A Roma per una Giornata di studio e un festival. Tre giorni di musica e riflessione dedicata alle compositrici. Le nostre impressioni.
L’arte di parte
È un luogo vivace la sede del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’università Roma Tre: vicino alla stazione Termini, quartiere ricco di tutte le bellezze della nostra capitale mescolate alle vesti, ai cibi e ai profumi dei suoi più recenti cittadini e cittadine. Corridoi freschi di restauro (è una ex fabbrica) che ospitano in questi giorni una mostra preparata con pazienza dall’associazione Toponomastica femminile per evidenziare il ruolo delle artiste e delle musiciste nella storia. Edificio confinante con colorati mercatini, che ha al suo cuore un cortile ricco di vita, di sole e di giovani in movimento.
In questa piacevole cornice si è svolta la II Giornata di studi dedicata alle compositrici classiche, popolari e jazz, da riscoprire, e in particolare rivolta alla celebrazione del 150° anniversario della nascita di Amy Beach, compositrice americana pioniera del percorso storico che ha condotto le donne a rivestire sempre più ampie professionalità musicali dal XVI secolo alla storia più recente. Uno sviluppo culturale che la vicenda di Beach illustra con chiarezza, e che si dimentica troppo spesso di narrare nelle aule universitarie, nei licei e nei conservatori del nostro Paese. Storia di liberazione e di trasformazione sociale ancora da completare.
Elemento caratterizzante delle manifestazioni l’integrazione di storie ed esperienze femminili differenti, la presenza di docenti universitarie e di conservatorio, e l’apertura alla partecipazione dei giovani. Le studenti dei master più artistici del Dipartimento vi hanno preso parte con due intense performance: la lettura di scritti di Amy Beach che, insieme agli interventi di Angela Annese e Orietta Caianello – qui in duplice veste, di relatrice e poi di concertista come Francesca Pellegrini, della Scuola di Testaccio – ne ha ben rappresentato l’opera e il mondo interiore, e una performance di danza su musiche delle compositrici Paola Ciarlantini e Giulia Jovane, che ha accompagnato dal vivo con il suo violoncello l’intensa esecuzione delle ragazze.
Musica e arte si sono incrociate in una festa davvero femminile, fatta di diversi contributi di intelligenza e di corpo, di cultura e di esperienza di vita, di riflessione e testimonianza militante. Il pregevole apporto della ricerca musicologica di Carla Conti e Antonietta Cerocchi (S. Cecilia) s’incontra con le domande così franche e dirette di Francesca Pellegrini, che pone con urgenza la necessità d’interrogarsi sulle radici della creatività femminile. L’impostazione sociologica di Milena Gammaitoni, e la sua riflessione sul panorama italiano della composizione, si confronta con la viva testimonianza di vita di una compositrice di oggi come Carla Ciarlantini. Carmela Covato e Francesca Brezzi, che rappresentano il lavoro sul campo per l’educazione e i diritti delle donne, si ritrovano insieme alla fascinosa voce narrante e cantante di Kay Mc Arthy, incantatrice esponente di una cultura in cui è inconcepibile che una festa non finisca con una bella canzone cantata insieme. A questi incontri hanno poi dato un significativo apporto i concerti, ospitati nel bell’auditorium dell’università, luogo di incontro aperto alla partecipazione dei giovani e della gente del quartiere.
Difficile tenere insieme tutte le anime e tutti i contributi di questa bellissima esperienza. Un momento per stare insieme, per incontrarsi nel segno del recupero del valore storico e culturale delle donne, per sostenersi reciprocamente nei diversi percorsi che ci vedono impegnate per testimoniare ai/alle più giovani un’eredità culturale sommersa da riportare alla luce. È bello ritrovarsi impegnate in un lavoro intellettuale che dà posto all’amicizia, all’empatia, alla condivisione di una comune passione e di un entusiasmo. Spazio di reciproca comprensione e dialogo, non solo di confronto intellettuale.
Una giornata e un festival che testimoniano per il futuro la stringente urgenza di rinnovare la cultura, di farla uscire dall’accademismo strisciante, dalla competizione imperante, dal “grandeventismo” dominante, per riscoprire il gusto della parola, del gesto e del suono che nascono dalla vita delle persone. Uomini e donne. Uscire dall’ideologia centrata sul genio solitario, indipendente paladino della libertà artistica individuale, per declinare al plurale le soggettività attive nel mondo e i loro multiformi contesti, pratiche e ambienti.
Le musiciste nella storia, con la loro forte carica di espressività corporea e vocale, si prestano a rappresentare maggiormente il cotè esperienziale del fenomeno musicale, il suo filone più istintuale e profondo, il coinvolgimento totale che integra voce, corpo e suono. Oggi hanno la necessità di impadronirsi degli spazi del prestigio e dell’autorevolezza, di variare e diversificare la loro presenza nel mondo, in tutti i settori dell’esperienza musicale, in tutti i suoi aspetti e sfumature. Anche in quelle più alte e intellettuali. Soprattutto – questo il senso del mio personale contributo – è necessario smettere di raccontare la storia della musica – come delle arti e della letteratura – in un modo che ormai non convincerebbe più, neppure in una telenovela per ultranovantenni biecamente tradizionalisti e codini. Una storia di geni, grand’uomini e re circondati da versioni diversificate di odalische, muse e dame di carità…. storia che, escludendo e tacendo di tutte le possibili forme di autonomia e soggettività femminile, limita la libertà delle donne di oggi. Una storia definitivamente da superare.