Il periodo del ciclo mestruale non è riconosciuto e tutelato ovunque.
Nel corso dei miei studi mi sono imbattuta in Erich Neumann che, in uno dei suoi testi più celebri, La Grande Madre, racconta come il sangue sia il motore della più grande trasformazione legata al femminile, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, ossia la fase dello sviluppo fisico e creativo di una donna. Ma non solo, infatti il sangue era primitivamente associato all’esperienza della maternità, poiché si riteneva che l’embrione si generasse proprio attraverso lo stesso, a giustificare così l’interruzione delle mestruazioni.
Questa idea ha lasciato successivamente (e per diversi motivi) il posto a credenze e leggende, che hanno associato i misteri del sangue alle più terribili sventure: questo è ciò che accade, ad esempio, in Nepal con la tradizione del chaupadi, secondo la quale la donna deve essere allontanata durante il proprio periodo, tenuta a vivere nutrendosi del necessario – del riso e un po’ di pane – e a dormire senza coperte, stesa solo su un letto di fortuna. Ogni contatto umano è proibito e lo svolgimento delle attività quotidiane è vietato.
Oggi non avremmo più motivo di mitizzare il ciclo mestruale, eppure si continua a riderci su, come se fosse la fine del mondo o – peggio – una giustificazione ai nostri moti di rabbia o a normali momenti di nervosismo (ne parlava persino Woody Allen nel film Io e Annie: “Sei un po’ storta! Devi avere le tue cose!”), e ci sono poi casi nei quali, complice la scarsa tutela della vita riproduttiva e sessuale della donna, le mestruazioni divengono motivo di imbarazzo, di rischio per la salute e di abbandono scolastico, come succede in diverse aree dell’Africa.
Certo, non si può negare che quei cinque o sei giorni al mese siano una circostanza particolare, che si accompagna ad uno scombussolamento tanto fisico quanto emotivo. Alcune di noi fanno fatica a dormire nei giorni precedenti, iniziano a stare male già durante l’ovulazione, vivono nausee e dolori muscolari che rendono complessa la quotidianità. Ed è più che giustificato pensare di chiedere uno o due giorni di malattia quando necessario: e in quale circostanza nasce un diritto, se non da una necessità?
Sono arrivati a capir,lo la Nike, che ha introdotto nel 2007 una norma all’interno del proprio codice di condotta al fine di tutelare il diritto della donna al congedo mestruale in ogni paese di produzione, e la Coexist azienda britannica che ha approvato lo stesso strumento nel 2016 per garantire maggiori livelli di produttività e tutelare molte donne affette da mestruazioni dolorose e patologie come l’endometriosi.
Qui in Italia è di recente stata lanciata la proposta per un congedo mestruale di tre giorni, garantito da un certificato medico da rinnovare ogni anno e da consegnare al datore di lavoro entro la fine di gennaio dell’anno successivo. Dovremmo augurarci tutte una sua celere approvazione, a dimostrazione di come l’Italia tenga ancora e seriamente alla salute riproduttiva e sessuale delle donne, compreso “quel periodo”, momento di rigenerazione e di profondo contatto della donna con se stessa. E a chi si lamenta, supponendo che si tratti di una manovra discriminatoria nei confronti della donna per la quale dovremmo indignarci, vorrei ricordare che il raggiungimento della parità è possibile solo nel rispetto delle differenze e che è questo il ragionamento produttivo che ha portato ad alcuni grandi traguardi, come un’adeguata tutela della maternità nei luoghi di lavoro.