Cupido arriva a Monza e si imbatte in Gertrude, la monaca di Monza.
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Monza, anno 1598.
Affronto questo prossimo viaggio con la sconfitta nel cuore ma, tranquilli, non penserete mica che voglia darmi per vinto? Ormai ho iniziato ed intendo portare a termine questa mia missione. So di avere un compito difficile da svolgere e non voglio mollare proprio ora che mi sto appassionando solo perché le prime volte non è andata come volevo.
Oggi mi sento ridicolo vestito così e ciò che rende curioso e buffo il mio abbigliamento sono soprattutto i colori sgargianti da farmi sembrare un allegro arlecchino. Le braghe infatti, oltre ad essere molto attillate, sono colorate metà di rosso e metà di azzurro. Sopra indosso una casacca a righe verticali rosse e blu che finisce con una specie di gonnellino con fitte pieghe regolari e stretto in vita da una cintura in cuoio nera. Quest’ultima è arricchita con cammei e spille dorate. Ai piedi calzo un paio di stivaletti neri con l’estremità leggermente appuntita, forse le uniche cose sobrie che indosso. Sicuramente ciò che definirei un naturale tocco di classe sono soprattutto due accessori che mi danno un’aria maestosa, ossia il mio berretto, un copricapo nero a forma di cilindro, che mi fa sembrare più alto di tre centimetri buoni e un mantello rosso che mi arriva fino ai piedi.
Mi guardo attorno.
Dove mi trovo adesso c’e’ molto silenzio ed il panorama che mi si apre davanti mi ricorda la locatione del film Il nome della Rosa.
Oddio, non sarò mica atterrato davanti ad un monastero? Mi sa invece di sì.
Tutto avrei pensato meno che le mie frecce potessero entrare in un ambiente così protetto, rigido e, diciamolo, asettico. Ma se ci penso bene, anche il cuore di certe persone è così. Mi è capitato spesso di incontrare persone dal cuore blindato e poi, se indovinavo la chiave giusta, vi trovavo all’interno un’infinità di sorprese.
Intanto dal cancello, rigorosamente chiuso, riesco ad intravedere un cortiletto che circonda l’enorme costruzione in pietra. Le finestre sono in realtà feritoie, piccole e con la grata.
Sì, non ho più dubbi. Sono davanti ad un convento e c’è anche scritto Suore Benedettine.
Qua mi si pone il problema di come dovrò comportarmi.
Non verrà ad accogliermi, di certo, l’esuberante Cleopatra o la sensuale Poppea, né avrò il piacere di rivedere il sorriso malizioso di Francesca.
La faccenda si fa seria. Ciò che mi aspetto di vedere è una schiera di visi pallidi velati e dovrò far leva sulle mie capacità di leggere il linguaggio non verbale, poiché le suore sono sospettose e per questo parlano poco e con voce sommessa, come se fossero sempre in preghiera.
Quello che invece non perderò di vista saranno sicuramente i loro occhi, perché, come si sa, sono lo specchio dell’anima e chi di loro mi negherà il proprio sguardo, vorrà dire che nasconde un segreto ed a quel punto avrò trovato la vittima che cercavo.
Ecco che un viso pallido si avvicina.
“Buongiorno forestiero, cosa la porta fino a noi?”.
“Buongiorno, sono Cupido, un vicino… e… avete per caso del latte a casa?”, pessimo inizio. Ora come continuo la conversazione?
La suora mi guarda incuriosita, poi mi sorride. Inusuale per una suora. Proprio l’incontrario di quello che mi sarei aspettato.
“Del latte, signore? Ma certo quanto ne vuole” e poi continua con orgoglio ”ce ne abbiamo così tanto che potresti farci il bagno”. Sono nel posto giusto. Anche qua in fatto di stranezze non manca niente.
La guardo e provo per lei un’ immediata simpatia. Avrà sì e no sui trent’anni, uno sguardo vivo ed un sorriso disarmante. Sarà un’anima bella, senz’altro. Una di quelle persone che può permettersi di scherzare liberamente anche con uno sconosciuto, sicura del tesoro prezioso che custodisce nel proprio cuore, certa che nessuno e mai nessuno potrà portarglielo via.
Solitamente chi ha fede vive con questa certezza.
“Vi farò parlare con la nostra badessa. Ma venga, la prego”.
La seguo nel cortiletto e poi mi fa strada attraverso un piccola porta che conduce all’interno del convento. Mi saluta con un sorriso e mi lascia da solo in una saletta ad aspettare la Badessa.
Mi guardo attorno. Vi sono poche sedie intorno ad un tavolo di legno color marrone. Al centro della stanza fa mostra di se un bellissimo tappeto persiano. Non oso pensare a niente. È solo un tappeto.
Mi concentro sul presente, cercando di non farmi influenzare dalle storie conosciute in precedenza. Vi posso assicurare che il pensiero di una suora che si rotola dentro un tappeto mi fa venire i brividi. Allora mi impongo di essere serio e, come un turista all’interno di un museo, cerco di fissare la mia attenzione su ciò che vedo.
Questa sarà sicuramente la zona giorno, dove solitamente le suore si riuniscono per le loro faccende giornaliere. Sì, così va decisamente meglio.
Ad un certo punto mi sembra di sentire dei passi nel corridoio. Non è un passo leggero, tutt’altro. Mi ricorda anzi una marcia militare.
Poi appare alla porta una figura alquanto enigmatica ed inquietante. C’è qualcosa in questa suora che non mi convince da subito. Non riesco a vedere bene l’espressione dei suoi occhi. Sarà perchè indossa una maschera nera come quella di Zorro, in un ambiente in cui mi resta difficile vedere un collegamento con Diego De La Vega.
Se avete fantasia, pensate pure quel che volete. Io non ci riesco.
Ma torniamo a noi.
Ora che ci penso, la maschera non è l’unica cosa a colpirmi. La monaca porta la tonaca attillata sulla vita, particolare che non avevo visto nell’altra suora, ed un ciuffo di capelli neri ricade sulla fronte, segni evidenti di una civetteria mal celata.
Senza che né io né lei pronunciamo parola, cominciamo ad osservarci per studiare entrambi le mosse dell’altro. Sento il suo sguardo addosso. Mi osserva ed ho come l’impressione di essere passato sotto ai raggi ics.
Si avvicina con atteggiamento altezzoso. Ho la sensazione di non essere il benvenuto.
Se è lei il motivo del mio essere qua e quindi se è lei la persona che nasconde un segreto nel cuore, e me ne accorgerò subito, farà di tutto per tenere lontani i curiosi.
Un vicino che chiede un po’ di latte non è una cosa grave, ma è pur sempre una scocciatura se, anche involontariamente, mette il naso su cose che non gli dovrebbero riguardare. Ebbene, io, in questo momento, mi sento lo scocciatore.
Ora siamo l’uno di fronte all’altra.
“Buongiorno forestiero, sono la Signora di Monza. Mi fa la cortesia di spiegarmi chi vicino è lei, perché non rammento di averla mai vista?”. Mi accenna un sorriso, ma deve aver fatto una fatica tremenda a muovere i nervi facciali, perché il risultato è tutt’altro che piacevole, un misto tra una faccia beota ed una maschera di cera. Tanto più che con quella mascherina sugli occhi ogni movimento del volto perde di espressività.
Ora cosa dico?
Improvvisamente (e dopo tutto sono un dio) mi si accende una lampadina nella testa.
Se non sbaglio e se la memoria non mi tradisce, potrei trovarmi di fronte alla Monaca di Monza, Gertrude.
Perbacco. Manzoni sei un mito.
Ora ricordo la sua storia. Votata dai genitori alla vita monastica, Gertrude si trova reclusa a vita in un convento contro la sua volontà, senza poter vivere liberamente la sua giovinezza.
È lei allora la vittima della freccia. Innamorata pazza di Egidio, giovane criminale con amici potenti e pericolosi, tanto da sostenerlo nei suoi reati ed esserne complice sino alla fine.
Tento l’unica strada che mi permetterà di esercitare un debole su di lei, sperando di non apparire indiscreto.
“Mi manda Egidio”. Annuisco.
Silenzio.
L’esperienza mi insegna che in certe circostanze il mi manda funziona, vuoi per ottenere un lavoro, un favore, e ti senti di colpo privilegiato o raccomandato. In questo caso, però, è diverso. Rimango qualche secondo in silenzio perché non riesco veramente a capire se il mio mi manda Egidio, mi fosse veramente servito per acquisire consensi agli occhi suoi o se invece le avessi offerto su un vassoio d’argento l’opportunità di mandarmi lei da qualche altra parte, e non specifico dove perché sono un signore. Ma avete capito.
“Sì”, si limita a dire ed abbassa la testa.
Sì cosa?, penso. Sì le do tutto il latte che vuole o sì sono l’amante di Egidio?
Annuisco ed è solo un mio tentativo di prendere tempo. Poi, il letterato che è in me mi suggerisce una scappatoia che cade come il cacio sui maccheroni.
Infatti, neanche a farlo apposta, mi torna in mente l’episodio che segna l’inizio della tresca tra la Monaca di Monza e il suo Egidio. Lei era alla finestra e lui si trovava in giardino. Poi lui saluta lei e lei saluta lui e, subito, lui accenna a volerle scrivere una lettera.
Ho trovato. Che genio che sono.
Mi butto.
“Sono qua per informarla che a seguito dell’operazione di cataratta che ha subìto ad entrambi gli occhi, il medico le sconsiglia vivamente di affacciarsi alla finestra”.
“Cataratta, signore?”.
“Sì, badessa. Vedo che porta una mascherina per proteggere i suoi occhi. Per quanto i raggi solari diano una bella sensazione di calore, non sempre sono salutari. Nel caso suo, Signora di Monza, men che meno”. Gli faccio l’occhiolino. Ma mi sa che non ha capito il doppio senso, calore uguale amore. Come niente, insomma.
“Non vedo cosa possano interessarle i miei occhi. Continuo a fare le cose di sempre. Porto la mascherina ma ciò non mi impedisce né di scrivere e né di leggere.
“A maggior ragione i suoi occhi, già debilitati, non potrebbero in alcun modo pensare di scrivere o ricevere per esempio delle lettere… ne vale della sua salute”.
Ora devo aver toccato un tasto dolente. Mi fulmina con lo sguardo.
“Mascalzone, si sta prendendo gioco di me. Glielo avevo anche detto: basta con i messaggini, poi te li leggono tutti”.
Bingo. Sei tu quindi che sguazzi nella mia freccia, viso pallido? Ma ora sono venuto a riprendermela, mascherina, e non dovrai più nascondere i tuoi occhi.
Lei si lascia andare come un fiume in piena, scambiandomi per il suo confessore.
“Egidio mi aveva detto che sarebbe stato il nostro segreto ed ora manda qualcuno a ricattarmi. Sono rovinata”.
“C’è un malinteso, Gertrude”. Sento che posso chiamarla per nome, senza convenevoli. Vorrei che mi sentisse un alleato e che si fidasse di me. Solitamente do consigli giusti e la gente ci crede anche. Ma poi chissà perché le persone finiscono per fare di testa loro. Sono permaloso e se non mi ascoltano me la prendo.
“Gertrude, non sono qua per ricattarla. Sono qua per darle un avvertimento. Basta lettere. Altrimenti le cose possono precipitare e la situazione vi sfuggirà di mano. All’inizio si prova eccitazione ma poi l’euforia cede il posto all’insoddisfazione che spinge verso un’insanabile fame”.
“Cosa volete che vi dica? Oramai è tardi. Con l’ultima lettera che gli ho scritto, ho promesso ad Egidio il mio cuore e lui si è portato via il mio corpo e la mia anima”.
“Non è tardi, Gertrude. Interrompa questa relazione o porterà solo dolore a lei e a tutte le persone a voi vicine”.
Si irrigidisce e, di colpo, ritorna ad essere la Badessa di prima, la comandante dell’esercito di visi pallidi, la Monaca di Monza.
“Neanche per sogno. Il mio cuore appartiene a lui e lotterò con tutte le mie forze per proteggere la nostra storia e nessuno potrà ostacolare il nostro amore”.
Tempismo perfetto il mio.
Anche questa volta ho fatto un buco nell’acqua. Resistere alle lusinghe dell’amore è davvero un’impresa da eroi.
“Prenda il suo latte e lasci immediatamente questo convento. Non mi costringa a mandarla via con la forza”.
Lascio a voi ogni commento che è meglio. A volte mi fa comodo far finta di non sentire.
Tolgo il disturbo e questa volta oltre alla delusione vengo pervaso da una forte amarezza, ciò nonostante non posso fare a meno di provare compassione per lei.
La libertà è la possibilità di scegliere ciò che ci perfeziona, a Gertrude però non e’ stato concesso tale lusso e per questo so con certezza che la sua relazione con Egidio è stata più che altro un rifugio e non certo una libera scelta.
Deborah Voliani – 49 anni. Assistente sociale. Mi occupo di prevenzione solitudine e promozione socialita favore degli anziani a Trieste presso Televita s.p.a. Sposata. Vivo a Monfalcone. Sono livornese d.o.c. .Toscanaccia nel sangue. Ho un gatto persiano che si chiama Nemo. Scrivo racconti e poesie. Ho scritto con mio marito un romanzo giallo Male minore ambientato a Livorno e pubblicato da Manidistrega nel 2010. Amo la vita e la fede in Dio