Il numero consistente di profughi ( secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.678 persone, di cui 181.405 in Italia) che arriva sulle coste italiane in questi anni, sta creando un grande problema di accoglienza da qualsiasi parte questi provengano.
Come fare a organizzare l’accoglienza in ogni regione italiana? Spesso sono i volontari facenti parte delle varie associazioni che si occupano del settore.
Ne abbiamo intervistata voluta intervistare una molto attiva, Paola Vercelli, anno ’61, di Borgosesia. Dopo un diploma da interprete ed aver lavorato nel settore commerciale di società di trading di materie prime per l’industria siderurgica, operanti su mercati esteri fino al 2015, ha visto realizzarsi un sentimento che aveva sempre avuto: occuparsi di volontariato, ma la famiglia ed il lavoro non le lasciavano molto tempo.
Come ci sei arrivata poi?
Nel 2015 la società per cui lavoravo è fallita e quindi mi sono dedicata al volontariato con i migranti. Ho iniziato nell’hub di prima accoglienza in stazione centrale, poi, con l’aumentare del numero di richiedenti asilo che decidevano di rimanere a Milano e presentavano domanda di asilo qui, un gruppo di volontari ha iniziato ad organizzare varie attività per i ragazzi e le ragazze ospitati in un centro di accoglienza straordinaria di Milano, tra cui la scuola di italiano, le squadre di calcio e cricket con partecipazione a tornei, l’iscrizione dei ragazzi a corsi di formazione professionale, la preparazione per l’iscrizione alla 3a media, e tanto altro. Ad esempio, io organizzo, di solito il martedì pomeriggio, visite a musei, mostre e altri luoghi di interesse, aiutando anche questi ragazzi ad orientarsi in una città spesso gigantesca rispetto ai villaggi da cui provengono.
fine prima parte.
Lavori con gli extacomunitari quindi. Ci puoi raccontare le tue impressioni?
Le mie impressioni su queste ragazzi sono sicuramente positive (parlo sempre di ragazzi perché l’età media si aggira sui 22 anni). Chi partecipa alle mie uscite e molto motivato e interessato ad imparare l’italiano perché si rende conto che l’apprendimento della lingua è fondamentale per trovare un lavoro. Ho notato anche che sono molto desiderosi di conoscere la città in cui stanno vivendo e in cui sperano di rimanere. Certo non tutti sono così forse per indole propria o perché non sono sufficientemente guidati o spronati, ma d’altra parte questo vale per tutti. Vedo comunque persone che si impegnano molto perché hanno rischiato tanto, lasciando tutto dietro di se.
Che cosa si fa e che cosa si potrebbe fare di più? Di cosa avresti bisogno?
Si fa sicuramente tanto, più negli SPRAR, cioè nei centri per richiedenti asilo dove i ragazzi vengono trasferiti quanto ottengono lo status di rifugiato o una qualche forma di protezione, che nei CAS, centri di accoglienza straordinaria, dove gli ospiti vivono fino al responso positivo della commissione, quindi circa 18 mesi, oppure per un periodo più lungo in caso di risposta negativa e quindi di successivo ricorso. Non è però abbastanza. Quando le cose vanno bene, cioè i ragazzi ottengono i documenti, dopo 6 mesi di permanenza in uno SPRAR, vengono mandati via: a volte hanno un lavoro vero e proprio, a volte solo una borsa lavoro per un periodo limitato, a volte niente e devono cercarsi un posto dove dormire. Non è semplice e spesso finiscono per strada. Che cosa si potrebbe fare di più? Sicuramente bisognerebbe lavorare di più e meglio sul fronte occupazione e sistemazione abitativa.
Non temi che queste ondate razziali possano rovinare lo scopo di accoglienza che l’associazione per cui lavori porta avanti? Cosa si potrebbe fare?
Noi andiamo avanti nonostante le ondate razziali, cerchiamo di aiutare questi ragazzi ad integrarsi, a prendere dimestichezza con il nostro modo di agire e di pensare. Speriamo che anche chi la pensa diversamente da noi, un giorno si ricreda.
Una storia che ti è rimasta in mente?
Tante storie mi hanno colpito….però in generale pensare che ragazzi di 14 o 15 anni un giorno abbiano deciso o siano stati costretti a lasciare la propria famiglia e partire da soli, affrontando un viaggio così pericoloso e lungo attraverso il Sahara prima ( con permanenza nell’Inferno libico dove vengono sottoposti a soprusi e violenze continue) e il mediterraneo poi…..ecco questo mi strazia il cuore.