“Un tuffo nella femminilità“, titola La Repubblica riferendosi alla campagna inglese lanciata dalla Wonderbra per pubblicizzare il suo ultimo prodotto intimo: l’Ultimate Plunge.
Come ricorda il quotidiano, la casa produttrice rievoca volutamente la famossissima immagine di Eva Herzigova, testimonial della campagna che ha reso il push up della Wonderbra il più celebre al mondo.
Protagonista, questa volta, è la modella Adriana Cernanova, la cui gigantografia, esposta nella stazione di Battersea a Londra, ha fatto da sfondo a un’esibizione di bungee jumping, con l’obiettivo di creare un effetto ottico sensuale e provocante. La Wonderbra ha indetto, infatti, un concorso rivolto a donne per diventare le co-protagonista della campagna. Le vincitrici sono state fotografate a testa in giù, mentre si lanciavano all’interno del prosperoso seno della Cernanova.
Ancora una volta il corpo della donna erotizzato all’ennesima potenza. Il fatto che sia una campagna per intimo non autorizza la mercificazione del corpo femminile che, senza rispetto, è messo in vetrina al posto del prodotto. Non rappresenta neppure un’attenuante, il fatto che le bunging jumpers selezionate dalla Wonderbra siano donne.
Indigna, oltretutto, la motivazione della campagna addotta dalla casa produttrice: l’immagine rappresenterebbe, secondo quanto riportato da La Repubblica, un’esortazione alle ‘comuni mortali’ ad avere lo stesso coraggio delle donne dello spettacolo nello sfoggiare decolleté da capogiro. Secondo la Wonderbra, infatti, un quarto delle donne ammira le scollature disinvolte delle più famose Jennifer Lopez, Pippa Middleton o Jennifer Aniston e ora, grazie all’ultimo ritrovato della moda intima, potranno tranquillamente eliminare ogni complesso nascosto, adeguandosi allo standard delle dive.
In un momento di crisi, economica e valoriale, questo sembrerebbe essere un messaggio positivo per far uscire milioni di donne da una condizione di incertezza personale. Se in Italia sedicenti giornalisti proclamano il ritorno alla pura ignoranza delle donne, il famosissimo brand esorta all’emancipazione delle scollature come soluzione della crisi sociale.
Il problema non è pubblicizzare un reggiseno, sarebbe bigotto opporsi alla sponsorizzazione di prodotti che tutte le donne usano, ciò che è quantomeno discutibile è il messaggio che accompagna il prodotto: conformarsi a un modello di donna ‘migliore’, silenziosa e curvilinea. Non a caso si cita la Middleton, donna resa celebre più dal suo fondoschiena che dalle nobili parentele. Della Middleton forse non conosciamo neppure la voce, non sappiamo se sia simpatica, ironica o mordace, ma di sicuro ognuno di noi ha ben impresso il suo lato B, ultra-publicizzato dai media nei giorni seguenti al matrimonio reale.
Combattere la discriminazione femminile allora a cosa serve? Impegnarsi quotidianamente quando esistono donne pronte a lanciarsi in un decolleté per un po’ di popolarità? Ci si chiede nuovamente, siamo o non siamo complici del sistema che ci discrimina? Con molto rammarico penso di sì, perchè in fondo la notorietà facile ha ancora un fascino troppo convincente.