TIFARE AZZURRE E AZZURRI E RIFLETTERE: QUESTO SIANO I GIOCHI DI RIO
Mi innervosiva allora da atleta, e mi innervosisce ancora oggi, la pretesa di alcuni (troppi) dirigenti sportivi di considerare gli atleti dei soldatini col cervello “a tempo”. E ovviamente “il tempo” è dettato dalle competizioni sportive: sei in gara per qualche grande evento? Non devi essere in grado di pensare e riflettere su nient’altro che ti circonda, non devi e non puoi manifestare in nessuna maniera, dentro e fuori il tuo campo di gara, alcun pensiero che non sia “gareggio, ho vinto, ho perso”.
Mi suona così l’invito fatto ieri da Renzi – con Malagò che annuiva al suo fianco in un solenne “Perfetto..” – di pensare solo alle gare, al tifo e ai risultati. No, non mi piace e mi riporta alla mente il prezzo altissimo pagato dal coraggio dei due atleti afroamericani Tommie Smith e John Carlos che nel 1968 si schierarono contro la repressione dei neri negli USA con quel pugno alzato e inguantato di nero, capo chino e piedi scalzi al momento della premiazione nella gara dei 200 mt.
Io, invece, da (ex)atleta pensante, credo che i Giochi Olimpici di Rio che si aprono stanotte debbano essere una riflessione pressoché continua, oltre lo splendore del talento e dell’agonismo di cui trasuderà ogni gara, oltre il fascino dei luoghi e delle scenografie. Io, di riflessioni, ne voglio suggerire tre e sarebbe bello che ognuno di voi interagisse con questo pezzo e proponesse la propria.
La prima riflessione non può non riguardare i Giochi italiani più rosa di sempre, come li definisce Mara Cinquepalmi ricordando le cifre: 144 atlete su una delegazione di 308. Bellissimo, senza dubbio. Ma nella battaglia che combattiamo con Assist Associazione Atlete da ormai 16 anni, ricordiamo che siamo il Paese che “di fatto” non consente alle donne di accedere a una legge dello Stato, la legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo: legge di cui al momento possono usufruire solo gli atleti uomini di quattro discipline sportive, ma nessuna donna. Nessuna. Quindi, da stasera, quando vedrete le nostre atlete, provate a immaginare quanta fatica hanno fatto, quanti sacrifici, quante ore negate al lavoro, alla formazione professionale, alle esperienze lavorative o, semplicemente, a una vita di ragazze “normali”. Rinunce da 365 giorni all’anno, per tutti e 4 gli anni che precedono i Giochi che ammirerete. Bene, per lo Stato italiano e per lo Sport italiano loro sono giuridicamente “dilettanti” ossia atlete che lo fanno per divertimento. Ne consegue che non abbiano alcun diritto e alcuna tutela doverose per chi fa, a tutti gli effetti un lavoro. Nessuna tutela nemmeno se, nel corso della loro preparazione, dovessero voler decidere di dare alla luce un figlio.
Un’altra riflessione, figlia naturale dell’assurdità di cui ho scritto sopra: ascoltate i commentatori e le commentatrici dei Giochi, quando ci diranno che quel campione o quella campionessa appartengono a un gruppo sportivo militare. Alla fine dei Giochi, come nelle scorse edizioni, potremo contare le medaglie, vinte da Esercito, Aereonautica, Marina, Finanza e scopriremo di avere lo sport più militarizzato al mondo. E’ normale? No. Questo accade perché gli atleti e le atlete, ingaggiati (o potremmo dire “salvati”) dai Gruppi militari, quando indossano una divisa godono di tutte quelle tutele che i dilettanti non hanno: sono assunti, hanno tutela previdenziale, tutela della maternità e in caso di infortunio, hanno un futuro lavorativo (anche se dietro una scrivania che mai avrebbero immaginato di occupare).
Ultima riflessione: cosa sono Giochi Olimpici. I Giochi sono il più grande e, per quanto mi riguarda, emozionante, evento al mondo. La magia di incroci e confronti tra culture, usanze, abitudini, eccellenze, scuole, passioni di un numero straordinario di Paesi del Pianeta si incontrano nei Giochi. E non solo: in questo evento, la parola competizione è abbinata alla parola gioia, merito, dedizione, coraggio, talento. Fatta eccezione per le nefandezze del doping su cui bisognerebbe scrivere fiumi di parole, i Giochi sono uno spettacolo meraviglioso. Ma, disubbidendo a Renzi e Malagò, dobbiamo chiederci: può davvero l’Italia pensare di affrontare l’onere imponente di organizzare una edizione dei Giochi nel 2024? Abbiamo le condizioni di legalità, controllo, qualità manageriale per questa avventura? Abbiamo, soprattutto, una condizione economica e politica così solida da poter prevedere costi e investimenti di portata così gigantesca? E, infine, siamo noi esempio di quei valori che il CIO pretende, seppur a sprazzi, di diritti umani e, nel nostro specifico, di parità uomo donna? No, questa è la verità. Ma se lo dici sei un anti sportivo, sei un gufo, sei uno di quelli da additare a vita. A me, che organizzo eventi sportivi da 25 anni, che allo Sport devo quasi tutto, questo rischio non spaventa. Mi spaventano tanto, piuttosto, le molte voci interne al mondo sportivo che non possono permettersi a dire ciò che pensano (atleti in primis). Il perché non serve spiegarlo.
Quando guarderete i Giochi Olimpici , chiedetevi se in Italia siamo in grado di offrire strade capaci di accogliere atleti e persone diversamente abili, chiedetevi se la cementificazione inevitabile e proposta con mille scuse, sarà davvero costruttiva per il nostro Paese, chiedetevi se l’Italia, che ha un numero impressionante di priorità (vedi i finanziamenti per contrastare la violenza sulle donne), possa permettersi un mega evento che lascerà un’ eredità di questioni da gestire e manutenere per le quali non siamo assolutamente preparati (ne sanno qualcosa gli operatori dei Giochi Olimpici di Torino 2006 e di Expo).
Tutte queste riflessioni non faranno di voi un anti sportivo, un gufo, un nemico di chi ama lo sport. Faranno di voi un cittadino e una cittadina che pensano. Sempre. Anche mentre vi commuoverete guardando le atlete e gli atleti azzurri cantare l’Inno, durante i Giochi di Rio.