USA. RACCONTARE PER SENSIBILIZZARE: DONNE IN PIAZZA A TUTELA DEL DIRITTO DI ABORTO
Pronte a scendere in piazza per raccontare pubblicamente le esperienze vissute. Le statunitensi non riescono proprio a tollerare l’idea che il presidente Donald Trump possa aggirare la sentenza emessa dalla Corte Suprema nel lontano 1973 (nota in termini di Roe v Wade, in omaggio a Norma Leah McCorvey, alias Jane Roe, vincitrice della causa intentata contro il Texas, rappresentato dal legale Henry Menasco Wade), assurta a pietra miliare della libertà di aborto .
“La nostra missione è di condividere con le altre ciò che abbiamo sperimentato. Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica in merito a un’emergenza che per noi è di vitale importanza, anche se sappiamo a priori che non sarà semplice“, ha precisato Robin Utz, costretta a interrompere una gravidanza a causa di una grave malformazione fetale. “La stigmatizzazione esiste ovunque, sebbene in alcuni stati vigano restrizioni particolari, tese sostanzialmente a influenzare la cittadinanza. Io invece non credo sia riprovevole rinunciare consapevolmente a una maternità“.
Nulla da eccepire, ovviamente. Peccato che negli Usa i diritti civili si stiano lentamente ma inesorabilmente erodendo (le controversie in materia sanitaria o l’incessante lotta per la non ingerenza del clero negli affari istituzionali sono alquanto emblematiche in tal senso). A danno quasi esclusivo della popolazione femminile.
La tendenza a individuare nell’istante stesso del concepimento l’inizio dell’esistenza è d’altronde infatti assai diffusa, tanto che (incentivati forse dai loro rigidi principi religiosi) il numero degli obiettori di coscienza è ormai attestato in costante crescita. Non a caso la legislazione del Missouri annovera oltre 40 provvedimenti (attesa di approvazione) finalizzati a precludere alle donne l’accesso alle procedure abortive, equiparate dal repubblicano Mike Moon (esponente della House of Rpresentatives) a crimini storici contro l’umanità quali Olocausto e schiavismo.
“E’ la cifra più alta degli ultimi quattro anni. Fino ad allora le autorità si erano limitate a vagliare 25-35 mozioni all’anno, un paio delle quali poi tradotte in legge.“, ha osservato M’Evie Mead, responsabile organizzativo locale di Planned Parenthood, struttura assistenzaria nazionale per il controllo delle nascite.
Nel disperato tentativo di circoscrivere l’autonomia decisionale delle ragazzine incinte, il deputato dell’Elefantino si sarebbe nel frattempo affrettato a introdurre un decreto volto a vincolare al consenso genitoriale il trasporto dei minori sul territorio. Non solo: avrebbe anche caldeggiato la sepoltura dei feti per evitarne “il potenziale commercio” (smentito dagli investigatori) da parte delle varie associazioni femministe: “Noi onoriamo la vita e intendiamo tutelarla. Speriamo che Trump mantenga le promesse e sostenga i nostri sforzi“, è la giustificazione addotta.
Ipotesi tutt’altro che remota, d’altronde. Non a caso le attiviste dei gruppi maggiormente rilevanti (National Abortion Rights Action League in primis) stanno da mesi paventando un anacronistico e (assai sconfortante) ripristino dell’illegalità (almeno a livello delle pratiche abortive), passibile di attentare alla sopravvivenza delle donne che per molteplici ragioni sono inclini a ricusare la maternità.
“Impossibile prevedere ciò che potrà avvenire in futuro. In merito alle problematiche sociali lui non è mai stato ortodosso come molti altri politici“, ha azzardato Colleen McNicholas, una delle poche dottoresse del Midwest disposte ad aiutare le connazionali in difficoltà e attualmente in forza presso la University School of Medicine di Washington. “E’ vero però che ai fini del potere le convinzioni personali diventano alquanto relative. Probabilmente i nostri detrattori hanno indotto la Casa Bianca a un’inversione di rotta e non è escluso che la retorica conservatrice possa ora incrementare la violenza contro le cliniche abortiste (oggetto di periodici attacchi n.d.r.) e relativo personale (non pochi i medici uccisi dagli assalitori, n.d.r.)” .
“Questo è un paese in cui scienza ed evidenza devono essere attestati dai fatti, ma la facoltà di scelta in ambito riproduttivo implica inevitabilmente anche la possibilità di portare o meno a termine una gestazione. Ritengo in ogni caso che il rispetto della volontà femminile sia imprescindibile Sarebbe opportuno che l’amministrazione adottasse strategie davvero efficaci a beneficio delle mamme lavoratrici (debiti servizi per l’infanzia, parità retribuitiva – la rinuncia a un figlio comporta costi piuttosto ingenti compresi tra i duemila e i cinquemila dollari – , stipula di apposite polizze assicurative, n.d.r.). In una simile ottica è ovvio che la questione dell’aborto non potrebbe essere confinata a un’assurda dimensione parallela e secondaria“.