Un miliardo e trecento milioni di tonnellate: a tanto ammonta lo spreco di cibo nel mondo, secondo recenti ricerche che hanno trovato più ampia diffusione durante Expo 2015.
di Paola Bortolani
Sprechiamo tutti. Sprecano i Paesi poveri, perché non hanno adeguata tecnologia per conservare e lavorare gli alimenti, sprecano i Paesi ricchi, soprattutto quelli dove più ampia è la preferenza verso i piatti pronti, confezionati.
L’Italia, che pure ha una posizione intermedia, riesce a sprecare qualcosa come 11 miliardi di cibo all’anno, praticamente il valore di una piccola finanziaria.
Lo spreco maggiore riguarda i ristoranti, i supermercati, i negozi di alimentari, i mercati, insomma i posti dove il cibo deve essere perfetto, sano, fresco, bello da vedere.
Purtroppo, si spreca molto anche nelle famiglie, e le ricerche ci dicono che ogni famiglia italiana butta, in media, cento grammi di cibo al giorno. Se davanti ai numeri giganteschi, e quasi astratti, forse ci possiamo sentire assolti, ecco che questo etto di cibo quotidiano acquisisce subito un aspetto reale. Un panino raffermo, una mela dimenticata, uno yogourt scaduto in frigorifero, sono solo tre esempi di cibo che ognuno di noi forse elimina senza pensarci due volte.
Ma cosa buttiamo quando buttiamo? Mentre, con gesto anche un po’ seccato, ci vediamo a gettare via un alimento non più buono, quello che ci disturba di più è il pensiero dei soldi spesi.
Invece, dietro, c’è tutta una storia: c’è il lavoro del contadino che ha, per mesi, curato la terra, c’è l’acqua dell’irrigazione, c’è la raccolta, il trasporto con conseguente consumo di energia e danno ambientale, c’è ancora il nostro tempo, prezioso, che abbiamo dedicato a scegliere proprio quel alimento. Infine, c’è un rifiuto da smaltire.
Ma come è stato possibile arrivare a questo punto?
Una volta l’attenzione al non-spreco, alimentare e non, era un valore profondo che veniva insegnato alle ragazze prima del matrimonio (erano altri tempi!), e la massaia parsimoniosa ed economa era ampiamente lodata e rispettata.
Il momento del pasto aveva un valore, oltre che pratico (il cibo è un bene primario), spirituale, quasi religioso. Anche nelle famiglie più povere si attendeva di raccogliersi tutti insieme, a condividere quello che c’era.
Quando ero bambina ricordo che in casa si sprecava pochissimo. Allora la spesa era quotidiana, mancando la qualità delle tecniche di conservazione attuale, ma gli avanzi venivano immediatamente recuperati e riutilizzati.
Poi, rapidamente, tutto è cambiato. Sono arrivati gli anni ’70, la donna è finalmente uscita di casa per andare a lavorare e ottenere una giusta autonomia, e il tempo per cucinare si è sensibilmente ridotto. Il mercato, prontissimo, ha proposto un’offerta estremamente varia e allettante, con piatti e preparazioni pronti al consumo, e con una varietà di proposte sconosciuta fino a quel momento.
Naturalmente, perché tutta questa offerta venisse acquistata, doveva avere un costo basso, e per avere un costo basso, doveva avere anche una bassa qualità. Siamo ormai tutti consapevoli del fatto che molti problemi di salute emersi negli ultimi anni, quali intolleranze, allergie e non solo, derivano da un’alimentazione poco sana.
Oltre a questo, un altro cambiamento è rapidamente avvenuto: l’offerta di cibo è diventata abbondantissima. Un’abbondanza fittizia, ora lo sappiamo, ma che ha cambiato la nostra cultura. Pensateci: avete mai visto un supermercato vuoto, o un negozio di alimentari che non traboccasse di proposte gastronomiche? Nemmeno entrando alla sera, al momento della chiusura, si ha la sensazione che qualcosa possa mancare. Scaffali pieni e riempiti in continuazione, cibo per tutti i gusti, proposte irresistibili.
Con tanta abbondanza in vista, abbiamo pian piano interiorizzato l’idea che tutto si rigenerasse automaticamente man mano che veniva consumato, all’infinito.
Come ho detto, non è così. Stiamo consumando, oggi, risorse pari a un pianeta e mezzo, e visto che continuiamo a crescere, se non cambiamo abitudini fra non molto ce ne vorranno tre, di pianeti, per nutrirci tutti.
Nel frattempo ci hanno già anticipato che mangeremo gli insetti. Purtroppo, prima di arrivare a tanto, è facile immaginare un aumento notevole nei costi di quegli alimenti che oggi possiamo permetterci con ben poca spesa.
Una buona notizia c’è: l’estate scorsa il Parlamento ha approvato, e promulgato, una legge fortemente voluta dal ministro Martina, che rende più semplice e meno farraginoso donare i cibi in scadenza, o proporli a prezzo scontato. Facciamoci caso, quando facciamo la spesa, e pretendiamo che i nostri fornitori di fiducia si adeguino alla normativa.
L’attenzione allo spreco ci riguarda tutti, e siamo tutti tenuti a fare qualcosa, a difendere quello che oggi abbiamo in abbondanza, e a insegnare le buone pratiche ai giovani.
In sintesi: compriamo responsabilmente, cuciniamo con cura, usiamo meno carne e meno cereali raffinati, acquistiamo cibi locali e di stagione, prepariamo la quantità giusta, riusiamo quello che avanza.