La crisi coniugale e la conseguente separazione, consensuale o giudiziale che sia, comporta una regolamentazione dei rapporti tra i coniugi e tra i genitori, sia di natura prettamente personale, sia di natura patrimoniale.
Tra tali regole vi è anche la modalità con cui i figli devono incontrare il genitore non collocatario, quello cioè che è uscito dalla casa coniugale ed ha pertanto un diritto/dovere di vedere i figli e di rappresentare per loro, nonostante la diversità delle abitazioni, un continuo riferimento come modello genitoriale, al quale rapportarsi ed articolare la propria crescita.
Al riguardo, non esistono “modelli tipo” ai quali fare riferimento, per cui tali modalità vengono negoziate tra i genitori in caso di consensuale o stabilite dal Tribunale in caso di giudiziale, tutto ciò vale anche nel caso di divorzio congiunto o giudiziario, ovviamente anche nei casi di richieste di modifica delle condizioni.
La prassi vuole che il genitore che non vive più con i figli, li incontri a fine settimana alterni ( e qui i giorni possono variare dal venerdì alla domenica, dal sabato al lunedì mattina con riaccompagna scuola, ecc.ecc), una/ due volte durante la settimana con eventuale pernotto tra un pomeriggio e l’altro.
L’introduzione della legge sull’affidamento condiviso ha di certo portato una maggiore considerazione dei diritti del genitore non affidatario e, tra questi, anche quello relativo alla frequentazione con i figli che sono rimasti in casa, si è pertanto ampliato il tempo in cui i figli sono in compagnia e frequentano il genitore con cui non convivono.
Al riguardo esistono diverse impostazioni e teorie, c’è chi è favorevole ad un’ampia frequentazione e c’è chi è contrario, secondo questi ultimi se è vero che il rapporto di un figlio deve avere entrambi i genitori come riferimento è anche vero che i minori – già provati dalla separazione del loro padre e della loro madre – devono avere una vita che si svolge con una certa stabilità, e, nel concetto di stabilità di vita, rientra certamente evitare che i ragazzi siano sottoposti ad un continuo spostamento tra la casa del padre e la case della madre, con le valigie in mano, con lo zaino con i libri in spalla e con un senso di frammentazione del loro sé.
Ecco, pertanto, che i genitori collocatari in genere spingono affinchè i loro figli restino in casa più tempo e non vengano “sballottati” tra un appartamento e l’altro, di contro molti genitori non collocatari cercano di avere con sé i figli per il maggiore tempo possibile.
E’ vero che i minori sottoposti ad un regime di continui spostamenti possono presentare, nel tempo, alcuni disagi come ad esempio forme di iperattivismo o difficoltà di concentrazione, con conseguente minore resa scolastica.
Di recente, sul punto, si è espresso il Tribunale di Roma in un procedimento giudiziario per affidamento di minori, in cui il padre, che aveva già lasciato la casa familiare, chiedeva un pernotto infrasettimanale con i figli, in particolare i Giudici si sono così espressi :” i figli minori hanno rispettivamente 5 e 3 anni. Sul regime di affidamento, collocamente dei fili e sull’assegnazione della casa familiare c’è convergenza di domande tra le parti e il Tribunale….ritiene l’assetto conforme all’interesse dei minori. In ordine alla frequentazione infrasettimanale del padre ( su cui non c’è concordanza) su ritiene di limitare il pernotto infrasettimanale alle settimane in cui i minori staranno con la madre per il week end onde evitare una periodo lungo di distacco dalla madre, sconsigliato anche in relazione dell’età ancora tenera.”
Insomma, è opportuno che figli, specie se piccoli, siano abituati ad una stabilità che li aiuta anche nel sentirsi più sereni e meno “contesi”.
Come al solito le scelte migliori sono quelle non estreme, per cui personalmente ritengo più utile una permanenza presso la casa del genitore collocatario, che preveda due/tre giorni accorpati e consecutivi, anzicchè un “frequente andirivieni”.