caudry (Francia) potrà lustrarsi gli occhi con le foto dei costumi valorizzati da varie attrici e in vari film. Nel 1953 Marilyn Monroe appare in un bustier di pizzo bianco della maison Sophie Hallette. Nel 1962 la rivista LOOK mostra in copertina Jackie Kennedy con mantiglia di pizzo nero di produzione locale. Sotto i riflettori anche l’abito da sposa di Kate Middleton, che il 29 aprile 2011 si unisce in matrimonio al principe William d’Inghilterra portando un modello Alexander McQueen con strascico in pizzo di Solstiss. Nel 2014 Sophie Hallette fornirà a Oscar de la Renta il pizzo bianco per le nozze di Amal Alamuddin con George Clooney.
Nel film KILL BILL del 2004 l’abito da sposa di Uma Thurman era una creazione dell’azienda Beauvillain Davoine, già produttrice del pizzo per l’indossatrice Heather Mills che nel 2002 impalmava Paul McCartney dei Beatles. La stessa maison nel 2013 vestirà la principessa Maddalena di Svezia. La Solstiss ha avuto l’esclusiva sulla fornitura dei pizzi utilizzati per IL GRANDE GATSBY (regia Baz Lurhmann) da Catherine Martin, che conquisterà il premio per i migliori costumi al 66esimo festival di Cannes. Nel 2015 Madonna lancia l’album REBEL HEART in un modello di pizzo André Laude, un produttore spesso presente nei défilé d’alta moda, tra cui immancabili quelli di Christian Dior.
Alla maison Jean Bracq si deve l’abito che Michelle Obama esibisce nel maggio 2009 per la cerimonia di insediamento del marito Barack come presidente degli Stati Uniti.
Nella storia della moda i pizzi hanno sempre trionfato per adornare con preziosità e maliziose trasparenze. Nel XX secolo non esiste couturier che non vi abbia fatto ricorso. La mostra al primo piano del museo testimonia una passerella di nomi prestigiosi: Coco Chanel, Christian Dior (1947 collezione Corolle), Yves Saint Laurent (linea Trapezio), Hubert de Givenchy (linea Sack prediletta da Audrey Hepburn).
I materiali cambiano per soddisfare nuove esigenze di durata e praticità. Si inventano fibre sintetiche come poliestere, poliammide e acrilico. Di queste si avvale la Op Art, che sostituisce i motivi geometrici a quelli floreali. Siamo negli anni Sessanta del Novecento e sfondano gli emergenti André Courrèges, Paco Rabanne, Pierre Cardin. La novità proviene dalla plastificazione del pizzo, su un solo lato o su entrambi. E non mancano gli effetti di losanghe, pois, scacchi e righe, giocati su vuoto/pieno, più o meno opaco o trasparente.
Persino la moda punk ricorrerà ai pizzi, magari senza le perle e le paillette inserite sul tulle dai macchinari Cornely, che sovrappongono motivi di ricamo. In parallelo i movimenti Disco e Hippie sviluppano tendenze diverse, finché Vivienne Westwood sbaraglia il mercato con le lacerazioni, i tagli, gli sfregi. Una provocazione, non solo di lusso. E poi e poi… la moda è in continua evoluzione e non cessa d’introdurre scoperte, senza mai trascurare il merletto.
Qui siamo comunque già in epoca moderna.
Nel XIX secolo la grande novità è la rivoluzione industriale, che nella fattispecie si riassume nei due nomi di Leavers (telai meccanizzati, 1891) e Jacquard (schede perforate antesignane dei computer, quindi collegabili alle ricerche di Ada Lovelace autrice delle note sulla macchina analitica di Charles Babbage e “prima programmatrice”).
Oggi le tappe della filiera sono: 1) creazione, 2) preparazione, 3) fabbricazione, 4) finissaggio.
1) Il disegnatore, manodopera qualificata con almeno 5 anni di formazione, traccia il bozzetto, annota i passaggi dei fili su una scheda cartonata successivamente codificata dal tabulato, che verrà letto dalla perforatrice guidata da un pantografo. Le varie schede sono poi unite per consentire il ciclo continuo.
2) Il funzionamento si basa su tre tipi di rulli o bobine, che creano l’immagliatura grazie a 10.000 fili intrecciati (filo di “bobina” e filo dell’ordito di fondo).
3) Il telaio produce 2 metri all’ora e può dare il tulle senza motivi oppure con motivi.
4) Il finissaggio consiste nel controllo di eventuali difetti (derivanti da interruzioni del funzionamento) e, in caso di bisogno, nell’intervento manuale per correggere l’errore. Seguono il lavaggio e l’inamidatura (con gradi più o meno rigidi di appretto). Si passa poi alla rifilatura del contorno e al taglio dei fili superflui. Talvolta è richiesta la separazione delle strisce di pizzo e si rende necessario il ricamo con paillette, perle, nastri… Si sta affermando anche la tintura.
Attualmente il doppio marchio Calais-Caudry si è unificato, specializzandosi in due settori distinti: rispettivamente lingerie e abbigliamento. Calais detiene il primato mondiale di produzione dei pizzi Leavers e conta la presenza di circa 1000 telai sui 1200 presenti in tutto il mondo. Un patrimonio raro, soprattutto se si considera che dall’inizio del XX secolo i telai Leavers non vengono più costruiti a causa dei procedimenti molto complessi e costosi che richiedono. Si fabbricavano in Inghilterra (in origine a Nottingham) ma dopo la prima guerra mondiale l’attività è cessata.
Alla domanda su che cosa succederà in futuro la risposta è che si tratta di strutture in ghisa e acciaio, praticamente indistruttibili. Con una buona manutenzione costante e il recupero di pezzi da macchine fuori uso non c’è limite di tempo. Speriamo!
Il cambio dei rulli eseguito dal “tulliste” è un’operazione molto pesante, quindi la manodopera è esclusivamente maschile. Tranne per le “finezze”, che rimangono appannaggio delle donne (vedi sopra, fase 4).
I telai Jacquard prendono il nome dal costruttore Joseph-Marie Jacquard e sono molto presenti nell’industria tessile. La loro caratteristica per quanto riguarda i pizzi è il punto tricot, molto più semplice e veloce dell’intreccio di trama e ordito dei telai Leavers, ma con risultati meno fini, motivi meno definiti, un fondo piuttosto uniforme e un aspetto “piatto” privo di spessore.
A Calais rimangono 6 ditte produttrici e a Caudry altre 7.
Ne esistevano in Spagna e Usa, ma ormai non c’è più convenienza a tenerle operative. Anche in Italia ormai prevale la produzione industriale, per esempio presso la ditta Pizval, di Somma Lombardo (Va).
Ci resta il rimpianto per l’atmosfera, ben descritta da Barbara Belotti nella mostra di Toponomastica Femminile dedicata ai lavori femminili:
“Merletti, pizzi e trine sono termini che indicano prodotti realizzati senza alcun supporto di tessuto, accostando i punti con ago e filo, oppure intrecciando un certo numero di filati trattenuti da particolari rocchetti chiamati fuselli.
Le mani esperte e agili delle merlettaie hanno intrecciato, nel corso del tempo, fili sottili di lino, di seta, di argento e d’oro sostituiti in parte, nel XX secolo, dal cotone.
L’abilità, la creatività e la pazienza di numerose donne, molte delle quali rimaste nell’anonimato, hanno prodotto forme bellissime e delicate utilizzate per i paramenti sacri dei prelati che raggiungevano alte cariche, per i capi di abbigliamento indossati da sovrani e sovrane, per la biancheria utilizzata da uomini e donne dell’aristocrazia italiana e europea.
La lavorazione del merletto è un’attività femminile che si è diffusa in molti paesi d’Italia. Per alcune realtà geografiche questa cultura materiale si è sviluppata fra le mura dei conventi, dove migliaia di giovani donne vennero costrette dalle famiglie alla vita di clausura. In altri casi la tradizione dei merletti si è tramandata di madre in figlia, divenendo sostegno significativo delle incerte risorse economiche familiari.
Le donne si dedicavano al merletto dopo aver compiuto molte altre mansioni, dalla cura della casa e della famiglia al lavoro nei campi; la loro attività si svolgeva spesso nei vicoli, di fronte alla porta di casa, insieme ad altre donne del paese, condividendo l’intreccio dei fili con quello del racconto e dei commenti delle notizie quotidiane.
La bellezza dei prodotti creati non deve far dimenticare le precarie condizioni di lavoro cui erano sottoposte le merlettaie, pagate poco a fronte di molte ore di lavoro, svolto perfino di notte per riuscire a rispettare le richieste di commercianti e venditori.
Anche quando le donne furono impiegate come operaie in ditte specializzate nella produzione del merletto, le loro condizioni lavorative non migliorarono”.
Di questo mondo in estinzione mi è caro il ricordo dei racconti di mia madre, che nella campagna padovana, con le sorelle, dopo una giornata di lavori agricoli, di sera nella stalla (unico locale caldo) ricamava su commissione. Lei si vantava di aver ricamato il velo da sposa della principessa Mafalda.
Sono stati consultati:
Dossier de Presse Musée Caudrésien des Dentelles et Broderies
Info Cité Dentelle Mode, Calais
http://www.pizval.com/
https://www.slideshare.net/mobile/CarloRandone1/babbage-e-le-sue-macchine-carlo-randone-14-dic-2015
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Merletto
http://www.solstiss.com/lace/history-of-leavers-lace/
https://www.cs.arizona.edu/patterns/weaving/books/rv_ll_02.pdf