Nel contesto islamico indonesiano a le unioni precoci sono, purtroppo, tutt’altro che infrequenti, tanto da coinvolgere (in base alle stime dell’Unicef) almeno una ragazzina su quattro.
Aberrante retaggio del passato che le centinaia di esperte in scienze coraniche confluite a Cirebon, sull’isola di Giava, da ogni angolo del paese hanno inteso bandire con un’inedita fatwa (verdetto religioso) di condanna emanata a conclusione del recente Kongress Ulama Perempuan Indonesia.
Tre giorni di pacato confronto scanditi da incessanti dibattiti su discriminazione sociale, violenza di genere, sfruttamento infantile. “Li abbiamo indetti perchè riteniamo sia tempo di ammettere la nostra esistenza. Il contributo delle donne può talvolta rivelarsi determinante”, ha precisato Badriyah Fayumi, responsabile del comitato che a breve cercherà di mediare con massimi vertici del sistema l’innalzamento a 18 anni dell’età minima prevista per convolare a nozze (attualmente fissata a 15).
Sebbene non legalmente vincolante, i pronunciamenti del Consiglio degli Ulema a maggioranza maschile (di ordinaria consuetudine) sono spesso in grado di incidere sensibilmente sulle decisioni degli organi istituzionali. Non altrettanto influenti invece quelli espressi dalla comunità clericale femminile, che nonostnte la secolare tradizione vantata non è ancora riuscita a imporre la propria autorevolezza.
“Avendo direttamente sperimentato i disagi derivati dall’appartenenza al cosiddetto sesso debole ci siamo sentite in diritto di intervenire”, ha osservato la teologa Ninik Rahayu, promotrice del summit svoltosi alla presenza di osservatrici keniote, pakistane e saudite.
“Speriamo in tal modo di poter indurre il governo a tutelare le ragazzine, tuttora costrette a subire soprusi da parte sia dei genitori che dei mariti, generalmente molto più anziani”.
Piccole vittime dell’ignoranza. Potenziali schiave impossibilitate a proseguire gli studi che invariabilmente, dopo qaualche anno di forzata convivenza, si ritroveranno ripudiate dai loro stessi carnefici (circostanza attestata nel 50% dei casi). Emarginate e deprivate del futuro. Stigmatizzate dai familiari e dalla società, nella cinica indifferenza globale.