TURCHIA. DONNE VITTIME DELL’ISLAMIZZAZIONE IN ATTO. SOSPESA LA CONVENZIONE UE SUI DIRITTI UMANI. L’immagine della casalinga silenziosa, priva di riconoscimenti e totalmente sottomessa all’autorità maschile sta gradualmento tornando in auge ovunque.
La svolta islamista della Turchia ha cominciato a delinearsi con maggior chiarezza dopo la vittoria elettorale conseguita lo scorso anno dal Justice and Development Party, in carica dal 2002. Da allora il presidente Recep Tayyp Erdogan – democraticamente scelto dal popolo – si è attivato per riesumare il simbolismo e la retorica propri dell’Islam. Un lungo cerimoniale presenziato a Istanbul dall’intero staff ministeriale e scandito dalla recitazione di sure coraniche aveva accompagnato l’inaugurazione della Ziraat Participation Bank, banca islamica a partecipazione statale (e quindi esente da interessi) che entro il 2018 avrebbe dovuto annoverare 170 filiali e 2200 impiegati.
A breve sarebbe poi seguito il varo di strutture riconducibili alle altre due società creditizie governative, ossia VakifBank e Halkbamìnk. Nel frattempo, in ottemperanza ai piani del regime, la Saving Deposit Insurance Fund (organismo a tutela delle sedi in difficoltà) era riuscita a rilevare la Bank Asya gestita dai seguaci di Fethullah Gülen (ideologo sunnita in esilio volontario dal 1999 ma tuttora alla guida di Hizmet, organizzazione diffusa in 100 nazioni e profondamente radicata nel tessuto sociale turco): un’operazione complessa e controversa che aveva consentito ad Ankara un esordio in gran stile.
Cumhurbaşkanı Recep Tayyip Erdoğan, İstanbul Eminönü’de Ziraat Katılım Bankası Açılış Töreni’ne katıldı. Açılışta, Başbakan Yardımcısı Ali Babacan, Türkiye Bankalar Birliği Başkanı Hüseyin Aydın, İstanbul Valisi Vasip Şahin ve İstanbul Büyükşehir Belediye Başkanı Kadir Topbaş da yer aldı. (Kayhan Özer – Anadolu Ajansı)
L’inizio di un’espansione stimata intorno al 15% in dieci anni, con un capitale preventivato di 300 miliardi di dollari. Del resto, l’Akp mirava a rendere la città sul Bosforo il maggior hub finanziario sotto l’egida di Allah: non a caso (in stretta collaborazione con Indonesia e Islamic Development Bank) progettava la creazione di Mega Bank, una sorta di istituto centrale preposto alla salvaguardia dei mercati islamici.
Parallelamente la Corte costituzionale si era affrettata a revocare un emendamento penale volto a bandire il matrimonio religioso per le coppie non unite civilmente (previste pene detentive dai due ai sei anni per i trasgressori, inclusi gli sposi e l’imam officiante) e incoraggiare invece la poligamia e gli abusi sulle donne. Mossa passibile per alcuni di infrangere la barriera laicista (principalmente a danno dell’universo femminile) e agevolare nozze illegali (estese ai minori). Sicuramente un serio indizio dell’inversione di rotta compiuta dalla Mezzaluna in aperto spregio al retaggio secolarista di storica memoria. Un processo già in atto che il mancato golpe del 15 luglio scorso ha soltanto accelerato.
Con l’epurazione simultanea di ogni settore del sistema, Erdogan ha voluto ribadire la propria avversione a qualsiasi ingerenza estranea ai sostenitori. E il popolo stavolta sembra concordare, tanto che l’istanbuliana piazza Taksim (simbolo, nel 2013, della resistenza laica e filo-occidentale ) ha ormai assunto una valenza prettamente nazionalista. Presto il velo islamico (già liberalizzato nelle scuole e negli uffici pubblici) potrebbe imposto su decreto anche per le strade, in piena sintonia con i dettami della Sharìa. Del resto, l’immagine della casalinga silenziosa, priva di riconoscimenti e totalmente sottomessa all’autorità maschile sta gradualmento tornando in auge ovunque.
Emblematico in un paese che nel 2011 aveva subito abbracciato la Convenzione di Istanbul a tutela delle donne. “La prassi è tutt’altro che avanzata“, hanno chiarito alcune rappresentanti di Mor cati, associazione onlus in didfesa dei diritti femminili. “I casi di stupri non denunciati e i sodalizi combinati con giovanisime non sono affatto rari, specialmente nelle aree più conservatrici“.
L’opera riformista degli oligarchi turchi potrebbe persino estendersi alla conversione di Santa Sofia (ex luogo di culto divenuto museo nel 1935 per volere di Mustafa Kemal Atatürk, fautore del secolarismo) nella “grande moschea in stile ottomano” vagheggiata da tempo.
Per il momento però il ripristino dell’ordine interno resta prioritario e in tale ottica è stata sospesa la Convenzione Ue sui diritti umani:” Continueremo a preseguire i traditori finchè ogni rischio non sarà stato scongiurato“, ha infatti assicurato il Sultano nel corso di un’intervista concessa ad Al-Jazeera. “Comunque ci atterremo alle regole democratiche. La dichiarazione dello stato di emergenza per un periodo di 2o-45 giorni (prevista dall’articolo 120 della costituzione, n.d.r.) è l’unica misura valida a fronte della costante minaccia rappresentata dal terrorismo. D’altronde è ciò che hanno stabilito anche in Francia: gli arresti sono stati numerosi dopo i recenti attentati. Ma nessuno ha obiettato. Nel nostro caso il nemico principale si trova oltreoceno“, ha precisato. “Sarebbe un grave errore da parte degli Usa, a cui siamo legati da interesse non da affinità, negarci l’estradizione di Gülen: è lui il regista dell’attacco all’integrità della Turchia”.
Convinzioni avvalorate dalla documentazione trasmessa a Washington dal ministro della Giustizia Bekir Bozdag: “Noi non vogliamo intaccare le relazioni con i partner internazionali, ma rimaniamo convinti che alcuni stati esteri siano coinvolti nel fallito colpo di stato. L’organizzazione gulenista contempla un’altra mente superiore le cui connessioni sfuggono: il quadrò sarà evidente quando l’intera rete verrà smascherata. Dobbiamo essere pazienti, non ci vorrà molto: la magistratura sta procedendo in tal senso“.
E in vista di un vertice con il Consiglio nazionale di Sicurezza (a cui seguirà un confronto diretto con il capo della Consulta Zuthu Arslan), il leader turco ha cercato di minimizzare le rappreseglie condotte a danno dei dissidenti, adducendo a ragioni di stabilità politica le drastiche misure punitive e corcitive adottate ultimamente: “Non sono un nemico dei media“, ha sottolineato. “Gli insulti diretti a me o ai miei familiari si susseguono quotidianamente: ma in questi casi viene anche precisata l’adesione alla linea governativa. Tutti sanno che un controattentato non servirebbe a nulla“.
Intanto però le manette sono scattate ai polsi del reporter Orhan Kemal Cengiz (fautore dei diritti umani) e della moglie Sibel Hurtaz, entrambi annoverati nella black list dei giornalisti invisi ai vertici, mentre la distribuzione del nuovo numero del tabloid saririco Leman (dedicato ai recenti episodi) stata prontamente bloccata.
L’uomo solo al comando sembra insomma intenzionato a confermare la propria intransigenza. E poco importa se la reintroduzione della pena capitale (abolita nel 2004) potrebbe compromettere l’ammissione turca nel club comunitario:”È reclamata dal popolo e se il parlamento l’approverà io l’applicherò”, ha ricordato. “Dopotutto abbiamo bussato per 53 anni alla porta dell’Unione e a differenza di altri siamo stati costretti ad aspettare“.
Ai fini di una sopravvivenza certa dell’attuale leadership il ruolo dell’Iran sarebbe tra l’altro stato fondamentale. Dalle indiscrezioni apparse sul quotidiano libanese al-Arab Post si evince infatti che intenzionata a impedire la riproposizione di scenari simili a quelli pakistano e iracheno, Teheran (accomunata ad Ankara dal medesimo odio per i curdi) avrebbe suggerito a Erdogan di “accantonare l’iniziale proposito di fuga in Qatar” a favore “della permanenza in patria”, in modo da “potersi rivolgere alla gente esortandola a una mobilitazione generale atta a sventare la rivolta ordita dai cospiratori”.