La fecondazione assistita eterologa consente ad una coppia, soggetta a sterilità , il concepimento di un figlio attraverso l’ impiego di gameti appartenenti ad un soggetto terzo.
Voglio parlare oggi di una grande battaglia vinta a suon di sentenze e culminata con l’assoluzione della spesso condannata fecondazione assistita eterologa. “È tradimento!”, penseranno i più bigotti, ma la verità è che si tratta di garantire una maggiore tutela dei diritti della coppia e dell’embrione in ottemperanza all’art. 1, comma 1, della legge 40/2004: “[…] è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Va detto che il testo lacunoso (ma anche un po’ contraddittorio) e la sua applicazione pratica lasciavano presagire un impegno debole nel perseguire l’obiettivo, tipica conseguenza dell’imbarazzo italiano di fronte ai temi etici, da cui poi di solito emergono testi normativi poco convincenti (come quello della legge 194/1978).
E infatti la fecondazione eterologa era originariamente vietata ai sensi dell’art. 4, comma 3. Ci si limitava a ricordare che il donatore di gameti, esterno alla coppia, non avrebbe potuto rivendicare alcun diritto di parentela sul nascituro né essere sottoposto ad alcun obbligo nei suoi confronti (art. 9) e che la violazione dell’art. 4 avrebbe comportato una sanzione amministrativa pecuniaria dai 300 000 ai 600 000 euro (art. 12). Tra l’altro, imponendo l’obbligo di trasferimento di tutti e 3 gli embrioni prodotti, un’ipotesi di diagnosi pre-impianto (già di per sé osteggiata dalla legge) si rivelava di ben poca utilità, e non consentiva in alcun modo di garantire alla gestante e al concepito una completa tutela.
Questi, a grandi linee, i punti più critici della legge.
Ho con curiosità e paura indagato sulle motivazioni addotte dai “contrari” alla pratica, e – senza giudizio – ne ho preso immediatamente le distanze: Alberto Gambino, ordinario di diritto privato presso l’Università Europea di Roma, e il prof. Riccardo Chieppa, Presidente della Corte Costituzionale dal 2002 al 2004, hanno equiparato la fecondazione eterologa al primo passo verso l’eugenetica; Maurizio Faggioni, docente di Teologia Morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, in una rubrica chiamata “Risponde il teologo” su ToscanaOggi.it, sosteneva che “nella generazione, sia naturale sia aiutata da tecniche biomediche, la coppia accoglie il figlio generato dalla sua carne. Nella adozione la coppia accoglie come suo un figlio generato da altri. Queste due forme di genitorialità vedono la coppia unita nell’esperienza unica dell’accoglienza della vita. Nell’eterologa, invece, la genitorialità viene ad essere squilibrata”. Quindi sostanzialmente si vede nella fecondazione eterologa una minaccia alla concezione tradizionale di famiglia e alla tutela del concepito sopra ogni cosa. E a chi importa se il concepito è affetto da patologia genetica altamente invalidante o incompatibile con la vita, o se quella gestante andrà incontro ad aborto terapeutico o ad un rischio concreto per la propria salute…
Peccato che la tutela del diritto alla salute psico-fisica della donna, della coppia e del nascituro siano uno dei pilastri fondanti della stessa legge, nonché un diritto fondamentale da tutelare.
La nostra fortuna è che la Corte Costituzionale, con la Sentenza 162/2014, abbia decretato l’incostituzionalità del divieto al ricorso alla fecondazione assistita eterologa, e ne cito qui un passaggio: “[…] il divieto stabilito dal citato art. 4, comma 3, recherebbe vulnus a detti parametri, perché discriminatorio ed irragionevole, in quanto per esso sono «trattate in modo opposto coppie con limiti di procreazione[…] ». Nonostante sussistano elementi di diversità tra fecondazione omologa ed eterologa, […] «all’identico limite (infertilità e sterilità di coppia) dovrebbe corrispondere la comune possibilità di accedere alla migliore tecnica medico-scientifica utile per superare il problema, da individuarsi in relazione alla causa patologica accertata»[…]”. Non è eugenetica, è consapevolezza. È il trionfo della genitorialità responsabile. È la vivida rappresentazione del diritto delle coppie all’autodeterminazione e alla libera scelta di diventare genitori alle proprie condizioni, favorendo tra l’altro lo sviluppo di un embrione sano, la cui qualità della vita venga prima di tutto. È esercizio di una coscienza (quella del genitore) che non richiede obiezioni, perché guidata dal senso di responsabilità.
Essere favorevoli all’attuazione di questa procedura vuol dire senz’altro aprirsi a nuovi modelli di genitorialità, ma la nostra è una società in rapida evoluzione e non ci si può aspettare che il concetto di famiglia resti quello di cinquant’anni fa. Questo è, ancora una volta senza giudizio, il grande limite di coloro i quali ostacolano il progresso nell’ambito dei temi etici e pertanto pongono un freno alla legittima tutela del diritto alla salute e all’autodeterminazione della donna e delle coppie. E sì, anche dei diritti del nascituro.
Ricordo infine il recente inserimento della fecondazione eterologa tra i livelli essenziali di assistenza (LEA), un altro grande traguardo raggiunto, nonostante resti il punto interrogativo sulle modalità attraverso le quali procurarsi i gameti, oggi quasi sempre provenienti da banche estere, anche in ragione di un basso numero di donatori nostrani.