Ogni donna, indipendentemente dall’avvenenza e dalla collocazione sociale ha avuto almeno una volta nella sua vita a che fare con la prepotenza maschile esplicitata in vari modi e varie sono le metodologie messe in atto individualmente per difendersi da ciascuna.
Diciamo la verità! Con tutte le donne ammazzate, violentate, abusate e sfruttate nel mondo e nel nostro Paese, l’inchiesta americana che vede coinvolto un grosso/piccolo uomo americano, un certo Harvey Weinstein che manco sapevamo che esistesse, non ci avrebbe minimamente raggiunto né interessato.
Trattandosi invece di uno che per mestiere fa (o faceva, vedremo) il produttore cinematografico e che lo stesso ha lavorato con attrici note dello star system, alle quali avrebbe chiesto o preteso “carinerie” e che, per fortuna, alcune di esse hanno denunciato queste violenze, due grandi giornali americani, lo Yorker e il New York Times, gli hanno dedicato un’inchiesta, con inevitabile e conseguente clamore mediatico.
In essa è emerso che tale comportamento abbia avuto la durata di ben trenta anni. Ma come 30 anni? Mentre la sua casa di produzione e lui stesso si arricchivano, gli veniva consegnato un Oscar al miglior film per Shakespeare in Love nel 1999, apriva un’altra casa cinematografica e tutto il mondo di e intorno ad Hollywood, ne riconosceva le grandi qualità, lui imperituro peccatore, continuava a molestare le sue giovani dipendenti, a ricattare attrici in cambio di parti nei films di sua produzione.
Come in un movie, appunto, alcune denuncie sarebbero state messe a tacere in cambio di denaro (anche questo non stupisce) mentre altre venivano tacitate dalla paura di un licenziamento, dal rifiuto di una parte, dalla vergogna di dover partecipare al banchetto.
Un banchetto al quale piano piano scopriamo partecipassero in modo attivo (quelle che tacciono) o passivo (quelle che denunciano solo ora) molte note protagoniste del grande schermo. E fanno a gara a raccontarlo quasi avessero avuto bisogno di un bagno purificatore collettivo.
Queste accuse postume, non piacciono.
Perché questo individuo non era proprio il signor nessuno, in quel di Hollywood e nel grande elettorato americano.
Con un attento marketing d’immagine, Wenstein si è speso per cause umanitarie e ha finanziato il partito democratico. E, udite bene, si è dichiarato paladino e sostenitore dei diritti delle donne per le quali ha partecipato a una marcia in loro favore a Park City, Utah, durante il Sundance Film Festival.
E allora ci si chiede come possa una persona, sicuramente capace di gestione aziendale e finanziaria, non gestire la propria vita, i propri impulsi e la propria aggressività? Non muovono a compassione i mea culpa e i piagnucoli postumi: “ Il modo in cui mi sono comportato in passato con le mie colleghe ha provocato molto dolore e me ne scuso sinceramente. Sto cercando di migliorare, so di avere ancora molta strada da fare».
Ma di che parla? Dice di avere bisogno di una pausa di riflessione e di riabilitazione. Scusi Harvey ma aveva bisogno di un’inchiesta che la “sputtanasse” per arrivare a tali conclusioni? Come tutti i pugili sul ring anche lui appare un po’ stonato.
Ma neanche l’altra faccia della medaglia, di altro genere, ci fa una gran bella figura.
Quelle che hanno ritirato la denuncia in cambio di sostanziosi rimborsi tacciono. Quelle che parlano lo fanno a sproposito. Ci si chiede se l’indignazione di allora avesse avuto bisogno di tanto tempo per emergere. O forse aveva bisogno di una sorta di “class-action” per formulare la denuncia? O peggio, appare ci sia quasi la corsa per esserci dentro, forse perché solo attraverso l’attenzione maschile, anche quando è depravata, fa sentire protagonista?
Infine e purtroppo, ogni donna, indipendentemente dall’avvenenza e dalla collocazione sociale ha avuto almeno una volta nella sua vita a che fare con la prepotenza maschile esplicitata in vari modi e varie sono le metodologie messe in atto individualmente per difendersi da ciascuna. Anche stavolta.
Infine e purtroppo, ritorniamo all’annoso, stantio, insopportabile canto/lamento delle sirene ai marinai, “E’ necessario impegnarsi a tutti i livelli per cambiare la cultura di genere”, che però preferiscono perire piuttosto che virare la rotta.