La sconfitta della sterilità si è trasformata in un business lucroso
Il desiderio di maternità esula dai limiti anagrafici imposti dalle leggi naturali: la conferma giunge dal numero, in costante crescita ovunque, delle pueprere ultracinquantenni. Tuttavia in India – dove l’infertilità è fortemente stigmatizzata sul piano sociale – il fenomeno sta davvero assumendo proporzioni allarmanti.
Sempre più coppie infatti decidono di ricorrere all’ausilio di apposite strutture sanitarie nella speranza di poter procreare e spesso gli aspiranti genitori hanno superato la soglia dei settant’anni. Ma poco importa: nel paese maggiormente popolato del pianeta (la densità è di 385 abitanti per chilometro quadrato), non esistono restrizioni giuridiche.
Presupposto funzionale alla rapida diffusione delle cliniche specializzate nelle procedure di fecondazione artificiale. Dal 1978 (anno del primo esperimento coronato dal successo) la sconfitta della sterilità si è trasformata in un business lucroso, tanto da indurre alcuni luminari (inequivocabilmente attratti dalle ingenti possibilità di guadagno) a sottovalutare le condizioni fisiche delle assistite.
Lo scorso aprile, presso il National Fetility and Test Tube Baby Center di Hisar, la 72enne Dalljinder Kaur e il marito 79enne hanno potuto finalmente stringere tra le braccia il piccolo Armaan, nato dopo quasi mezzo secolo di matrimonio. “Siamo anziani è vero, ma immensamente felici.”, ha raccontato. “Molti ci suggerivano di adottare un bambino, ma non abbiamo mai avvertito tale necessità. Volevamo averne uno nostro e siamo stati esauditi. E’ opera dell’Altissimo: non smetteremo mai di ringraziarlo. Penserà Lui al futuro“.
In realtà il merito (per quanto opinabile) va attribuito all’embriologo Anurag Bishnoi, che ha seguito oltre 100 donne mature. “Gli uomini hanno una facoltà riproduttiva illimitata, quindi non capisco perchè le loro mogli debbano rinunciarvi. Certo occorrono precauzioni; d’altro canto per poter effettuare l’Ivf (in vitro fertlization, n.d.r.) servono test rigorosi. Comunque i rischi potenziali non variano con l’età“.
Eppure per Rajo Devi Lohan la concretizzazione di un’intima quanto annosa ambizione non è stata scevra di complicazioni. Aveva appena compiuto 70 anni quando nel 2008 era diventata la mamma più vecchia del mondo: credeva di aver raggiunto il culmine della gioia, invece è subentrato un cancro che l’ha costretta a subire tre operazioni chirurgiche e svariati cicli di chemioterapia.
“Il mio medico è convinto che sia frutto delle cure intensive finalizzate alla gravidanza, ma nessuno allora mi aveva ammonito in merito a eventuali danni. Non sapevo nulla e mi sono fidata“. Complice l’avidità e le carenze deontologiche inomma, la salute femminile non è affatto tutelata.
E’ del resto la ragione per cui altri esperti del settore insistono a contrastare l’accesso indiscriminato ai trattamenti di fertilità. “Favorire il parto di una 70-72enne significa attentare alla sua stessa vita“, ha tuonato il dottor Narendra Malhotra, presidente dell’Indian Society of Assisted Reproduction. “Qualcuno pretende di sostituirsi a Dio. Sebbene la ricerca scientifica sia fondamentale per affrontare adeguatamente le problematiche connesse all’infecondità, non va dimentcato che spetta alla società circoscrivere l’ambito degli interventi e accantonare le soluzioni percolose o contrarie all’etica“.
Esiste in ogni caso un altro aspetto emblematico della controversa questione: l’eccessiva disponibilità di ovuli da fecondare, senza la quale l’ingerenza dei ginecologi sarebbe vana. “Non è affatto difficile reperirli, anche perchè le donatrici vengono pagate profumatamente“, ha precisato l’assistente sanitario Subhas Chandra. “Gli operai delle fabbriche guadagnano meno di 75 dollari al mese; noi invece ne offriamo 525 per un processo esteso a dieci giorni“.
Un’opzione allettante per tante, forse troppe ragazze, ignare che l’abuso di farmaci ormonali può essere letale. E’ accaduto a Sushma Pandey, morta nel 2010 a 17 anni in un ospedale di Mumbai (essendo ancora minorenne non avrebbe tra l’altro dovuto essere ammessa al prelievo).
Identica sorte per la 24enne Yuma Sherpa, originaria del Begala orientale. Ansiosa di incrementare l’esiguo bilancio familiare è deceduta nel 2014 a New Dehli dopo lunghe ore di agonia. Dall’autopsia è emerso che soffriva di sindrome da iperstimolazione ovarica: le sarebbero stati prelevati più di 50 ovuli, una cifra dunque decisamente superiore a quella consentita. Ma evidentemente i molteplici vantaggi finanziari hanno priorità e valenza assolute.