Non è facile dare una definizione precisa del “dipendente affettivo”.Per semplificare, con dipendenza affettiva si indicano quelle condizioni relazionali che portano donne e uomini, altrimenti autonomi, a manifestazioni di disturbo della personalità, contraddistinte da una insicurezza di fondo che porta ad aggrapparsi all’altro.
Donne e uomini in cui fiducia, forza e autostima sono presenti in un livello molto basso, se non del tutto assenti, alla frenetica ricerca di compensazioni esterne. Questi tratti di personalità possono emergere anche in persone apparentemente autonome e indipendenti, che, tuttavia, nell’ambito della sfera affettiva più intima, in determinate situazioni di coinvolgimento affettivo, possono arrivare a scompensarsi gravemente, rivelando fragilità inattese.
Normalmente, le persone arrivano con una richiesta di aiuto quando sperimentano una separazione sentimentale avvertita come insostenibile. Ci tengo a precisare che non vanno considerate dipendenti affettive quelle persone che sono riuscite a sperimentare una qualità profonda di amore e che sentono il desiderio interiore di condividere la loro pienezza con l’altra persona. Questa condizione è anzi molto vicina alla realizzazione piena di sé, è una condizione piena di luce e amore, ed è proprio questa condizione di benessere emozionale che la nostra metodologia di aiuto intende promuovere.
Le esperienze innamorative danno una sensazione di pienezza, ma talvolta succede che appena il vissuto si incrina o viene meno, o semplicemente si percorre con la mente questo pensiero catastrofico, alcune persone vedano spalancarsi dentro di sé la sensazione di mancanza. Un senso di mancanza che in alcuni casi può essere tanto forte e persistente da arrivare a togliere il senso e valore al Sé e alla vita.
Come agisce un dipendente affettivo? Ci sono alcune spie ricorrenti: tende al controllo di sé e degli altri nonostante conosca la possibilità di incorrere inconseguenze negative; arricchisce la propria autostima in base al controllo e alla modificazione che riesce a portare sull’altro; tende ad assumersi anche responsabilità non richieste; non sa gestire il confine tra sé e l’altro, preferendo occuparsi delle esigenze dell’altro piuttosto che dei propri bisogni. E’ anche facile che il dipendente assommi in sé una generale tendenza alla dipendenza: alla persona amata, così come al gioco o a sostanze. In breve, non conosce i propri confine e non riesce a vivere le sue esperienze con moderazione, ma tende sempre all’eccesso.
Questa fragilità affonda le sue radici in infanzie non del tutto fortunate, che possono essere state violate da forme, minori o maggiori, di disattenzione ai bisogni fondamentali del bambino, con genitori non capaci di sostenere la sua sicurezza e di farlo sentire meritevole di amore di per sé stesso, nella sua unicità e nelle sue qualità, e centro indiscutibile della sua propria esistenza.
Le ferite principali sono connesse ad un senso di abbandono, di deprivazione, di vergogna e ad un vissuto che rimanda al non sentirsi meritevoli di amore. A tutto questo spesso si unisce un senso di tradimento e di vuoto affettivo, reale o minacciato, che in breve tempo diventa insostenibile.
Spesso vi è la tendenza a compensare questa carenza nella relazione intima. Più intima è la relazione e più sentiamo di valere perchè l’altro ci apprezza. Quando siamo coinvolti in questo tipo di relazioni, affidiamo all’altro il potere di misurare il nostro valore, poiché facciamo nostra l’immagine che l’altro ha di noi.
All’interno della coppia non vi è la consapevolezza che il benessere individuale è raggiunto grazie ad una reciproca fittizia compensazione, nella quale il vuoto di ciascuno è colmato dalla presenza e dall’apprezzamento dell’altro, proiettando il bisogno di accettazione che nell’infanzia attendeva – più o meno invano – dai genitori. Può essere che talvolta, quando sentiamo dire “siamo fatti l’uno per l’altro/a” dobbiamo sospettare che si tratti di una relazione nella quale avviene una reciproca compensazione dei vuoti. Sono spesso i tratti più fragili e vulnerabili della personalità che creano attrazione reciproca tra gli individui, creando legami ad incastro molto difficili da sciogliere anche quando sono di vicendevole ostacolo e arrecano a ciascuno dei partner più sofferenza che emancipazione e benessere.
Se l’altro muore, o la relazione finisce, la perdita è sperimentata non come perdita di una persona separata, ma come perdita di una parte di noi stessi, e la sensazione di vuoto e di angoscia è insostenibile. Chi resta, si sente come svuotato, amputato, e nuovamente privato di valore, di sicurezza, di forza, di volontà.
E’ per questo che il lavoro di aiuto per le dipendenze affettive non può che partire da un lavoro di ricostruzione del Sé: la mancanza di consapevolezza della nostra essenza genera un buco che ci fa sentire tagliati fuori dal contatto più profondo con noi stessi.
Più coltiviamo la nostra essenza, più questo sostituirà una gran parte della vecchia struttura della personalità, della mente, dei modelli di comportamento consueti, portandoci più in profondità, dandoci più vitalità, più senso reale di ciò che siamo veramente.
Soltanto grazie a un’attitudine di benevola autoaccettazione, arrivando a tollerare con compassione e presenza mentale il disagio della mancanza, solo così potremo entrare in contatto con l’Essenza e la qualità mancante nascerà spontaneamente dalla profondità dell’essere.
Il mio personale approccio di aiuto nelle dipendenze, basato su Gestalt, Essenza ed Enneagramma, aiuta a riscoprire ciò che siamo già e a reintegrare con consapevolezza e amore ciò che apparentemente abbiamo perso, ma che è lì ad aspettarci: l’Essenza.
Per il dipendente affettivo è fondamentale sentirsi meritevole di amore e stabilizzare un senso di sé sufficientemente forte da fare sì che il contatto emozionale non si traduca in un’ esperienza travolgente con potenziale compromissione o perdita delle funzioni dell’Io.