Donatella Di Pietrantonio, la scrittrice-rivelazione dell’anno con ”L’Arminuta”, vincitore del Premio Campiello.
L’Arminuta (ed. Einaudi) è il successo letterario dell’anno, vincitore del Premio Campiello 2017. Un romanzo dalla trama densa e caratterizzato da uno stile di scrittura asciutto, sicuro, che riflette le buone letture e la solida cultura della sua autrice Donatella Di Pietrantonio, che sarà Milano, alla Libreria delle Donne, martedì 24 ottobre, alle ore 18.30. La presentazione sarà introdotta da Rosaria Guacci, scrittrice e giornalista.
Donatella Di Pietrantonio ha coltivato la scrittura sin da piccola in Abruzzo, dove è nata, si è laureata e tuttora vive, luogo anche d’elezione per l’ambientazione di tutti e tre i libri finora scritti:
“Mia madre è un fiume”, ambientato nella terra natale e vincitore della quinta edizione del Premio Letterario Tropea, nel 2011; “Bella mia” (edizioni Elliot) Premio Brancati e Premio Vittoriano Esposito 2014 Città di Celano nel 2014 e L’Arminuta Premio Campiello 2017. In tutti e tre il leit-motiv è la maternità ed il rapporto tra sorelle con forti richiami alle figure sia mitologiche che fiabesche nello scenario fisico della sua regione.
“Mia madre è un fiume”(edizioni Elliot) è la storia di un rapporto difficile tra una donna e sua madre, il cui ruolo autoritario ha precluso ogni espressione di affettività. Inevitabilmente tutte le mancanze e le carenze vengono rivissute conflittualmente dalla figlia con l’insorgenza della malattia della madre, la cui relazione di cura acuisce tensioni mai sopìte. Lo spazio temporale della trama si dipana dal dopo guerra in poi, con tutte le trasformazioni economiche, sociali ed ambientali, che si riverberano anche nel vissuto familiare delle due protagoniste. Con un salto nel tempo ci si ritrova alle conseguenze del terremoto del 2009 a L’Aquila, una città in ginocchio con i sopravvissuti costretti ad un’interminabile precarietà: questa è l’ambientazione fisica e temporale del romanzo successivo “Bella mia” riadattamento dell’espressione abruzzese “L’Aquila bella me, te voglio revete”. Come ogni evento violento anche questo del sisma sconquassa il flusso ordinario delle esistenze catapultandole nella precarietà senza fine tanto materiale quanto esistenziale, anche squarciando le parvenze di cartapesta. A tutti gli effetti la trama è una cronaca interiore, dove si intersecano più concause complicanti la dinamica delle relazioni e l’equilibrio dei ruoli familiari già precari prima e detonati con il sisma per le condizioni generali oggettive. Ci sono due donne: una nonna piegata dal suo dolore tanto muto quanto lancinante e l’unica figlia sopravvissuta alla sua gemella. E come in un gioco di specchi avviene l’elaborazione del lutto causato dalla perdita della sorella, vissuta fino a prima come la parte di sé riuscita, salvo poi coglierne invece la grande solitudine esistenziale dell’essere l’unica genitrice presente per il figlio orfano, il nipote, sopravvissuto e con un padre assente.
Anche nel suo ultimo romanzo, ambientato negli anni settanta, c’è una figura di genitore relegato a poco meno di una comparsa ed è quello adottivo, mentre tutte le restanti figure maschili sono comprimarie, perché anche qui i ruoli maggiori sono tutti femminili e dotati di un nome proprio, eccetto che lei, la protagonista, l’Arminuta, in dialetto abruzzese la ritornata. Del resto se alla propria identità corrisponde un nome significante, quell’appellativo attribuitole dai suoi compaesani è davvero il suo stato esistenziale. Accade infatti, che un giorno scopre non essere i suoi genitori biologici, quelli con cui aveva vissuto e che ancora peggio deve essere “restituita” alla sua famiglia biologica, di cui non sospettava neanche l’esistenza. Grande è il trauma dell’abbandono, trovandosi all’improvviso catapultata nella “sua” numerosa famiglia originaria e priva di tutti gli agi fino a poco prima vissuti. Scopre una vita di estrema miseria materiale ed anche relazionale, dove la madre vera, anche lei senza un nome, non mostra alcun desiderio di riconquistare la propria figlia naturale, né per favorire l’integrazione, anzi le è ostile con ogni mezzo, ma d’altronde neanche quella adottiva d’un tempo usa nessun accorgimento di cautela, addirittura i rapporti vengono bruscamente rescissi, nonostante i tentativi dell’Arminuta anche per conoscere i motivi sia dell’affido che della sua “restituzione”. Inevitabilmente per lei si tratta di un doppio abbandono da parte delle sue due madri viventi. Un’ancora di salvataggio è Adriana, la sorella ritrovata: per quanto distanti e vissute in ambienti totalmente opposti, tra loro si stabilisce un’intesa di complicità forse anche di sopravvivenza per l’Arminuta e per senso di protezione dell’altra, in generale non senza dei colpi di scena da non anticipare per invogliare alla lettura di un romanzo denso nel tratteggiare con mano sicura delle psicologie femminili complesse con uno stile impeccabile di scrittura.