UK. SARA’ THERESA MAY A GUIDARE UN PAESE SEMPRE PIU’ INCLINE ALLA LEADERSHIP FEMMINILE
Gradita o meno agli uomini, l’era della supremazia politica femminiIe è finalmente giunta. Sono sempre più numerose le donne che, a dispetto della tradizionale egemonia maschile, riescono a conquistare le redini del potere. Asia (Bangladesh, Thailandia, Corea del Sud), Africa (Liberia), America centromeridionale (Trinidad-Tobago, Giamaica, Antigua-Barbuda, Saint Lucia, Argentina, Brasile). Probabilmente anche gli Usa potranno a breve vantare la prima presidentessa della storia.
Diversa invece la realtà del Vecchio Continente dove, eccezioni a parte (Germania e Islanda innazitutto), il vento innovativo non ha ancora travolto il tradizionalismo vigente. Quello britannico resta insomma il contesto più rappresentativo del cambiamento in atto: Nicola Sturgeon (responsabile dello Scottish National Party), Leanne Wood (alla guida della formazione gallese Plaid Cymru), Natalie bennett (Green Party) Arlene Foster (numero uno nordirlandese) sono solo alcune tra le principali protagoniste della scena politica.
Nel Regno Unito infatti l’egemonia maschile sembra effettivamente avviata verso un inesorabile declino, tanto che mentre l’United Kingdom Independent Party si appresta a designare Suzanne Evans o Diane James alla successione di Nigel Farage, i membri del Labour Party confidano nelle capacitò di Angela Eagle per poter definivamente sconfessare la leadership di Jeremy Corbyn.
Certezza assoluta anche sulla presenza femminile a Downing Street. In assenza di rivali (la titolare di Energia e Cambiamento climatico Andrea Leadsom ha rinunciato definitivamente alla competizione in seguito alle polemiche scaturite dalle sue esternazioni circa i presunti vantaggi politici offerti dalla maternità) sarà l’attuale Segretario di Stato Theresa May a raccogliere il testimone del primo ministro uscente David Cameron. L’investitura ufficiale avverrà il 13 luglio: alla luce delle circostanze vigenti sarebbe infatti perfettamente inutile posticipare la consegna del mandato (nel novero di cinque nominativi il Tory Party al governo aveva individuato le due candidature alla premiership tra cui, il 9 settembre prossimo, i 150mila iscritti avrebbero dovuto scegliere).
“Nel corso delle settimane entranti cercherò di ovviare all’incertezza che in questo periodo critico ci sta attanagliando“, ha precisato la futura premier. “Affronterò le problematiche nazionali con particolare attenzione a produttività e revisione dei salari in modo da incentivare la crescita economica. Voglio rassicurare che la volontà popolare relativamente al distacco della Gran Bretagna dall’Unione europea sarà rispettata e perciò mi impegno sin d’ora a negoziare nei termini migliori, funzionali al ruolo inedito che rivestiremo sul piano globale. Attraverso il referendum, la cittadinanza ha lanciato un messaggio inequivocabile ed è nostro dovere rispondere di conseguenza“.
Europeista convinta con una lunga esperienza nel gabinetto governativo è riuscita a conquistare persino le simpatie di Michael Gove (Segretario del Dipartimento di Giustizia) e Boris Johnson (ex sindaco di Londra), tra i principali fautori della Brexit. I dissapori interni al parlamento non sono tuttavia mancati. “La nomina della May è’ semplicemente inconcepibile”, ha infatti tuonato il capo dei liberal-democratici Tim Farron. “Non ha vinto le elezioni del suo partito su scala nazionale“.
Ma poco importa: il destino del paese è ormai tracciato e presto i sudditi di Sua Maestà potranno avvalersi di un nuovo staff esecutivo. Occorre risalire al 1979 per assistere all’unica circostanza analoga: l’ascesa di Margareth Thatcher al vertice di un paese che forse non era ancora pronto ad affidare il comando a una donna.
Eppure lei, figura autorevole e incisiva – soprannominata Queen Bee (ape regina) a causa della propensione a circondarsi di uomini carismatici e potenti – ha saputo infrangere le barriere del pregiudizio e imprimere quindi una traccia davvero indelebile nell’intero sistema istituzionale.
Del resto, a differenza dei laburisti, i conservatori – che non tollerano alcuna discriminazione – si sono sempre attivati per coltivare talenti femminili da inserire in settori strategici, magari mediante organizzazioni quali Conservative Women o Women2Win.
“L’assenza assoluta di quote è altamente indicativa circa la tendenza dominante“, ha osservato il giornalista del Times Tim Montgomerie, ex membro del partito. “Così le donne sono costrette a competere con gli uomini in temini identici e ciò ha indubbiamente contribuito alla formazione di politici migliori“. Il risultato è che nell’ultima decade il numero delle parlamentari tories è quasi quadruplicato (da 17 a 68)