Una eccellente artista che non smette mai di mettersi in discussione e che, forse per questo, mantiene vivo in sé un animo sempre giovane. Dopo anni di lavoro contabile, quanto di più lontano dalle richieste della sua anima, a trentacinque anni ha riacciuffato l’amore giovanile per la pittura fino a quando, una decina di anni dopo, ha avuto il coraggio di fare una scelta definitiva, seguendo un grande maestro francese di decorazione.
Tra gli interessantissimi incontri al Femminile che potete trovare qui ho fatto una lunga chiacchierata con Antonia Dusman. Restauratrice di mobili, decoratrice, maga del trompe l’oeil, Antonia Dusman non sa bene se definirsi artista o artigiana ma basta guardare un suo lavoro per capire che al fruitore delle sue opere non interessa come lei voglia definirsi. Crea qualcosa di bello, questa è l’unica etichetta che ha senso metterle addosso.
Counselor e Facilitatrice Olistica, l’energia del Femminile in lei si manifesta nella sua sensibilità, nella creatività e nella sua capacità di cogliere il bello e di saperlo ricreare partendo dalla voce dell’anima anche di oggetti che agli occhi di un profano sembrano non averla. Ma Antonia Dusman sa cogliere l’anima perché è in grado di vedere al di là di ogni apparenza e di mettersi in contatto con l’essenza profonda di ogni cosa. E di amare quello che fa ma anche quello che ancora non conosce ma che la chiama.
Per questo è un’ottima artista e per questo sono felice di avere fatto tante belle chiacchierate con lei.
*Come e quando è nato in te l’amore per l’arte e per la pittura?
È lui che è sempre stato dentro di me, ci sono nata con questo “dolce e imperioso mostro interiore”, lo capisco solo ora dopo averlo accettato come una parte di me come ogni parte del mio corpo. Si è fatto conoscere con discrezione e lentamente, mentre crescevo e mi dedicavo a tutt’altro. A cinque anni già dipingevo con le tempere dei bambini e non mi bastavano perché si asciugavano in fretta e non mi permettevano di cullarmi nella dolcezza di una lunga pennellata. Ho scoperto poi che quella lunga pennellata è nel colore ad olio e oggi ai miei allievi ne cerco di insegnare la tecnica affermando sempre che è molto più semplice di quella ad acqua.
*Un amore lineare e tranquillo oppure burrascoso?
Un amore con cui a volte litigo perché mi ha costretto a fare delle scelte radicali spesso contro tutti e contro il ben pensare corrente che preferirebbe mi applicassi in qualcosa di più stabile e con uno stipendio fisso. La Pittura invece è una bella signora capricciosa che mi utilizza come strumento per esprimermi o meglio, per mettermi al servizio. Nel mio caso credo sia proprio questo : il servizio che rendo attraverso il mio operare. È una sorta di connessione con la parte più profonda di me che viene fuori quando dipingo, sia quando studio un progetto, sia quando mi commissionano qualcosa di preciso. Si aziona quella parte di me che si sente utile. Mi incuriosisco e studio e cerco di capire quale significato mi racconta. Quando dipingo per me allora la signora è più rigorosa…è un continuo lavorìo interiore, indago su quello che mi piace e mi emoziona. Ora sono in un periodo rivolto alla natura, agli animali in particolare che trovo così puri e semplici.
*Quali sono state le tue principali tappe in questa tua professione?
Dipingo da sempre. I primi ricordi sono dalla mia infanzia. Il mio primo maestro fu un pittore anziano che silenziosamente dipingeva a cavalletto in un salone luminoso di una villa siciliana di amici dei miei genitori. Ero affascinata da come muoveva il pennello in modo lento e preciso . Era sempre di spalle e non parlava mai ed io gli ero grata perché, timidissima, avrei avuto una tale vergogna a farmi notare lì, non avrei mai voluto disturbarlo.
*Una immagine ancora molto viva in te?
Torno spesso a quel ricordo e io come lui mi calo nel mio mondo del “sentire” il colore, il gesto, la pennellata; è come essere in meditazione.
*E poi cosa è successo?
Nel 97 (a 35 anni) conobbi il mio maestro di pittura Mario Diego Urbani: pittore, scultore, pianista, e grande conoscitore del “sentire la pittura”. E così ripresi a dipingere dopo anni di contabilità ( studi voluti da mia madre) e lui fece leva su questo amore che voleva essere riconosciuto. Qui iniziò la mia strada di corsi in atelier milanesi e non solo. Approfondii anche da autodidatta le antiche mescole e nel 2006 presi la decisione di partire per la Francia dove avrei intrapreso un percorso molto duro di decorazione pittorica presso l’Institut Yannick Guegan; volevo a tutti i costi un documento che mi permettesse di lavorare nel campo della decorazione d’interni da professionista e in tempi brevi. Avevo già compiuto 44 anni, avevo un marito con il quale avevo lavorato in azienda per molti anni, una figlia adolescente, avevo aiutato mio padre a realizzare il suo sogno ed era arrivato il momento di pensare a me e a cosa avrei fatto da grande.
*Come hai vissuto la scelta di lasciare tuo marito e tua figlia in Italia ? Quanto è stato duro per te cercare di conciliare famiglia, affetti e lavoro?
La scelta di andare in Francia per il diploma di decorazione è stata una scelta sofferta ma condivisa con mia figlia e mio marito che all’epoca mi vedeva al suo fianco in azienda e lui più di altri avrebbe perso una collaboratrice di fiducia. Ho impiegato circa un anno per sistemare tutto. Il pensiero di fondo era che dovevo dare voce al mio “dolce mostro interiore” e dovevo fare quello che sentivo. Inoltre avevo l’esigenza di prendere un sano distacco da due nuclei familiari un po’ fagocitanti. La mia più grande alleata è sempre stata mia figlia Irene. C’era anche in me molto forte la spinta a voler comunicare al mondo che era possibile seguire un sogno con il cuore e con la mente anche se sei donna, madre e moglie.
*E le persone intorno a te cosa ti dicevano?
Le critiche maggiori le ho avute da alcune amiche il secondo anno quando Yannick Guegan (il maestro francese) mi chiese di restare con lui a gestire lo stage in qualità di assistente. Ero sbigottita e onorata allo stesso tempo, dopo una riflessione sofferta mi son detta che era un’ offerta che non potevo rifiutare. Ho accettato ed è stato l’anno più duro. Ma ne è valsa la pena. Quell’anno è stato l’anno in assoluto che ha cambiato radicalmente la mia vita. Avevo riscontro con gli allievi che imparavano da me senza difficoltà, mi sentivo più forte e molto motivata. Ero riuscita a farmi amare dai colleghi francesi, ed ero diventata anche un punto di riferimento per i più giovani. Ero entrata in punta di piedi e molto timida e ne sono uscita forte e cosciente che il mio mostro doveva essere messo in luce. Ho avuto amiche che mi hanno criticato molto perché “abbandonavo” mia figlia e il marito, non sapendo che invece per mia figlia soprattutto è stato un periodo di vicinanza –lontananza molto intensa. La convivenza in atelier con Yannick è stata molto importante per la mia autostima, lui più di altri apprezzava il mio modo di lavorare e l’empatia che avevo coi ragazzi.
*E al tuo ritorno in Italia cosa è successo?
Nel 2007, ritornata in Italia definitivamente, ho iniziato a farmi conoscere in esposizioni en plain air (sui navigli milanesi) e in mostre collettive, ho fatto pubblicità su Riviste di arredamento e via web con il mio sito Ho venduto alcuni miei lavori alla Topcolor che li ha stampati sotto vetro creando dei tavoli meravigliosi. Ho realizzato dipinti per privati. Uno in particolare lo realizzai per Giovanni Nuti interpretando la sua amicizia artistica con Alda Merini. E poi le pin up, divertenti, qualche ritratto. Insomma tutto un po’ a rilento perché c’era una necessità familiare che non mi permetteva di essere molto serena. Recentemente ho finito di decorare il soffitto di una villa in Perledo (Lc) che mi ha dato molti spunti di crescita
*Perché il trompe l’oeil? Simbolicamente cosa significa per te?
La parola trompe significa “inganno” e ci rimanda a qualcosa di negativo ma in realtà Il trompe l’oeil è un modo di rappresentare un dipinto e permette attraverso la prospettiva, il chiaroscuro e il realismo del dipinto di rappresentare qualcosa che altrimenti non ci sarebbe ,per esempio una veduta di un paesaggio attraverso una finestra. Oppure portare il dipinto di un oggetto (una cornice, un frutto, un animale ecc) ad un iperrealismo tale da sembrare vero. I francesi sono molto abili in questo perché usano molto i colori ad olio. Infatti io ho imparato a imitare marmi e legni e pietre preziose al punto tale da sembrare vere. La decorazione italiana è molto più fresca e il gesto pittorico può essere impreciso ma a colpo d’occhio può risultare molto armonico, anche perché utilizzando i colori ad acqua bisogna applicarli in modo diverso. Simbolicamente i due modi di agire nel dipingere portano a ripercussioni interiori differenti. Se da una parte il vero trompe l’oeil porta ad un lavoro di rappresentazione pedissequa della realtà e da lì non si scappa, la pittura decorativa o l’espressione artistica più libera porta ad una leggerezza del tratto che è molto più appagante e liberatoria. È un po’ come dire che devi assolutamente conoscere la realtà prima di interpretarla e liberarti di ciò che non ti serve più. Per me è stato ed è ancora un processo faticoso. Bisogna sempre mettersi in ascolto delle proprie esigenze del momento e lavorarci su con impegno e dedizione. È un atto di guarigione se vuoi, ci si spoglia del superfluo per cercare di raggiungere l’essenziale. Ne ho avuto prova recentemente ad un corso di grottesca: l’insegnante mi ha fatto un complimento per l’esecuzione di una rosa ed io ero talmente emozionata per la tappa raggiunta che non ho saputo nemmeno dirle grazie.
*E cosa significa per te , sempre simbolicamente, essere decoratrice?
La decorazione è rivolta principalmente alla casa, il tuo nido, il luogo dove ti senti più al sicuro e quindi lasciare il proprio segno pittorico seppure filtrata dalle richieste del cliente, è sempre un bel modo di mettere la propria impronta. Normalmente sono lavori che restano per molto tempo sui muri e senza arroganza è come se una parte di te vivesse accanto a quella casa e alle persone che la ospitano.
*La decorazione è una tecnica artistica da fare in solitudine o con altri? E perché?
Dipende. Se il lavoro è di dimensioni ridotte lo si esegue da soli, se invece prevede grandi spazi decorati come ad esempio un soffitto o tante pareti, si esegue in team, anche perché spesso ci sono dei termini di tempo da rispettare. L’ultimo mio lavoro nella villa di Perledo sconfessa tutto questo e il cliente nonostante il mio diniego, ha voluto che fossi da sola a eseguire il soffitto e i cornicioni sottostanti, perché voleva che solo io lasciassi l’impronta artistica. Se da una parte mi sono sentita onorata per questa sua scelta, dall’altra è stato un atto coraggioso, incosciente e molto faticoso. In questo momento economico poi dove la decorazione d’interni ha perso terreno e sempre meno persone spendono per abbellire in questo modo le proprie abitazioni, lavorare in solitaria è quasi un privilegio. L’ideale è per me lavorare in team, ci si aiuta, ci si confronta e si lavora meglio, certo bisogna sapersi scegliere.
*Come vivi il lavorare su commissione?
Quando un cliente mi commissiona un lavoro io entro subito in modalità “ascolto empatico”. È una parte bellissima del mio lavoro. Il cliente mi parla anche di tutt’altro e io devo capire senza giudizio cosa é importante per lui e cosa posso dipingere affinchè sia soddisfatto. In un certo senso è come una sessione di counseling, bisogna creare il rapporto senza giudizio e capire la sua visione del lavoro e aprirsi a possibilità magari sconosciute. E’ la parte più difficile ma anche la più affascinante. Poi c’è il lavoro di ricerca delle immagini dell’esecuzione del progetto e quando eseguo il lavoro in realtà il grosso è stato già fatto e divento una semplice esecutrice, ancora una volta al servizio.
*La tua ricerca artistica e la tua crescita personale procedono in parallelo?
Assolutamente. Fino ad ora è stato così. Quando a mia figlia fu diagnostica una malattia molto seria ai reni, ricordo che c’era l’esigenza di rendere intonsa la sua stanza da letto e io dipinsi le sue pareti come se lei vivesse in un fondale marino pieno di pesci e animali marini. Tu, Susanna, mi dicesti che le stavo facendo terapia. La stavo facendo anche a me e da allora non è cambiato niente. In ogni lavoro che eseguo non posso esimermi dal riflettere su di me e io cresco attraverso di loro. C’è una sorta di magia nel flusso degli eventi, quando si è sul cammino giusto si vive quello che è necessario per se stessi e per la propria crescita personale. Allo stesso modo la crescita personale porta ad avere maggiori informazioni e ad aggiungere altri tasselli al proprio puzzle. La volta seguente basta metterli a frutto evitando degli errori o migliorando l’esecuzione di un progetto o addirittura rifiutando ciò che non è più in sintonia con quello che si è diventati.. Il mio lavoro è il mio compito ed è il mio mezzo espressivo più adeguato alla mia crescita e quindi non può che essere così.
*Tecnica e creatività, come le riesci a conciliare ?
Siamo tutti creativi, in svariati campi, la tecnica è necessaria per velocizzare il processo e mettere al sicuro la parte più progettuale, la creatività seppure sembra scollegata ne è intrisa. A volte mi capita di avere un’idea e non sapere come metterla in pratica, allora l’assenza di tecnica mi fa capire quanto ci tengo nell’eseguirla, se mi scoraggio subito diventa un segnale, se invece mi incuriosisco allora è affascinante perché mi attivo per conoscere e applicarmi. È una ricerca continua.
*Come è il tuo rapporto con il colore?
E’ un rapporto di amore odio. Ho imparato nel tempo anche in modo autodidatta a comporre i colori partendo dai pigmenti. So fare gli acquarelli con la gomma arabica e le vernici finali di una brillantezza straordinaria, a volte compongo delle piccole quantità di colore ad olio. Per l’ultimo lavoro in una villa dove ho eseguito dei dipinti sul soffitto e alle pareti, ho composto le tempere a base vinilica, sempre partendo sempre dai pigmenti. Recentemente ho appreso l’antichissima tecnica della tempera all’uovo ma sono ancora una principiante. È un mondo affascinante. La parte che più preferisco è la sensazione che mi provocano i colori. Ognuno vibra in modo diverso ed ha una propria personalità. È necessario comprenderli come se fossero persone che ti parlano. Quindi a volte ci litigo perché voglio usarli in modo differente ma loro mi riportano all’ordine. È necessario un grande rispetto affinché si possa creare qualcosa di armonico. A volte non ci riesco.
*Quali analogie ci sono per te tra dipingere e meditare?
A volte mi capita mentre sto dipingendo di sconnettermi dalla realtà e quando torno presente a me stessa mi chiedo come questo sia possibile. Ma accade, io continuo nei miei gesti pittorici, prendo il colore, lo metto sulla tela, capisco che sto agendo. Quando mi accorgo che ero altrove, il pensiero diventa conforto perché sento di essere comunque al sicuro e che l’azione fisica in un certo senso è controllata e non sto facendo stupidate. Nella meditazione vera e propria è uno stare in uno stato di connessione profonda ma l’azione fisica è annullata….sono due forme differenti di essere in contatto con se stessi. Quando dipingo e mi capita di meditare lo associo al mio compito e mi sento protetta e al sicuro come guidata. È una conferma che sono sulla strada giusta
*Ti ritieni un’artista o un’artigiana e perché? Che differenza c’è?
Questo è il mio grande dilemma. Penso di essere entrambe le cose, l’artigiana esegue qualcosa che già conosce per averla praticata, l’artista accede al suo essere più profondo e lo manifesta. Sono in una fase della mia vita in cui mi sento in silenzio, nel senso che sto cercando di incamerare dati per una prossima opera. Mi chiedo quale sia la mia specialità artistica e ne sono alla ricerca. Oggi la specializzazione è quasi un dato assodato ma al momento non la trovo. Molti colleghi si sono già collocati in uno stile o in un campo preciso, io non so ancora dove collocarmi e in questa non spazialità mi interrogo. Amerei un confronto ma accade che spesso si finisce con il “sei brava, sei bravo”, ma non è a questo che ambisco. Forse sono frutto di questo momento storico dove il dubbio impera….non so.
*E in tutto questo come si inseriscono le tue opere di ristrutturazione e di restauro ?
Il restauro é il mio grande sogno nel cassetto. Ho lavorato con una restauratrice di mobili e mi sono occupata del restauro pittorico, ma non ho le competenze accademiche per potermi definire tale. Quello interiore invece è più complesso e un cantiere sempre aperto. Io sento di essere portata al “mettere a posto” e, chissà, un giorno potrei pensare di specializzarmi in questo.
*Quali sono state le tue maggiori difficoltà nel fati strada nel mondo dell’arte?
La difficoltà maggiore è farsi valere dal punto di vista economico. Purtroppo i dipinti che ho esposto, frutto del mio lavoro in Francia, sono molto grandi e iperrealisti e le persone che si avvicinavano si spaventano affermando che sarebbero stati sicuramente cari, quando in realtà la mia quotazione era effettivamente bassa. Quindi non c’è stato nemmeno il modo di discutere e contrattare. In altre situazioni invece è vero che io mi faccio prendere dall’emozione e non creo il giusto distacco e non ottengo quasi mai quello che chiedo. Mi ci vorrebbe un manager che si occupasse di questa parte in modo adeguato. Un’altra difficoltà è la richiesta, oggi molte aziende preferiscono sottopagare i giovani che escono dalle accademie con la scusa che devono fare esercizio, piuttosto che prendere dei professionisti che ovviamente dovrebbero pagare di più- quindi resto nel mercato di una nicchia ristretta di persone che preferiscono la qualità alla quantità, sempre per quello che sono le mie competenze pittoriche.
*Quali sono le principali difficoltà di una donna in questo campo?
Io farei un distinguo tra il momento in cui si crea qualcosa e il momento in cui vuoi mostrarlo e venderlo. La parte più delicata di tutto questo argomento è sicuramente la sensibilità che ogni artista ha e quando crea la mette in mostra. Questo equivale a mettere a nudo la parte più intima e fragile di sé. Se l’esecuzione di una propria idea resta fine a se stessa tutto corre liscio e non credo ci sia una difficoltà al femminile, anzi le donne hanno una sensibilità diversa dall’uomo e spesso creano lavori meravigliosi, ma questo va a gusto e vissuto personale. Mentre è necessario mettersi uno scudo per accusare i colpi che arrivano da chi critica o vuole mercificare il tuo lavoro. È necessario mettere in atto la parte maschile per restare centrati, in equilibrio e fermi, almeno questo capita a me.
*Cosa fai per farti conoscere?
Ho investito molto nella pubblicità. Ho esposto in manifestazioni come L’arte sul Naviglio, sul Naviglio Grande a Milano. Ho comprato spazi pubblicitari in riviste di arredamento come AD. Ho messo on line i miei lavori sul mio sito internet. Mi sono iscritta a siti dedicati . Ho esposto in mostre collettive a Milano e dintorni.
*Raccontaci qualche episodio particolare legato al tuo lavoro…
Te ne potrei raccontare più di uno perché quando si è sulla propria strada succedono cose meravigliose, ma quello che preferisco è questo: anni fa esposi in una villa a Modena, ricevetti tanti complimenti ma non riuscii a vendere nulla. L’ultimo giorno si presentò un medico di Firenze che era li in vacanza e mi chiese se volevo eseguire un dipinto per una casa di riposo di Gambassi in onore della Madre Superiora che da li a poco avrebbe finito il suo mandato e non sarebbe più stata riconfermata. Ci accordammo e, mentre eseguivo il lavoro nel mio studio, mi capitò di tutto. Era piena estate e faceva molto caldo ma i colori non seccavano. La tela inchiodata al muro mi cadde più volte. Non riuscii a mettermi in contatto telefonico con il responsabile della Casa di riposo per la consegna. Internet non funzionava e non tornavano le richieste di info, eccetera. Mi capitarono intoppi personali strani e perfino l’incollaggio della tela sul supporto di legno mi diede parecchi problemi di incollaggio formando bolle, al punto che dovetti tardare io la consegna. Arrivo alla casa di riposo e incontro la Madre Superiora emozionatissima. Guarda il dipinto e, siccome era uno scorcio del loro paese, si mise a guardarlo e riconosceva la casa dell’una e dell’altra persona e commuovendosi mi disse: “ Quanto ho pregato per non vedere il suo dipinto” !
*Qual è la tua mission nella vita?
L’unico punto fermo della mia mission è che dipingerò finchè potrò…poi tutto il resto sarà in divenire. La vita mi ha offerto di avere molte esperienze differenti, lavorative e non. Ogni volta che ho trovato un bivio ho fatto scelte senza pensare al futuro molto spostato in là, bensì al passo successivo, quello più prossimo ed è stata una continua avventura con alti e bassi. Mi piacerebbe mettere radici ma forse sono un po’ vagabonda, con una valigia in mano pronta a ripartire per luoghi e spazi nuovi. La condivisione è certamente qualcosa che mi appartiene e spero che in questo viaggiare io possa lasciare il testimone di questa arte magnifica a qualcuno che abbia voglia di prenderlo, come nel mio piccolo faccio già con i miei allievi di pittura.
*Se anche tu dovessi dipingere un tuo ritratto alla Oscar Wilde come lo faresti? E cosa sacrificheresti di te per l’eterna giovinezza?
È da un po’ di tempo che penso di fare un mio ritratto ma non mi so decidere, sono molto critica nei miei confronti. Non sacrificherei nulla per vivere l’eterna giovinezza esteriore. Io mi sento una ragazzina interiormente, mi piace ridere e scherzare e sento che il tempo sia infinito e ci sono tante cose ancora da vivere sentire e apprendere. Certo esteriormente il corpo dà i suoi segnali ma c’è un fascino anche in questo e non penso valga la pena sottrarvisi….non vorrei mai fare la stessa fine cruenta di Dorian ☺
*Una tua opera che sia espressione di te nella tua totalità…
Al momento direi IL VIAGGIO, è un quadro 100×100 dimensione voluta a significare che non esiste differenza tra base e altezza. L’immagine racconta di un bosco e di sentiero che si tronca di fronte ad un ipotetico vuoto. La luce sul fondo non è molto chiara ma ha connotazioni grigiastre che stanno a significare che non è stato ancora raggiunto l’obiettivo finale. Il senso è il percorso obbligato che dobbiamo percorrere arrivando a volte a punti che ci fanno paura, semplicemente perché non si vede ancora cosa ci sia oltre…può esserci il precipizio o una dolce discesa…se non arrivi al margine non puoi vederlo. È un incitazione ad avere il coraggio a proseguire con fiducia.
Grazie, Antonia..il tuo é un incitamento anche per tutti noi!
1 commento
Signora Antonia Dusman. Ho letto la nota e vorrei sapere in quale direzione scrivere.
Mille Grazie