La sua crescita interiore, continua e incessante, non è mai stata “altro” dal suo lavoro ma, parallelamente alla sua crescita, Maria Rosaria Omaggio ha immesso in ogni personaggio da lei creato o interpretato quelle sfumature di sé che le permettevano di cogliere sempre più in profondità l’animo umano
Una nuova tappa tra la eccellenza del Femminile, dopo Enrica Bonaccorti, Laura Gessner, Giulietta Bandiera e Marta Morotti ho incontrato Maria Rosaria Omaggio che, grazie alla sua incessante crescita interiore ha immesso, in ogni personaggio da lei creato o interpretato sullo schermo o sul palcoscenico, quelle sfumature di sé che le hanno permesso di cogliere sempre più in profondità l’animo umano.
Non ci eravamo mai incontrate ma quando dirigevo la rivista Psicodinamica avevo pubblicato un suo articolo che mi mostrava una Maria Rosaria Omaggio diversa da come me l’ero immaginata limitandomi all’impressione che i media rimandavano di lei. Era un numero monotematico sul potere del suono e il suo articolo metteva magistralmente in luce il potere creativo della parola e l’uso corretto del pensiero. Ricordo il suo riferimento alla magica parola abra k’ adabra il cui significato è “creerò mentre parlerò: pensare in un certo modo- e quindi parlare- è creare la realtà in cui viviamo perché si diventa ciò che si pensa. E questo non l’ha mai trascurato, cercando, in ogni suo lavoro, di cesellare attraverso la parola l’animo del personaggio e non soltanto la sua personalità. La sua crescita interiore, continua e incessante, non è mai stata “altro” dal suo lavoro ma, parallelamente alla sua crescita, Maria Rosaria Omaggio ha immesso in ogni personaggio da lei creato o interpretato quelle sfumature di sé che le permettevano di cogliere sempre più in profondità l’animo umano. Studiosa di antropologia culturale svolge pazientemente una continua ricerca interiore tesa al ricordo di sé, alla costante presenza nel qui e ora, alla capacità di non identificarsi e perdersi negli oggetti esterni per, invece, imparare a “essere” e a cogliere sempre di più la voce del suo Sé, della sua parte capace di cercare il senso della vita.
Attrice di teatro, cinematografica e televisiva, regista (con il corto Hey you ha avuto nel 2016 il Premio della Giuria alla 9a edition Festival Internazionale del Film Corto “Tulipani di seta nera” and Rai Cinema) autrice, comunica quello che sa, quello che crea e quello che “è” per riuscire, in ogni situazione e qualunque sia il mezzo scelto, a “espirare l’ispirazione”, a diffondere cioè in un ampio e profondo espiro quello che ha compreso e intuito della vita. Ha dedicato la sua attenzione anche al mondo dei cristalli, pubblicando “L’energia trasparente” , “Il linguaggio dei gioielli” e “Curarsi coi cristalli”. Profondamente radicata nella realtà ma nello stesso tempo molto attenta al mondo interiore alterna, con nonchalance, ricostruzioni storiche e interpretazioni di figure femminili forti interessanti e coraggiose a profonde indagini nel mondo dello spirito.
Goodwill Ambassador (Ambasciatrice di buona volontà) dell’Unicef, pratica regolarmente da ventisette anni Qi Gong e TaiJi, pugno, spada e ventaglio, è istruttrice e allenatrice di arti marziali e allieva del Gran Maestro Li Rong Mei, campionessa mondiale in sei specialità.
Sembra avere molto in comune con la Fallaci che ha magistralmente interpretato nel film del premio Oscar polacco Andrzej Wajda, “Walesa Man of Hope ” e nel suo omaggio “Le parole di Oriana”, accompagnata al pianoforte dalla pianista Cristiana Pegoraro. Sembrano essere entrambe due donne forti e autonome che si battono per la giustizia e per la libertà. E, forse, sotto sotto, anche un po’ fragili. Tutte e due regine degli opposti?
Certo è che in Maria Rosaria Omaggio che si fa chiamare Marò (anagramma, lei dice, di Roma, Amor e Mora) l’energia del Femminile in tutte le sue componenti e quella del Maschile in alcuni suoi aspetti si danno eccellentemente la mano e procedono in sinergia aprendo la strada a un’artista, ad un’autrice, a una donna dalle mille sfaccettature.
*Regista, attrice di teatro e di cinema, autrice: c’è un filo comune che lega tra loro tutti gli aspetti della tua poliedricità?
Quando affronto un lavoro, di qualunque genere si tratti, il primo stimolo mi arriva dalla storia da raccontare, dal personaggio da interpretare. Basta dare un’occhiata al mio curriculum per verificare quanta letteratura e “penne importanti” da me amate siano il comune denominatore della mia attività. Questa varietà, e posso dire questa ricchezza di esperienze, rappresenta però nello stesso tempo uno degli ostacoli a non essere facilmente canalizzata in un progetto. Le artiste donne che ricoprono da anni e anni lo stesso ruolo sono evidentemente più rassicuranti.
*Molto condizionante, nel tuo lavoro, l’essere donna…
È innegabile che soprattutto al cinema i ruoli femminili siano quasi sempre da partner e solo rarissimamente da protagonista della sceneggiatura. E non posso non ammettere che il mio aspetto fisico ha prevalso a lungo sul riconoscermi talento e capacità espressive. Solo tre anni fa per l’interpretazione di Oriana Fallaci in “Walesa, l’uomo della speranza” di Andrzej Wajda, quando sono stata premiata a Venezia alla 70a Mostra del Cinema, moltissimi critici illustri hanno dichiarato di avermi piacevolmente <<riscoperta, di essere un’attrice internazionale non valorizzata in patria, eccetera>>. A questo va aggiunto che gli attori vengono affiancati quasi sempre da attrici al massimo trentacinquenni, insomma molto, molto, più giovani. Del resto anch’io nei film sono stata la protagonista femminile vicino a colleghi che avevano almeno il doppio se non il triplo dei miei anni. In televisione non è poi tanto diverso: o hai sotto i quaranta anni o sopra i settanta. Curioso constatare che le donne di mezza età, che oltretutto costituiscono la maggioranza del pubblico e persino della popolazione, non vengano effettivamente raccontate.
*Ami lavorare con le altre donne?
Evidentemente mi interessa raccontare più la vita delle donne. Ho diretto Paola Gassman, trasformandola in una magnifica Golda Meir ne “Il balcone di Golda”. Ho scritturato Grazia Di Michele come voce di canto in “chiamalavita” da Calvino. In scena con me per “Le parole di Oriana”, spettacolo sulla vita della Fallaci, al pianoforte c’è Cristiana Pegoraro e, a mia volta sono per lei tutor con allestimento d’opera lirica nel suo straordinario “Narnia Festival”, fucina internazionale di grande musica che valorizza la grande tradizione musicale italiana in un luogo incantevole come Narni. Lo scorso anno ho curato per doppio cast, selezionato dall’International Vocal Art di New York, la messa in scena di “Le nozze di Figaro” di Mozart e quest’anno sarà la volta di “Gianni Schicchi e Suor Angelica” di Puccini. Anche adesso, per la stagione teatrale 2018-19, ho acquistato i diritti di una magnifica commedia inglese che ha due donne come protagoniste e che gli americani stanno già trasformando in una mega serie tv con Susan Sarandon e Jessica Lange.
*In questi anni cosa è secondo te il vero successo e come si aggancia a quello mediatico?
Anche nel gioco del tifo calcistico per la Roma auguro sempre tre C: competenza, capacità e c… Qui per rispetto diciamo il Caso che ti assiste al momento giusto. In ogni caso, superata la fase della prima notorietà, quando tutti s’interessano a sapere chi sei e cosa fai, il vero successo è l’affidabilità nel tempo che il pubblico ti da al di là delle mode e della visibilità mediatica. Tuttalpiù ti chiedono, anche ingenuamente: <<come mai non la vediamo in tv?>>
*Prima di andare avanti a parlare dei tuoi lavori di autrice, regista e autrice, parliamo di qualcosa che ti guida e ti aiuta in ogni espressione di te. La meditazione che tu pratichi con continuità.
Prima di approdare alla meditazione è necessario un lungo e quotidiano lavoro di decontrazione e di sviluppo dell’attenzione per imparare a osservarsi per conoscersi davvero e accettarsi. In molte fiabe, in tutte le tradizioni, la prova più ardua è attraversare lo specchio. Solo allora può iniziare a esserci qualche vera esperienza meditativa, alla base della quale ci vuole un autentico stato di vuoto mentale.
*E non trascuriamo il Taijiquan: quanto influenza il tuo modo di porti nei confronti della vita?
<<La pratica del taijiquan è come un lago vuoto nel quale ogni esercizio versa una goccia d’acqua>>. Non saprai il momento esatto in cui avviene, ma all’improvviso capisci di averlo riempito, che quello che hai davanti non è più un vuoto, ma un vero lago. Ci vuole pazienza e costanza e <<praticare molto il poco, affinché mente diriga corpo>>, dice il Maestro Li Rong Mei. A livello fisico, il taiji ha un effetto benefico sui processi digestivi, calma il sistema nervoso, migliora il ritmo cardiaco e la circolazione del sangue, scioglie le articolazioni e la rigidità muscolare che derivano dalle nostre tensioni emotive, ringiovanisce la pelle, rinforza il sistema immunitario. Non è un caso che da più di un millennio venga definita “ginnastica della salute”. A livello psichico aiuta a conoscersi e a non dipendere più da quel timore che conduce a essere come si ritiene che gli altri ci vogliano.
*Ogni tua espressione è profonda comunicazione: credi che il potere creativo della parola sia la chiave per comprendere ma anche per trasformare la realtà in noi e fuori di noi?
Nell’Antico Testamento e nella lingua ebraica, nostre innegabili radici affondate persino nel DNA, creare e dare nome sono la stessa parola. Potrebbe bastare questa constatazione, senza necessariamente approfondire cabalisticamente la ricerca, per farci meditare sul potere del linguaggio. Il suono, dunque anche la ripetizione di un nome, non entrano soltanto nel canale uditivo ma vibrano in ogni cellula. Chi non l’ha provato ascoltando la musica o persino come viene pronunciato il proprio nome? Forse questa è la parola che ascoltiamo di più e magari non ne conosciamo neppure il significato.
*E nell’Upanishad “Si diventa ciò che si pensa e questo è l’eterno mistero” …
“E Pensare che c’era Il Pensiero”, diceva Gaber! Penso che bisogna imparare a pensare e che troppo spesso l’emotività la scambiamo col pensiero e viceversa. A proposito di “pensiero circolare”, torniamo sempre al <<lavoro su di sé>> che dura tutta la vita.
*Come per Battiato, anche per te Gurdjeff è stato maestro e il suo insegnamento e le sue provocazioni si sono riflesse nella tua vita e anche nel tuo lavoro…
Non avevo neanche venti anni quando lessi, anzi divorai “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, libro che è ancora oggi sul mio comodino. Da quel momento <cerco un centro di gravità permanente>, come Battiato ha trasmesso con una delle sue più popolari canzoni, scritta proprio in quegli anni e che durante uno stage ascoltai in anteprima, è diventata la mia etica di vita. Oggi non direi <<cercare>>, ma <<costruire un centro di gravità permanente>>. Spero che sia chiaro dunque che non si tratta di uno studio, di una ricerca di breve durata, ma di una necessità interiore che si riflette nel tentare di vivere ogni attimo presente, insomma di imparare a essere.
*Tu sei vegetariana, come è nata questa scelta e come la vivi oggi, dopo tanto tempo?
La mia coscienza vegetariana si presentò per la prima volta quando avevo quattro anni. Mi portarono in campagna nella casa della mia Tata e, come si fa con i bambini, mi coinvolsero, dandomi responsabilità e facendomi credere di aiutare un maialino che non riusciva ad attaccarsi al seno della scrofa. La cosa mi prese molto e ci misi tutto il mio impegno. Qualche mattina dopo, fui svegliata da urla quasi umane e quando realizzai che avevano ucciso la mamma per farne salsicce e prosciutti, e che i maialini erano rimasti orfani, ho pianto per giorni. Verso i dieci anni mi portarono a Ischia, dove il piatto più famoso è il coniglio all’ischitana. Nel luogo di villeggiatura giocavo col figlio del proprietario e un coniglio bianco. Lo avevo chiamato Bunny e con me non temeva neanche l’acqua, lo portavo persino in pedalò! Una mattina, dopo che avevano cambiato per turno il cuoco, lo cercai ovunque, disperatamente, finché scoprii che lo avevano cucinato. Poi crescendo, pur vergognandomi di dire che non mangiavo carne, visto che il rifiuto di carne animale era sempre attribuito a religione, fanatismo, eccetera, ho accettato le critiche e seguito la mia necessità. Non l’ho mai imposto ad altri e rispetto ogni scelta. Dunque, nessun commento se qualcuno a fianco a me mangia una bistecca o una coscia di pollo. Non guardo.
*Quale spazio dai alla creatività e quale ruolo ritieni abbia nella vita del singolo ma anche nel sociale?
Un’autentica creatività è l’espressione del sé che, come accennavo prima, comporta dunque: conoscersi, accettarsi ed esprimersi. Jean Cocteau in un interessante volume che, guarda caso, intitolò “La difficoltà di essere”, spiega molto bene che “si tratta di espirazione e non d’ispirazione. E questo per rispondere a coloro che gli chiedevano il perché della sua inquietudine nel passare dal teatro al cinema, dall’attività di poeta, scrittore a quella di pittore o conferenziere, eccetera. Affermava di approfondire le tecniche del campo dove gli veniva offerto di lavorare per poter <<espirare – esternare – quell’ispirazione>>, quel bisogno che voleva comunicare e trasmettere.
*Da quale intento nascono i tuoi libri?
Dall’opportunità di <<espirare l’ispirazione>> di quanto ho approfondito e mi è chiesto di comunicare. Posso dire che lo scrivere è per me, anche quando non pubblico, uno straordinario esercizio di autonomia creativa.
*Alla fine degli anni Ottanta hai proposto in Rai nella tua trasmissione “Incredibile” coraggiose tematiche di frontiera. Ma cosa significa per te la parola incredibile?
Semplicemente che si stenta a credere quanto non conosciamo. Ricordo che a questa domanda risposi con un esempio: se un essere umano del 1930/40, quando già c’era la radio e il cinema, avesse visto in una stanza qualcuno parlargli da dentro una scatola, prima si sarebbe spaventato, poi a seconda dei casi sarebbe scappato via o avrebbe esaminato quello strano oggetto con cui noi siamo cresciuti e che è la TV. Alcuni di questi ultimi lo avrebbero studiato o voluto distruggere, altri addirittura idolatrato. Un altro esempio? Mi diedero della strega perché all’estero avevo conosciuto e usato agopuntura e fiori di Bach, oggi li trovi sotto casa. Detto questo, devo aggiungere però che mi tiro indietro o mi ribello quando si passa da un eccesso all’altro. Reputo il facile miracolismo e ancora peggio la dipendenza da qualcosa o da qualcuno un approccio pericoloso e talvolta così grave da essere perseguibile.
*Per te esiste un rapporto tra casualità e creatività o la casualità non esiste o comunque non crea?
Nel mio libro “Viaggio nell’incredibile” (n.d.r.: Edizioni Mediterranee, Roma 1990 e Premio Fregene opera prima) parlo di <<Maestro Caso>> prima di citare la sincronicità junghiana. Ancora una volta lo sviluppo dell’attenzione aiuta a percepire e ad approfittare dei segnali. Neanche quel genio assoluto di Leonardo da Vinci ha offerto risposte nette sul definire il confine tra destino e libero arbitrio.
*Se avessi potere politico oggi verso quali cambiamenti ti indirizzeresti?
Sicuramente nell’incentivare cultura e recupero della memoria delle nostre tradizioni. La globalizzazione e l’uso insensato della tecnologia, invece che arricchire con lo scambio delle differenze, ci ha condotto a un appiattimento che ci ha privati d’identità e reale comunicazione. Eppure, è arcinoto che quando qualcosa d’italiano viene apprezzato e distribuito nel mondo porta con sé la verità e la qualità delle nostre lontane e solide radici: dal cinema alla televisione, dalla letteratura alla lirica, dalla cucina all’artigianato. Io lavoro spesso all’estero e soffro nel constatare quanto, a differenza di altri Paesi, non amiamo la nostra Patria. Siamo specialisti nel parlare sempre al negativo e vedere “il prato del vicino che è sempre più verde”, come dice il proverbio, e prediligere chi protesta, vuole distruggere e non ha la benché minima capacità di costruire.
*Ambasciatrice dell’Unicef hai preso un impegno nella tutela e nella difesa dei bambini nel mondo. Quanto è ancora viva e attiva, quanto ti guida e ti orienta nella vita di oggi la bambina che c’è in te?
Se non ci fosse non avrei potuto accettare l’onore, ma soprattutto l’onere di essere una Goodwill Ambassador dell’Unicef. Lo racconta già la parola: Ambasciatrice di buona volontà. Tutti, più o meno ci lamentiamo di come vada il mondo. Ebbene: i bambini sono gli adulti di domani e solo occupandoci di loro possiamo concretamente fare qualcosa per migliorarlo. Approfittate di essere on line e andate a visitare www.unicef.it . Lì potete seguire e monitorare il progetto che volete sostenere.
Retta azione, retta parola, retta volontà: gli ingredienti ci sono tutti, grazie Maria Rosaria!