In ottemperanza al programma promosso nella seconda metà degli anni Novanta dall’allora presidente Alberto Fujimori (convinto che per arginare la povertà dilagante nel paese fosse indispensabile ridurre il tasso di natalità), almeno 350mila peruviane sarebbero state sottoposte (spesso inconsapevolmente o pena la detenzione in carcere) a sterilizzazione coatta. Con profonda indignazione degli attivisti per i diritti umani, che avevano subito individuato in quell’opinabile provvedimento una delle pagine più tristi, controverse e scandalose della storia locale.
A nulla erano valse le pressioni esercitate (complici le numerose testimonianze raccolte) dalle varie organizzazioni nazionali e globali affinché l’esecutivo ricusasse il proprio operato. Occorrerà del resto attendere il 2009 per assistere a un’indagine sommaria e infruttuosa condotta dalla procura generale su istanza di oltre duemila cittadine. Nemmeno l’inchiesta avviata lo scorso anno (e archiviata dopo qualche mese con enorme disappunto delle 77 denuncianti) sembra essere servita ad accertare le dinamiche dell’accaduto. “Le autorità stanno sostanzialmente negando a queste malcapitate il legittimo diritto di ottenere giustizia“, ha osservato l’avvocato Milton Campos a nome dell’associazione femminista Demos di Lima.
“Sono stata sterilizzata nel 1995 in un ospedale della zona occidentale di Cuzco e ancora adesso mi chiedo che tipo di intervento mi sia stato praticato“, ha raccontato la contadina Inés Condori. E forse non lo saprà mai: se nel 2014 il dispotico ideatore del progetto (rimasto al potere dal 1990 al 2000) è stato infatti definitivamente scagionato da ogni accusa, ai tre ministri della Salute che all’epoca lo avevano affiancato non può formalmente essere attribuita alcuna responsabilità.
“In realtà sono parecchie le persone coinvolte“, ha puntualizzato Sandro Monteblanco, giudice penale della capitale. “Alcuni hanno eluso l’incriminazione, altri invece sono stati processati e assolti. Nessuno ha voluto davvero approfondire la vicenda e presumibilmente i colpevoli rimarranno impuniti. Non credo infatti che l’attuale leader Pedro Pablo Kuczynski (in carica da luglio, n.d.r.) opterà per la riapertura di un caso ormai diventato tabù. Non a caso per i funzionari amministrativi vige l’obbligo del silenzio“.
La violenza arbitrariamente inflitta alle vittime (destinata a condizionarne per sempre la quotidianità fisica e psicologica) parrebbe dunque assumere una valenza secondaria rispetto all’impellenza di occultare una verità scomoda e imbarazzante passibile di minare l’autorevolezza stessa dell’establishment.
“Inutile: lo stato insiste a respingere qualsiasi addebito: ed è su tale aspetto che dobbiamo focalizzare l’attenzione“, ha ribadito Marina Navarro, alla guida della sezione peruviana di Amnesty International. “Molte donne provenienti in prevalenza dalle aree maggiormente disagiate si sono ritrovate costrette a firmare un documento di assenso redatto in spagnolo, benché fossero analfabete e si esprimessero esclusivamente in Quechua (idioma indigeno, n.d.r.). Il risultato è che decenni di distanza continuano a soffrire di svariati disturbi“.