Il 25 giugno 1946 fecero il loro ingresso a Montecitorio, fino ad allora dominio esclusivo maschile, 21 donne, su un totale di 556 deputati. Le” magnifiche 21.
di Valeria Benedetto
La loro presenza così esigua potrebbe risultare irrilevante, ma fu determinante per la compilazione della Carta Costituzionale. Ed ecco che così, a fianco dei grandi padri, spuntano le grandi madri costituenti, donne eccezionali e tenaci, che riuscirono a farsi valere in un mondo maschilista che le aveva accolte con ironia e leggerezza. Quella delle” magnifiche 21”, tra le quali occorre citare almeno Nilde Jotti, Lina Merlin, Teresa Mattei, fu la prima vera esperienza politica femminile dopo le votazioni del 2 giugno 1946.
In occasione del referendum, nonostante gli stereotipi imperanti, in tantissime andarono a votare: l’affluenza femminile superò l’89 per cento, segno della volontà di poter finalmente esercitare un diritto fondamentale. Ed è proprio in quest’ottica che si deve vedere la nomina delle costituenti: un’occasione unica per cercare di rinnovare un Paese in ritardo sul fronte legislativo. A loro dobbiamo alcune delle migliori parti della Costituzione: non solo quella sull’uguaglianza tra i sessi, ma anche l’art. 11 sul ripudio della guerra, o gli articoli riguardanti il diritto all’istruzione e all’educazione.
La trasversalità del loro operato rende chiaro il contributo che le donne, da sempre, sono in grado di offrire alla società. Non a caso questo aspetto è stato rimarcato da Hillary Clinton, prima donna ad essere stata candidata per le elezioni presidenziali in USA, che ne ha fatto il fulcro del suo discorso dopo la vittoria delle primarie. “Io, donna, vincerò per tutti”. Donne, certo, ma anche giovani, disoccupati, immigrati. Il suo impegno, dice, consisterà nel cercare di ridurre le disuguaglianze per avere una società più inclusiva, più tollerante ed equa. Non è proprio la stessa linea seguita dal rivale, Trump, che, tra l’altro, ha insultato e stereotipato le donne in varie occasioni, definendole a volte fat pigs, altre volte dogs ma pur sempre disgusting animals. Per contrapporsi al repubblicano, la Clinton ha voluto ricordare la ” Declaration of Sentiments, documento che sanciva l’ uguaglianza tra i sessi, redatto nel 1848 a Seneca Falls, e che fu il primo di questo genere nella storia.
Ricordare, appunto. È questo il problema: ancora oggi le donne hanno la necessità di ribadire i propri diritti, in nessun caso regalati o dati per scontato ma conquistati, alla ricerca di un’emancipazione mai del tutto realizzata.
Pensando all’Italia, i grandi traguardi raggiunti dopo decenni di lotte devono essere ridimensionati alla luce della forte distanza tra la norma e la sua applicazione. È stata ottenuta la legge sull’aborto ma l’elevato numero di medici obiettori di coscienza, in crescita negli ultimi anni, rende difficoltosa la sua corretta attuazione. Si ha una legge inefficace contro lo stalking e la violenza sulle donne che viene applicata (se viene applicata) in ritardo. Abbiamo avuto la parità salariale ma se consultiamo il Global Gender Gap Report stilato ogni anno dal World Economic Forum ci accorgiamo che di fatto non è così: l’Italia occupa il 109esimo posto della classifica per il livello di differenza salariale a parità di lavori simili, il wage equality for similar work. Ancora oggi, poi, il 30% delle donne in gravidanza è costretta a lasciare il lavoro, segno che i provvedimenti presi a tutela della maternità non sono riusciti, fino ad ora ad arginare il problema delle dimissioni in bianco.
A proposito di bebè: vi ricordate di quando, nel marzo di quest’anno, Guido Bertolaso aveva commentato la candidatura per il Campidoglio di Giorgia Meloni con un bel:” non può fare politica, ora deve fare la mamma”? Ecco, la politica è un campo in cui il divario maschio-femmina aumenta in modo esponenziale, e va di pari passo con il sessismo di certi esponenti, che si rifugiano nei soliti stereotipi per attaccare il nemico. Ma, fateci caso, le invettive scambiate tra politici uomini sono meno offensive e personali rispetto a quelle rivolte alle donne, dalla celebre “Merkel culona” di berlusconiana memoria al meno noto: ” brutta, casalinga e obesa” rivolto ad una ex candidata sindaco, Patrizia Bedoi.
In più, l’80% degli incarichi istituzionali in Italia è in mano agli uomini; siamo lontani dagli obiettivi europei.
A ben poco servono le quote rosa: l’adozione di specifiche misure per la promozione delle pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive può rivelarsi un’arma a doppio taglio: non è detto che le donne elette in questo modo abbiano effettivamente le capacità necessarie. Inoltre, un provvedimento simile appare come l’ammissione di una differenza di genere, in un campo dove l’unico discriminante dovrebbe essere il merito. Ancora una volta, un esempio di legislazione inefficiente.
Insomma, la situazione, in Italia come nel mondo, appare tutt’altro che rosea. Certo molta strada è stata percorsa, da noi a partire proprio da quelle 21 madri costituenti che hanno indicato la direzione da seguire. Ma molta rimane da fare, e serve un nuovo protagonismo politico da parte delle donne stesse, perché il miglioramento delle condizioni femminili può partire solo se saranno loro a spingerlo.
Senza dimenticare che migliori condizioni per le donne si traducono in un miglioramento per tutti. Secondo i dati del Fmi, il sessismo ci costa 9 mila miliardi di dollari l’anno, circa il 15% della ricchezza potenziale.
Allora è ora di dare la fiducia alle donne?
Fonti
“Donne della Repubblica” ed Il Mulino
Sabrina Scampini: ”Perché le donne valgono(anche se guadagnano poco)” Cairo
Raffaella Baritono Il sentimento della libertà
http://www.imf.org/external/themes/gender/index.htm