Lei radeva regolarmente le ascelle, nella convinzione di apparire più attraente e più igienica. In una parola, più desiderabile.
Nuotatrice assidua da sempre, da sempre si era condannata alla rasatura ascellare, inoltre era solita portare abiti scollati e sbracciati. Orripilava ordunque alla sola idea che qualcuno potesse anche solo scorgere un pelo inappropriato in quelle regioni. Amante dell’Arte e del Bello, frequentava un palazzo storico della sua città che intratteneva gli esteti con mostre gradite a livello internazionale. Fu qui che tra i vari incontri di condivisione incontrò un uomo intrigante, barbuto e villoso come non mai. Una sorta di orso peluscioso, introverso (lo capì dallo sguardo), ma con lei si era subito aperto. Alchimie dell’Arte o dei peli, lei si chiese in seguito a ciò che accadde.
Accadde che quella mattina della mostra della Warhola andarono a letto a casa di lui, perché per lei quando c’è condivisione di intelletti, c’è anche condivisione di letti. Nelle due settimane precedenti, lei non aveva avuto occasione di rasarsi le ascelle. Restava sotto il lenzuolo a braccia strette per tema di orripilare anche l’orso. Si amavano sì, ma in modo parziale, perché l’amore senza abbracci è incompleto. Finché.
Finché all’orso venne un sospetto: che lei non lo desiderasse abbastanza da circondarlo con le braccia. Allora si incaponì, da peluche qual era, si strofinò sul suo corpo, attorcigliandosi sui suoi fianchi morbidi, insinuandosi sotto le mani strette, grugnendo dolcemente come solo un orso quasi innamorato può fare. Involontariamente, con la barba la solleticò sul pancino e fu lì che lei cedette ad una risata, scoprendo la pelosità delle ascelle. L’orso si bloccò, in contemplazione.
Al termine della quale scoccò la sua freccia: “Io ti amo per quelle tue ascelle pelose.”
Da allora lei non le rasò più, cosciente che i dread locks ascellari lo avrebbero incatenato a sé per l’eternità.