Veramente difficile trascrivere le emozioni che la manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne mi ha scatenato.
No, assolutamente non voglio che le parole possano imbrigliare le sensazioni che ho avvertito in corteo al fianco di tante donne, uomini, bambini.
Quella marea del 26 novembre viene da lontano, viene da un’urgenza di non poter più restare fermi davanti alla violenza che tante donne vivono quotidianamente. Si è compiuta una sorta di magica alchimia tra tutte le anime dei femminismi italiani. Chi mi conosce sa da quanto aspettavo questo momento. La riappropriazione di uno spazio pubblico, essere fisicamente in corteo con i nostri corpi, tornare a rendere politica la battaglia contro la violenza. Renderci visibili con le nostre idee, le nostre istanze, i nostri vissuti, le tante storie che ci siamo portate sulle spalle per le strade di Roma.
Non importa il numero, 100-200 mila persone, ma ciò che quel fiume, quella marea portava con sé, ciò che si respirava tra gli sguardi, i suoni, le parole, i cartelli creati con le nostre mani. È stato come se le nostre rivendicazioni prendessero corpo e forma, irrompendo sulla scena pubblica in tutta la loro forza e urgenza. Conta tutto quel lavoro, quel fermento che ci ha portat* in corteo, conta l’energia che abbiamo profuso per giungere a questa due giorni di mobilitazione, gli incontri preparatori. Ci siamo lasciate alle spalle le polemiche e i tentativi di scoraggiarci, e siamo giunte al 26 in uno stato perfetto per trasmettere una forte scossa a chi ci credeva rassegnate o ferme in una impasse. Ferme non lo siamo state mai. Avevo la sensazione che prima o poi il sommovimento di tante donne in vari Paesi del mondo sarebbe giunto anche in Italia.
Il progetto della due giorni di Roma ci ha permesso di convergere verso un obiettivo comune, un piano antiviolenza capace di includere una prospettiva di genere e femminista, che superi l’approccio securitario sinora infuso nei provvedimenti, e sappia rivendicare la priorità della prevenzione, dell’educazione e di un investimento costante nei centri antiviolenza, con adeguato monitoraggio, trasparenza e regole certe nell’erogazione dei fondi. Il 26 ci ha permesso di rigenerare positivamente le nostre battaglie, ci ha fatto comprendere l’importanza di un lavoro fianco a fianco, pur nelle differenze e nei contrasti naturali. Una iniezione di fiducia per far crescere il nostro coraggio e non sentirci sole. Incrociare e abbracciare tante compagne di lotta è una carica irrinunciabile e importantissima. Tutti gli incontri in vista del 26 ci hanno permesso di sgretolare sfiducia, titubanze, dubbi e incertezze. Ci ha consentito di uscire dai personalismi e dalla difesa dei nostri orticelli, perché negli spazi pubblici le voci sono tutte sullo stesso piano, tutte parimenti efficaci e senza bisogno di lasciapassare o sigilli di qualità. Non perdiamo queste buone abitudini, mobilitarsi e farsi sentire al momento opportuno richiedono una palestra di impegno condiviso e costante. I risultati vanno al di là della due giorni manifestazione-tavoli. Manifestare richiede esercizio continuativo, capacità di esserci ogni qualvolta un nostro diritto viene leso. Perché nessuno lo farà al nostro posto o ci aiuterà se non ci diamo una mossa per pretendere ascolto e le misure opportune. Basta deleghe.
Roma ha reso evidenti le capacità di tante donne che ci hanno creduto e che hanno mostrato il desiderio e l’impegno di assumersi la responsabilità del cambiamento. Manifestare, incontrarsi, confrontarsi, riunirsi in assemblea sono ancora forme di lotta possibili e più che mai attuali. Dobbiamo far sì che si ripetano, si moltiplichino queste occasioni sia a livello nazionale, ma soprattutto nei territori di appartenenza, ai quali siamo tornate ora. Dobbiamo portare quindi ciò che questa due giorni ha rappresentato e trasmetterlo a chi non era lì con noi, fargli capire il momento speciale che stiamo vivendo e proseguire il cammino. Fargli comprendere anche il senso dei controlli dei documenti e delle perquisizioni sui pullman diretti alla manifestazione. Dobbiamo trasmettere il messaggio che le rivendicazioni per i diritti, per una vita libera dalle violenze, sono quanto mai vive, efficaci. In qualche modo abbiamo colto di sorpresa i nostri “controllori” e chi siede nelle istituzioni, siamo state tenaci e ferme nei nostri intenti di scendere per le strade e manifestarci. Non possono continuare a ignorare le nostre istanze e le nostre richieste di correzione di rotta in tema di violenza di genere. Le persone che hanno scelto di essere in piazza il 26 sono espressione di un segnale di una volontà di sostanziale cambiamento, un’azione che vuole raggiungere risultati seri e concreti. Non ci accontentiamo di pannicelli caldi o di promesse.
I media possono scegliere di non darci il giusto spazio, di dedicarci solo qualche servizio fugace, di non dare un resoconto adeguato, possono non rendere bene le ragioni per cui siamo sces* in piazza, ma le immagini parlano da sole (qui alcuni tg che ne hanno parlato). Tutti fenomeni prevedibili, tentativi di annacquare i contenuti della manifestazione che non funzioneranno. C’è una volontà di cambiamento innegabile. Il 26 è stata una giornata storica, ci siamo riappropriate dei nostri spazi, cercando di porre le basi per un futuro diverso, migliore. Ora inizia un grande lavoro. Aspettavamo questo momento da tanto e si sente nell’aria che sta accadendo qualcosa di speciale. La dimensione collettiva è tornata a essere protagonista. E ciascun* di noi è un tassello fondamentale per far sì che la violenza contro le donne, in quanto donne, trovi soluzioni e azioni serie ed efficaci, in grado di prevenirla e di sostenere le vittime nel percorso di uscita e di rinascita. Il momento è ora. Diffondiamo consapevolezza, sgombriamo il campo da facili semplificazioni e trappole, svuotiamo stereotipi e pregiudizi, superiamo steccati ideologici e continuiamo a seminare nel nostro quotidiano.
Grazie a tutt* coloro che credono sia possibile cambiare le cose che non vanno, impegnandosi in prima persona. Avvertiamo l’urgenza di non poter più lasciare che la violenza abiti le nostre vite, senza opporci con tutte le nostre forze.
Qui un collage di immagini dalla manifestazione del 26 novembre.
Qui il messaggio della mamma di Sara Di Pietrantonio per #Nonunadimeno
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