DAESH. IMMAGINI ESTORTE E QUOTAZIONI ONLINE: IL CALVARIO DELLE PRIGIONIERE YAZIDE
In aperto spegio all’esegesi coranica, i fautori del fondamentalismo islamico non hanno dubbi: nelle aree assogettate alla Sharìa, la schiavitù femminile deve assere autorizzata (“Un uomo può sposare due, tre o quattro donne“, recita la Sura 4.3 del Libro, “se però teme di essere ingiusto ne scelga una sola o ricorra alle ancelle che le vostre destre possiedono“). In tal senso, i radicalisti vanno indubbiamente ritenuti pionieri dell’era moderna. Sono infatti almeno tremila le donne tuttora indebitamente trattenute entro i confini sempre più labili del Califfato, entità non statuale summa di barbarie e alta tecnologia.
Costantemente maltrattate, umiliate, sfruttate, abusate. In perenne attesa di una redenzione che forse non avverrà mai. Alcune provengono dalle aree curde dell’Iraq settentrionale: in maggioranza yazide, rapite in seguito alla devastazione operata dai jihadisti nell’agosto 2014. Grazie alla mediazione di contrabbandieri arabi e curdi nonché al versamento di un riscatto da parte dei rispettivi familiari (il governo autonomo del Kurdistan ha finora provveduto al rimborso di somme superiori 15mila dollari), alcune sono state rilasciate al ritmo di 139 al mese.
Numero ultimamente ridotto a 39: del resto, i guerriglieri si sono affrettati ad assassinare i mediatori incapaci di raccimolare le cifre inizialmente pattuite.”La gente è troppo indebitata non ha più soldi. Ci sono ancora troppe donne detenute in regime di cattività, ma raggiungerle è diventato quasi impossibile“, ha commentato Andrew Slater, rappresentante di Yazda, associazione onlus preposta alla raccolta di informazioni.
“Registrano accuratamente ogni prigioniero sotto la loro tutela, così se qualcuno scappa viene subito identificato dalle forze di sicurezza o fermato ai check-point. Ormai è davvero difficile scappare”, ha osservato Mirza Danai, fondatrice dell’organizzazione umanitaria tedesco-irachena Luftbrucke Irak.
La 18enne Lamiya Aji Bashar tuttavia è riuscita: “Ci avevo provato altre due volte senza successo e alla fine ce l’ho fatta. Mi è esplosa una mina in faccia, ho perso un occhio. Tuttavia è valsa la pena di rischiare, sebbene i mei abbiano dovuto pagare 800 dollari“.
Si è salvata anche Nadia Mourad che dalle sedi del Congresso statunitense e del parlamento europeo ha lanciato un appello al mondo: “Il Daesh è orgoglioso del trattamento riservato agli yazidi (ritenuti subumani poiché seguaci di un culto ibrido derivante da Islam, cristianesimo e zoroastrismo, n.d.r.). La comunità internazionale deve intervenire con urgenza“.
Donne schedate, dunque. Immortalate su istantanee destinate a incrementare il già nutrito database califfale. Ragazze di età rigorosamente inferiore ai trent’anni (alcune addirittura bambine) ritratte con gli abiti migliori, perfettamente truccate e agghindate. Costrette talora a sfoggiare radiosi sorrisi rivolti al nulla, immerse in un dolore che il semplice obiettivo fotografico non potrà mai cogliere.
Vittime sacrificali da immolare sull’altare del nuovo carnefice che le acquisterà online: un vero affare, per gli integralisti, che dal traffico delle schiave seguita a trarre ingenti profitti. Le immagini di 48 sventurate sono state annoverate persino tra gli annunci pubblicitari dei principali social network (Telegram è particolarmente diffuso in Medio Oriente), accessibili da qualunque smatphone. Esibite sul web a guisa di inerti trofei equiparabili a oggetti banali, armi, e strumentarioni offensive varie .
“Vergine. Anni 12. Quotazione raggiunta: 12500 dollari. Disponibilità immediata“, precisa un’eloquente didascalia. Tavolta le madri non vengono separate dai figli. E’ il caso di una yazida, in vendita a 3700 dollari insieme al neonato di sette mesi: “Ha chiesto di cambiare padrone“, ammonisce un post apparso su Whatsapp, (Matt Steinfield – rappresentante della società conglobata a Facebook – ha esortato gli utenti a segnalare eventuali usi impropri della rete).
“Da una simile depravazionesi evince chiaramente il degrado in cui sono sprofondati i veri nemici della fede islamica“, ha tuonato John Kirby, Segretario del Dipartimento di Stato Usa. “E questo rafforza ulteriormente il desiderio collettivo di rivalsa“.