Una tragedia del secolo scorso. Qui dove il futuro tarda ad arrivare
Quasi una tragedia del secolo scorso. Il treno, innanzitutto. Una modernità mai veramente compiuta. Le persone protagoniste, professioni, profili, identità orami desuete.
Il ferroviere, lo studente, il contadino, l’operaio pendolare, e ancora il vigile, l’infermiere, il cittadino anonimo che dona il sangue, il poliziotto. Una tragedia declinata in italiano, niente smart traffic o project financing, nessun problem solving a pontificare, comunicatori finalmente silenti con nulla da suggerire ai committenti. Sindaci, presidenti, autorità di colpo sembrano normali, piccoli, perfino fragili.
Uomini del Novecento, quando il politico era spesso per strada, a sporcarsi le scarpe o stare accanto ad un pozzo ad ascoltare la voce ed il respiro di un bambino caduto in un pozzo. Parole come destino e fato a scompaginare pagine di razionalismo post moderno, la debolezza dell’uomo riscoperta nel tempo in cui ci sentiamo quasi invincibili nel progredire di un mondo sempre più ipertecnologico, perennemente connesso, interattivo, previdente e onnipresente.
Ritroveremo da domani i vizi della modernità, ne siamo certi. I verbi torneranno ad essere declinati al futuro: faremo, provvederemo, costruiremo. Oggi gli uomini di questa regione sono raccontati per sempre con il loro legame fisico, organico con la terra, i muretti della retorica, gli ulivi della vita e della morte. Sa di altri tempi, questa tragedia, ma non consola, non può che rendere invece tutto più amaro. Non serve il racconto del Sud vittima del vecchio.
Questa è anche terra di modernità e di futuro, se solo riuscisse a realizzarlo. Aspettiamo con paura il domani, i rimpalli le lungaggini, le verità impossibili, i mille processi e gli anni che andranno persi. Come nell’eterno, ricorrente, maledetto Novecento del nostro inverno. Quello delle tragedie mai risolte, dei disastri senza colpevoli. La primavera del futuro tarda ad arrivare.
Corriere del Mezzogiorno di giovedì 14 luglio