La storia delle gelsominaie è una vicenda amara, oggi dimenticata. Tuttavia di queste donne coraggiose – consapevoli del valore del proprio lavoro – rimane, inestinguibile e perpetuo.
dal saggio “Tante Donne“ di Vittoria De Marco Veneziano
Tra gli innumerevoli profumi di Sicilia, terra tanto amata da Goethe e da Hackert – famoso pittore di marine che, durante il suo viaggio in Sicilia, dipinse i porti di alcune città siciliane – non possiamo non rammentare quello del gelsomino: una pianta dai fiori profumatissimi, bianchi, piccoli e delicati.
A Milazzo, già agli inizi del secolo scorso, si coltivava il gelsomino. Tuttavia la coltura della pianta, a scopo industriale, viene intrapresa solo all’inizio degli anni trenta. Qui erano sorte diverse distillerie per la prima e sostanziale lavorazione del profumatissimo fiore la cui “concreta”, una pasta giallognola, veniva inviata, soprattutto in Francia, per l’industria dei profumi.
La raccolta del fiore stellato era affidata alle donne: le gelsominaie, occorrevano mani leggere per raccogliere il minuscolo fiore.
Le condizioni di lavoro di queste donne erano difficili e dure. Si trattava di un lavoro stagionale, da giugno a settembre.
La raccolta iniziava intorno alle tre del mattino – nel momento in cui il profumo dei fiori è più intenso – e proseguiva fino al sorgere del sole, comunque non oltre le nove perché, con i raggi solari, si sarebbe ossidato il bianco del fiore.
Le gelsominaie lavoravano scalze, in condizioni disumane, in luoghi umidi che diventavano acquitrinosi – per via dell’irrigazione che era fatta in tarda serata – con i piedi immersi nel fango fino alla caviglia. La schiena curva, esposte all’umidità della notte e a devastanti malattie come “l’anchilostomiasi”: una malattia che determinava anemia molto grave, causata da vermi parassiti nascosti nel terreno umido, che penetravano nell’organismo attraverso le piaghe provocate dal contatto diretto del piede nudo con la terra fangosa.
Le raccoglitrici se non avevano a chi lasciare i propri figli, li portavano con loro; i più piccoli dormivano nelle ceste sistemate tra le piante, quelli più grandi aiutavano a staccare i piccoli fiori e ad aumentare la quantità del raccolto poiché le loro madri venivano pagate a peso e non ad ore.
Le gelsominaie bambine erano le più richieste proprio perché – con le loro minuscole dita – potevano cogliere meglio, senza sciuparlo, il delicato fiore.
Le durissime e inaccettabili condizioni di lavoro spinsero le gelsominaie di Milazzo a rivendicare un trattamento più adeguato e dignitoso. Dai documenti dell’epoca risulta che il primo sciopero – nell’agosto del 1946 – fu proclamato per il contratto. Le raccoglitrici percepivano 25 lire per un chilogrammo di fiori raccolti (ne occorrevano più di seimila per un chilo!!!).
Grazie al primo sciopero il salario fu elevato a 50 lire.
Le gelsominaie erano donne combattive. Molte di loro furono fermate e trascorsero alcuni giorni nelle camere di sicurezza. Tuttavia non si arresero. Furono protagoniste di numerose altre lotte grazie alle quali ottennero bilance automatiche per la pesata dei fiori, grembiuli, stivali per proteggere le gambe dagli insetti e un orario di lavoro più accettabile.
Occorre anche ricordare il ruolo del sindacalista Tindaro La Rosa che, insieme alla moglie Eliana, ebbe un ruolo determinante nelle estenuanti lotte delle raccoglitrici di Milazzo.
Le loro gesta si diffusero per tutta la Sicilia, coinvolgendo le lavoratrici di altri settori, fino a giungere oltre lo stretto.
Significativo il gesto delle raccoglitrici di olive della provincia di Lecce che, nel 1959, bruciarono in piazza il “posciu”: una specie di grande grembiule-marsupio in cui dovevano deporre le olive raccolte. Esso poteva contenere circa 16 chilogrammi di olive e obbligava le donne – mano a mano che la grande tasca si riempiva – a stare sempre più piegate. Dopo il gesto emblematico di bruciare in piazza il “posciu”, l’orrendo arnese di tortura… non fu più usato.
La determinata protesta delle gelsominaie di Milazzo andò avanti nel tempo, e permise loro di assicurarsi – intorno agli anni ’70 – una paga pari a 1.050 lire per chilogrammo di fiori raccolti.
Quando questo delicato profumo iniziò ad essere prodotto chimicamente scomparve a Milazzo la coltivazione del fiore stellato.
La storia delle gelsominaie è una vicenda amara, oggi dimenticata.
Tuttavia di queste donne coraggiose – consapevoli del valore del proprio lavoro – rimane, inestinguibile e perpetuo, l’ardimento che riuscirono a dimostrare lottando per i propri diritti, diventando così testimoni indelebili delle prime lotte intraprese in favore dei diritti del loro genere.
Donne che non abbassarono la testa, capaci di farsi ascoltare ed apprezzare.
Donne che si impegnarono per far valere le proprie ragioni.