L’aspetto più eclatante della prestigiosa competizione USA in atto è la persistente incapacità, da parte della collettività globale, di assimilare la diversità di genere nel contesto politico.
Specialmente alla luce di un’inedita nomination femminile al vertice degli Stati Uniti, che sfatando il controverso mito (avvalorato da 227 lunghi anni di storia) della virilità quale prerequisito alla leadership nazionale ha letteramente polverizzato le granitiche certezze ereditate dalla tradizione. Eppure la reale valenza di una simile svolta non sembra essere stata percepita a dovere: né dall’elettorato, né tantomeno dagli organi mediatici e relativi esperti del settore.
La conferma si evince dai consensi finora raccolti da colui che stanco della solita routine imprenditoriale ha improvvisamente deciso di soddisfare un incongruo desiderio di potere. L’outsider repubblicano Donald Trump ha spesso insistito sulla “inconsistenza complessiva” della rivale democratica, che priva di un “look presidenziale” consono all’ingresso nello Studio Ovale e inevitabilente distante da quegli standard misogini sopravvissuti al tempo, non sarebbe in grado di rivestire la massima carica dello stato.
Forse è davvero convinto cha la mera appartenenza al sesso maschile sia l’unico presupposto al trionfo; o magari sta solo cercando di sminuire (e possibilmente offuscare) la consolidata esperienza avversaria per distogliere l’attenzione dalla propria (altrettanto comprovata) inadeguatezza.
La senatrice Hillary Clinton, infatti, non è affatto una candidata qualunque. E’ una donna abituata alle grandi sfide esistenziali, perfettamente conscia degli sforzi che dovrà affrontare per convincere gli statunitensi ad abdicare ai pregiudizi sessisti a favore della razionalità.
A lei, dopotutto, nulla viene perdonato. A partire dalla proverbiale riluttanza (ispirata dallo scetticismo nutrito nei confronti di reporter sempre in cerca di scandali e gossip) a indire quella conferenza stampa che l’opinione pubblica attende invano da almeno 25o giorni.
“L”insistenza ossessiva dei media è senza dubbio discriminatoria“, ha recentemente osservato il suo ex consigliere Peter Daou. Indubbiamente la riservatezza di un uomo sarebbe stata più tollerata e presumibilmente meno colpevolizzata. Del resto, persino il malessere di cui si è ritrovata vittima l’11 settembre scorso è stato oggetto di biasimo da parte dei detrattori, che nella carenza di adeguate informazioni al riguardo avevano subito individuato un pretesto per rivendicare una maggior trasparenza comunicativa (a scapito di qualsiasi appello alla privacy).
“Ognuna di noi ha il diritto di ammalarsi per qualche giorno“, ha commentato dai microfoni della Cnn la giornalista Christiane Amanpour. “Ma lasciamo perdere: sappiamo come funziona. Le donne eccezionali sono costrette a lottare il triplo ripetto ai colleghi ignoranti. anche solo per poter beneficiare di una pausa provvidenziale“.
Per le editorialiste Emily Crockett (del sito news Vox) e Amanda Marcotte (ingaggiata dal magazine online Salon) l’interesse morboso che ha scandito il periodo di riposo forzato dell’ex Segretario di Stato sarebbe essenzialmente riconducibile alla (in realtà non tanto) “sottile vena di sessismo” da cui è pervasa l’intera propaganda elettorale.
D’altro canto purtroppo, al contrario di ciò che avviene per mascolinità (sinonimo di forza e autorevolezza), gli stereotipi sessuali vigenti tendono tuttora ad associare femminilità e vulnerabilità, creando in tal modo le condizioni ottimali per l’attecchimento di un’ideologia tesa ad attribuire al cosiddetto sesso debole un’inguaribile quanto opinabile esigenza di protezione (con la conseguente inclinazione alla subordinazione, piuttosto che al comando).
“Esiste una ragione precisa per cui non abbiamo ancora assistito all’insediamento di una presidentessa alla Casa Bianca”, ha precisato il leader uscente Barack Obama, la cui esistenza è stata scandita dall’autorevolezza femminile (madre, nonna, moglie e figlie). “La nostra società continua a sentirsi a disagio al cospetto di donne potenti. Lo possiamo constatare quotidianamente negli ambiti più svariati. Queste elezioni non dovrebbero essere viziate, ma finiranno per diventarlo. E non a causa dei difetti di Hillary, bensì perchè il paese si sta inesorabilmente polarizzando“.
Resta il fatto che il retaggio patriarcale è duro da estirpare: negli Usa e altrove. Soprattutto a fronte della mentalità conservatrice che purtroppo seguita a prevalere indistintamente in quasi ogni angolo del pianeta.