Il tenore di vita è qualcosa che si costruisce insieme negli anni e il contributo delle donne prevede un’attività di educazione e di cura faticosa ma non economicamente riconosciuta.
Silvio Berlusconi ha perso il ricorso con cui chiedeva di ridurre l’assegno di mantenimento per la moglie Veronica Lario, assegno di 2 milioni di euro al mese.
Si riaccende così la polemica sulla sentenza della Cassazione che alcuni giorni fa ha stabilito che in caso di divorzio venga meno l’obbligo da parte del coniuge economicamente più forte di garantire all’altro il medesimo tenore di vita.
Due milioni sono una cifra molto alta, certo, che va ben oltre l’autosufficienza e anche oltre un ottimo tenore di vita, ma Berlusconi ha d’altronde un reddito annuo che viene valutato in decine di milioni di euro.
Anche laddove il reddito familiare è alto l’impegno -e talvolta le rinunce- che le donne si trovano ad affrontare in favore della famiglia e della carriera del coniuge è indispensabile al successo professionale di quest’ultimo, e questo vale anche per la famiglia Berlusconi-Lario.
Il tenore di vita è qualcosa che si costruisce insieme negli anni e il contributo delle donne prevede un’attività di educazione e di cura faticosa ma non economicamente riconosciuta.
E questo diventa drammatico laddove anziché guardare all’Italia abitata da vip e avvocati milionari ci addentriamo in quella delle persone comuni, con vite e stipendi comuni, fuori dal mondo delle favole.
Occuparsi di casa, dei figli, degli anziani, fare la spesa, mettere insieme il pranzo e la cena, richiede ore ed ore di lavoro non retribuito, di cui non si può, nelle valutazioni di un bilancio familiare, non tenere conto.
Spesso le donne richiedono un part-time al lavoro con l’arrivo del primo figlio perché mancano le politiche di welfare che permettono in altri paesi di conciliare professione e genitorialità; dopo dieci, vent’anni, quando i figli sono grandi, questa scelta significherà nessun avanzamento di ruolo, stipendi bassi, bassi contributi e pensioni future ridicole. Agli uomini non è invece richiesto di conciliare lavoro e famiglia, possono dedicarsi alla professione con tranquillità. Nessun uomo sposato potrebbe dedicarsi alla carriera raggiungendo determinati risultati senza il contributo della propria moglie. E al di là della carriera, nessun uomo potrebbe permettersi di uscire dalla fabbrica o dall’ufficio pensando che la fatica per quella giornata sia finita se non ci fosse una moglie impegnata ben oltre le otto ore tra fornelli, lavatrici, camicie da stirare e bambini da portare al corso di nuoto. Alcuni passi siano stati fatti nella condivisione della cura, ma l’equilibrio è ancora lontano.
Tornando al divorzio Linda Laura Sabbadini, ex dirigente dell’ istat, sottolinea che nella maggior parte dei casi le donne non ricevono assegni (solo nel 20% nelle separazioni e nel 10% dei divorzi) e che nonostante si parli spesso della nuova povertà dei padri divorziati i dati ci dicono che la povertà colpisce di più le donne, spesso in grande difficoltà insieme ai figli.
Sono inoltre molte le situazioni in cui, sempre per parlare della vita reale, i padri separati non passano nemmeno gli alimenti destinati ai figli dopo le sentenze e non tutte le madri hanno la possibilità di rivolgersi a un avvocato per pretenderli.
Non va inoltre dimenticato tra le varie forme di violenza è dura a morire quella economica che investe anche donne che lavorano fuori casa e che si vedono comunque gestire lo stipendio dal marito che per la nostra cultura rimane il capofamiglia (e questo riguarda anche coppie giovani che ripropongono pari pari ciò che gli è stato tramandato come normale).
La famiglia è un’ istituzione i cui soggetti ancora oggi non hanno pari opportunità di realizzazione e la sentenza della Cassazione, non riconoscendo lo squilibrio che grava sulle donne e il grande carico di responsabilità che si devono accollare, appare anacronistica e tutt’altro che al passo coi tempi.