Nel 2008 gli statunitensi non erano ancora pronti ad accarezzare l’ipotesi di una presenza femminile, per quanto qualificata, alla Casa Bianca. Ma Hillary Clinton però non si è arresa.
Si sentiva pronta a sfatare i pregiudzi sessisti già nel 2008, ma la netta vittoria conseguito dal compagno di partito Barack Obama (allora in corsa per il mandato presidenziale d’esordio) l’aveva costretta ad abbandonare l’impresa, malgrado fosse riuscita a convogliare un numero inedito di consensi popolari (18 milioni). Forse gli statunitensi non erano ancora pronti ad accarezzare l’ipotesi di una presenza femminile, per quanto qualificata, alla Casa Bianca.
Hillary Clinton però non si è arresa. Dalla sconfitta subita ha saputo trarre linfa vitale per elaborare una strategia tesa a inglobare appartenenza di genere e valenza storica della nomination formale ricevuta nel luglio scorso alla Convention dell’Asinello. Incurante delle immancabili critiche trasversali ha quindi deciso di approfittare della nuova sfida elettorale per evidenziare le molteplici potenzialità insite nell’altra metà del cielo.
Da femminista convinta ha inteso insomma dimostrare che una donna è perfettamente in grado di competere con gli uomini. In qualsiasi occasione. A prescindere dagli oneri familiari esistenti (lei stessa svolge il duplice ruolo di madre e nonna). Non a caso si è affrettata a delegare a nuclei di attiviste e celebrità la propaganda sul voto femminile.
“I democratici ritengono che i cittadinì dovrebbero apprezzarne i meriti, l’esperienza politica, l’idoneità alla leadership nazionale“, ha osservate Debbie Walsh, direttrice del Center for American Women and Politics (Cawp) della Rutgers University, “Invece stavolta è proprio il fatto di essere donna a costituire un valore aggiuntivo al curriculum“.
Tra incarichi governatìvi (è stata Segretario di Stato dal 2009 al 2013) e incombenze private non ha mai smesso di lottare a favore dell’emancipazione. Non solo nel contesto sociale ma anche in seno al Democratic Party, culla tradizionale dell’elettorato femminile, così poco consono al conservatorismo repubblicano. D’altronde il voto delle donne – ispirato alla mera razionalità – ha sempre notoriamente esulato dall’apparenza fisica dei candidati.
Quello di molte orfane del rinunciatario Bernie Sanders (colui che contrastando la collusione dell’establishment con le lobbies di finanza e corporativismo si era aggiudicato le preferenze delle giovani generazioni) potrebbe dunque rivelarsi fondamentale ai fini dell’insendiamento allo Studio Ovale da parte dell’ex first lady, passibile di assurgere al rango di prima presidentessa della federazione dal lontano 4 luglio 1776, data in cui il Congresso statunitense decise di adottare la Dichiarazione di Indipendenza redatta prevalentemente da Thomas Jefferson.
Resta il fatto che la senatrice non è ancora riuscita a far breccia nel cuore delle ragazze, beneficiarie di una quotidianità scevra da particicolari difficoltà e pertanto ignare delle annose battaglie combattute dalle progenitrici. “Tuttavia stiamo riscontrando un enorme trasporto per lei“, ha puntualizzato Allida Black, cofondatrice del comitato Ready fo Hillary. “Ci imbattiamo spesso in donne di ogni età e condizione desiderose di contribuire attivamente al suo successo, in cui hanno riposto tutte le aspettative. Ci sono alcune repubblicane che hanno già optato per un cambio di simbolo, ma tutto può ancora accadere“.
Salvaguardia economica e miglioramento del welfare da un lato, sicurezza interna e lotta al terrorismo globale dall’altro: è su simili presupposti che si snodano le principali divergenze partitiche. Non è escluso comunque che i votanti di entrambi i sessi si lascino infine suggestionare dall’atavico retaggio culturale connesso alla presunta incompatibilità della femminilità con l’autorevolezza (avvalorato opinabilmente dagli opposti forza-grazia, fiducia-modestia, protagonismo-sottomissione).
Per scongiurare tale evenienza dunque, Hillary dovrà combattere duramente. Contro la strafottenza e la misogiania del rivale Donald Trump (simbolo della ribellione allo status quo istituzionale) innanzitutto. E sorattutto (fattore non secondario) per riuscire a sedurre le indecise. Ma Walsh non ha dubbi: “Ne ha la capacità. Può indurre molte altre donne alla partecipazione attiva. Lo stiamo constatando regolarmente“.