Dopo anni di inerzia, l’Italia tenta di allinearsi con quanto richiesto in Europa in materia di indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti. Vediamo con quali risultati.
Non c’è giorno in cui non scopriamo qualche nuovo tassello che sempre più pare farci indietreggiare. Mentre siamo ancora in attesa di una toppa normativa al 162ter e agli effetti della depenalizzazione del reato di stalking, che impone alla vittima un risarcimento monetario, ci giunge notizia di un’altra soluzione che ci lascia alquanto perplesse, per usare un eufemismo.
È circostanza comunemente nota quanto sia difficile per le sopravvissute alla violenza e per i familiari/figli delle vittime di femminicidio vedersi riconosciuto e saldato un risarcimento. L’Italia con enorme leggerezza, ha accumulato un buon numero di richiami dalla Corte di Giustizia dell’UE ed esortazioni fin dal 2011 dalla Commissione Europea, per non aver ottemperato a quanto previsto nella Direttiva Europea CE/2004/80, in cui si prevedeva che ciascuno Stato si dotasse di un sistema efficace, volto a garantire un compenso equo e adeguato per tutte le vittime di reati intenzionali violenti, tra i quali rientrano la violenza fisica e il femminicidio. Correva l’anno 2004.
Occorre ricordare che a monte di questa direttiva europea vi era l’esigenza di abolire ogni ostacolo alla libera circolazione delle persone e dei servizi all’interno dell’UE, per cui anche la sicurezza e la certezza di un sistema di compensazione equo in caso di reati intenzionali violenti facevano parte di accordi tra gli stati. In pratica, si doveva garantire omogeneità di trattamento a tutti i cittadini europei.
Alla direttiva europea del 2004, l’Italia rispose con il decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 204 che la recepì però in maniera parziale, perché si impegnava ad assistere le vittime italiane di reati perpetrati in altri stati membri nell’ottenere da questi ultimi un congruo risarcimento. A questa interpretazione incompleta si aggiungeva anche la completa dimenticanza dell’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/EC, che obbligava gli stati membri a far sì che “le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”.
Ma chiaramente, come annotava l’avvocato Yves Bot nell’aprile 2016 nella sua richiesta di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia:
“se l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 dovesse essere interpretato nel senso che non obbliga gli Stati membri a prevedere un sistema generale di indennizzo comprendente tutte le forme di reato intenzionale violento in situazioni transfrontaliere, l’obiettivo dell’abolizione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi non sarebbe raggiunto, dato che in taluni Stati membri determinate forme di reato intenzionale violento non potrebbero dar luogo ad indennizzo.”
Si comprende perfettamente che una interpretazione vaga della direttiva del 2004 non avrebbe permesso di tutelare adeguatamente i cittadini europei.
A questa mancanza dell’art. 12 paragrafo 2, si rimediò dopo ben quasi nove anni, con la Legge 7 luglio 2016, n.122 “Diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE” (approvando in via definitiva la legge europea 2015-2016 che contiene, oltre ad altre norme, anche quella dell’indennizzo alle vittime di reati violenti), volta a compensare economicamente per il danno subito le vittime di reati specifici, riconoscendo loro il diritto a un indennizzo.
L’articolo 11 della legge 122 (Diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE, segue la procedura di infrazione 2011/4147), in attuazione della direttiva 2004/80/UE, riconosce, a carico dello Stato, il diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, facendo salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, ove più favorevoli.
Vengono delineate le condizioni per l’accesso all’indennizzo (articolo 12) e la procedura per la presentazione della domanda di indennizzo (articolo 13). L’articolo 14 estende alle vittime dei reati intenzionali violenti l’utilizzo del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura (ridenominato). Il Fondo è altresì alimentato da un contributo annuale dello Stato pari a 2.600.000 euro a decorrere dall’anno 2016.
Premesso che la legge 122 è stata un percorso a ostacoli, c’è da rilevare che già l’utilizzo del termine “indennizzo” e non “risarcimento”, come molti hanno già sottolineato, connoti come lo Stato si responsabilizzi solo parzialmente. Tant’è che le condizioni per vedersi riconosciuto un diritto sancito anche a livello europeo erano riprova di questa impostazione politica.
Ad esempio, l’indennizzo sarebbe corrisposto alla vittima “che sia titolare di un reddito annuo, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (attualmente non superiore a euro 11.528,41) e che abbia già esperito infruttuosamente l’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l’autore del reato sia rimasto ignoto”.
Praticamente si discrimina sulla base del reddito, stabilendo una siffatta soglia, che restringe di molto chi può accedere a tale indennizzo. Si prevede anche che ci sia non solo una sentenza di condanna, ma che vi sia una azione esecutiva infruttuosa.
A tal riguardo, commentava l’anno scorso l’avvocato Marco Bona, esperto in risarcimento del danno: “la nuova legge è lontanissima dal garantire la tutela voluta dal legislatore Ue – le direttive comunitarie impongono agli Stati di garantire le vittime senza discriminazioni fondate sul reddito e con indennizzi giusti e adeguati, cosa che non viene invece realizzata dal Governo”.
Al netto di leggi più favorevoli in termini di risarcimenti, la legge 122 si applica quando?
L’art. 11 della legge 122 riconosce il diritto all’indennizzo alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona (ivi compreso il reato previsto dall’art. 603 bis c.p. (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) e ad esclusione dei reati previsti dagli artt. 581 e 582 (percosse e lesioni personali) se non aggravati). Ma al secondo comma dell’art. 11, si parla di indennizzo “elargito”, per la rifusione delle spese mediche e assistenziali, dallo Stato che in questo modo fa “beneficenza” ai bisognosi. Le vittime dovranno provare i danni e attendere che la sentenza di condanna dell’autore del reato passi in giudicato (non sono previsti anticipi) e per ottenere l’indennizzo dello Stato dovranno dimostrare che i condannati sono indigenti e quindi non in grado di pagare il risarcimento previsto dal magistrato (qui un caso).
Come previsto dalla legge 122 luglio 2016 (art. 11 comma 3), l’Italia ha poi varato, anche se in ritardo (il termine era entro 6 mesi) il Decreto del 31 agosto 2017 del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel suddetto decreto, pubblicato il successivo 10 ottobre in Gazzetta Ufficiale, è determinato nero su bianco l’importo dell’indennizzo che lo Stato Italiano corrisponderà alle vittime di reati intenzionali violenti.
Il fondo da cui attingere è quello previsto dalla legge n. 122/2016 per la generalità delle vittime considerate titolari del diritto all’indennizzo, ma “è consentito agli aventi diritto all’indennizzo in caso di disponibilità finanziarie insufficienti nell’anno di riferimento, accedere al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti nella quota proporzionale dovuta nell’anno di spettanza ovvero richiedere negli anni successivi l’integrazione delle somme non percepite”. In pratica, una volta finite le disponibilità del fondo per l’anno di riferimento, si rinvia agli anni successivi per recuperare totalmente la cifra prevista. Con calma, che fretta c’è?
Il decreto del 31 agosto 2017, con le cifre previste, non si avvicina nemmeno lontanamente a garantire un equo compenso alla vittima da parte dello Stato, in assenza di possibilità risarcitorie da parte del reo. Difatti, sulla base di numerose sentenze passate in giudicato, i Tribunali hanno fissato risarcimenti ben più onerosi di quelli previsti dal decreto di agosto per una violenza sessuale. Le cifre inserite nel decreto risultano un ulteriore schiaffo al diritto di ottenere una giustizia piena, equa, nonché un affronto all’aspettativa di non veder minimizzato il valore di una vita persa o di una violenza subita.
Quale riconoscimento lo Stato elargisce a queste vittime? Quale peso si assegna a reati così gravi? Quali garanzie si offrono ai familiari e ai figli delle vittime di femminicidio, alle sopravvissute che denunciano, che trovano il coraggio di intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza? Quali prospettive ci possono essere, che messaggio si sta dando se questi reati vengono quantificati in cifre così irrisorie? Non capiamo la ratio di queste scelte legislative e non vogliamo pensare che si voglia realmente “risparmiare” sulla pelle delle donne. Il denaro non restituisce di certo una vita strappata, non cancella automaticamente la violenza subita, ma serve da segnale. Particolarmente rilevante perché denota l’attenzione con cui lo Stato si pone di fronte a questi atti gravissimi.
***
Per approfondire e valutare nel dettaglio la questione, ho raggiunto e intervistato telefonicamente Stefano Piziali, Responsabile Advocacy e Programmi in Italia WeWorld Onlus – Organizzazione non Governativa che da quasi vent’anni si occupa di difendere i diritti delle donne e dei bambini in Italia e nel mondo – che ha parlato di un “provvedimento che non rende giustizia alla sofferenza delle vittime e dei loro familiari”.
“Si è preferito ragionare in termini di indennizzo”.
Sappiamo che mentre il risarcimento ha la finalità di ripristinare la situazione preesistente al danno, l’indennizzo ha una mera funzione riparatoria, che non è necessariamente commisurata al pregiudizio.
“La linea del decreto conferma quella della legge 122/2016: dopo i richiami della Corte di Giustizia Europea si è messo “un cerotto per fare finta che si sia intervenuti” in materia. Purtroppo lo si è fatto con modalità che non vanno a favorire vittime e familiari, prevedendo un compenso economico subordinato alla presentazione di una documentazione dettagliata, di paletti e requisiti per poter accedere al fondo. Pesano anche i termini ristretti previsti per ricorrervi (art. 13, comma 2: “La domanda deve essere presentata nel termine di sessanta giorni dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l’autore del reato o dall’ultimo atto dell’azione esecutiva infruttuosamente esperita.” ndr). L’intento è chiarissimo, non investire più di tanto su questa legge.”
Quali sono le criticità più evidenti della normativa?
“Un elemento kafkiano” viene rilevato all’interno della legge 122 (ex art. 12 – lettera “e” ndr): “che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati”.
In pratica, se un’associazione ha fornito un supporto alle vittime o ai familiari, oppure se si è goduto di misure da parte di enti previdenziali pubblici o da parte di assicurazioni, non è più possibile adire al fondo previsto dalla legge 122/2016.
“L’obiettivo è scoraggiare chi vorrebbe richiedere l’indennizzo. La soluzione non assicura un equo e congruo compenso, è disincentivante. Si preferisce che vittime e familiari ricorrano alla macchina giudiziaria per richiedere il risarcimento in sede civile, allungando così i tempi di risoluzione.”
“È stato allargato l’ambito delle fattispecie, dei reati intenzionali violenti per cui è previsto l’indennizzo, includendo anche i reati a sfondo sessuale. Si è incrementato il fondo (che consisteva all’incirca a 20-25 milioni di euro) prevedendo 2,6 milioni di euro in più per i nuovi reati.”
Qui una relazione del 2016 sul fondo in questione.
Quali i motivi di questa scelta di estensione?
“La scelta del legislatore è sempre quella di non creare discriminazioni tra vittime, per cui si preferisce non creare categorie speciali, ma allargare l’ambito di azione di strumenti e istituti già presenti.”
“Di fatto si è preferito mettere “in lista d’attesa” le vittime o i familiari pur di ottenere un risparmio da parte dello Stato, per non incrementare il debito pubblico. Si controlla strettamente questa voce di spesa, piuttosto che altre. In questo modo lo Stato non si impegna a versare una cifra congrua.”
A cosa risponde questa normativa?
“L’impostazione del legislatore è stata sin dall’inizio errata, infatti si è intervenuti a distanza di anni dalla direttiva europea, con diverse disposizioni di legge, una serie di ”toppe correttive”. L’intervento è stato di natura finanziaria, in ottica di risparmio, anziché attuare un approccio di natura politica e sociale. Anche quando la richiesta è formalmente giusta si frappongono vari ostacoli. In questo Paese esistono numerose garanzie per chi commette i reati, ma non abbiamo una legislazione che protegge adeguatamente le vittime e i loro familiari. Pensiamo alle vittime di violenza assistita. Bisogna, infatti, ricordare che nel 65 % dei casi i bambini assistono alla violenza domestica e di questi 1 minore su 4 passa dall’essere spettatore a vittima ((elaborazione WeWorld Onlus su dati Istat, 2015). Sinora, lo Stato non ha voluto aprire una riflessione, una discussione seria in merito alla protezione e al sostegno dei soggetti a rischio, di chi assiste a situazioni di violenza, di chi vive in prima persona queste esperienze: questo scoraggia le persone dal denunciare, perché poi si corre il rischio di sostenere tutto il peso da soli, di doversi cercare l’assistenza legale e psicologica, di dover affrontare tutti gli aspetti da soli. Al di là di qualche operatore del terzo settore, è difficile trovare in altri soggetti un aiuto.”
Quali prospettive per il futuro?
“Occorre realizzare un sistema che ponga la vittima al centro di tutti gli interventi, che se ne faccia carico. Seppur lentamente, il contesto culturale sta cambiando, se pensiamo a quanto recenti siano le conquiste che hanno portato ad abrogare il delitto d’onore e a sanzionare lo stalking. Dobbiamo continuare a concentrare le nostre forze in questa direzione.
Per proteggere le vittime di violenza e i loro bambini è necessario avviare e promuovere azioni concrete e di advocacy. Noi di WeWorld Onlus siamo presenti in Italia con un programma nazionale contro la violenza sulle donne che ha nella prevenzione e nella sensibilizzazione i propri strumenti fondamentali. A queste si unisce l’intervento sul territorio che comprende: il progetto SOStegno Donna all’interno del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma, un ambiente aperto 24 ore su 24, sette giorni su sette per proteggere le donne vittime di violenza e, se necessario, anche ai loro figli e gli Spazi Donna WeWorld presenti a Napoli, a Palermo e Roma, nati con l’obiettivo di far emergere il sommerso in quartieri difficili dove molto spesso la violenza sulle donne è talmente diffusa da essere non solo giustificata ma nemmeno percepita, persino dalle donne che la subiscono. In questi spazi ci rivolgiamo alle donne e ai loro bambini, per far emergere le situazioni più difficili e dare una risposta concreta. Sono spesso questi i luoghi nei quali si può ascoltare la voce delle donne, dove il silenzio viene spezzato e la violenza viene riconosciuta da chi l’ha subita. In un anno di attività 1.000 donne vittime di violenza vengono assistite all’interno dei Pronto Soccorso e 900 negli Spazi WeWorld per le Donne, con i loro figli. ”
Cosa accadrà dopo il varo della legge 122/2016 e il decreto di agosto 2017?
“Si continuerà ad avere da una parte coloro che hanno un buon legale e un condannato solvibile, che vedranno pertanto un rimborso e dall’altra chi dovrà ricorrere alla nuova normativa e al relativo fondo di indennizzo, con le cifre previste. In alternativa si potrà continuare a ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, impugnando e facendo ricorso. Naturalmente, tutto questo avrà un costo, non solo economico (quanti potranno permetterselo?), ma soprattutto umano, che dilata i tempi della giustizia per le vittime e rinvia il momento in cui si può chiudere con le aule giudiziarie. Ma anche lo Stato dovrà sostenere i costi per sostenere la propria difesa in Europa. Se da un lato lo Stato sceglie una soluzione normativa volta al risparmio, dall’altro non potrà evitare i costi di eventuali e probabili ricorsi.”
***
P.S.
Leggendo questa recente nota del Ministero della Giustizia, devo registrare come non si sia compreso che il problema non è solo una questione di denaro a disposizione del fondo, ma di contenuti e di limitazioni presenti nella Legge 122/2016. Si rinvia a leggi successive (legge europea e di stabilità ancora da approvare) e si prende tempo, si chiede di avere pazienza che qualche soldino in più verrà elargito a mo’ di elemosina. Intanto, si sono varati un decreto e una legge che evidenziano non pochi problemi. Se poi le cifre previste dal Decreto per ciascuna tipologia di reato non cambiano, la situazione non muterà.
La legge cd. europea 2015-2016, che ha istituito il Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti, ha posto fine ad anni di inerzia dello Stato, che aveva omesso di recepire una precisa Direttiva dell’Unione europea. La legge 7 luglio 2016, n. 122, in attuazione della direttiva 2004/80/CE, ha provveduto a tal fine, stabilendo che sia integrato il “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura” – già esistente presso il Ministero dell’Interno – attraverso l’erogazione di un contributo annuale a carico dello Stato di 2,6 milioni di euro, che estende le competenze ai reati intenzionali violenti (atti sessuali con minorenni, furto con strappo, lesioni personali gravissime, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, omicidio, etc.).
Trattandosi, quindi, di una somma tutt’altro che ingente, il Ministro della Giustizia, subito dopo l’approvazione della legge e l’istituzione del Fondo, si è attivato per reperire ulteriori risorse finanziarie.
Con la legge cd. europea di prossima approvazione sarà aumentato di molto lo stanziamento, per rispondere anche alle richieste di indennizzo per fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore della legge 122/2016. L’articolo 4 dello schema di disegno di legge europea 2017 provvede, infatti, a disciplinare le fattispecie suscettibili di elargizione del predetto indennizzo, precedenti all’entrata in vigore della legge europea 2015/2016, stabilendo un termine decadenziale di centoventi giorni per la proposizione della domanda di indennizzo. In tal modo è stata prevista la copertura del Fondo anche per il periodo 2006-2015, con un onere complessivo stimato pari a 26 milioni di euro e considerando una possibile platea di 6.520 beneficiari nel decennio di riferimento.
Con la legge di stabilità per il 2017, inoltre, sempre su iniziativa del Ministro della Giustizia, è stata prevista la destinazione al Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti delle somme di denaro dovute a titolo di sanzione pecuniaria civile dal condannato in sede civile per fatti che sono stati depenalizzati con decreto legislativo n. 7 del 2016. La cifra non può essere determinata in anticipo, poiché dipende dal numero di sanzioni che verranno comminate ogni anno, ma si tratta di un canale di finanziamento stabile in grado di mettere a disposizione somme ingenti per il Fondo.
Il Ministro della Giustizia ha infine proposto ed ottenuto che, con la legge di bilancio che sarà approvata entro fine anno, sia quadruplicato l’originale stanziamento previsto per il Fondo, in modo da arrivare ad un importo complessivo di 10 milioni di euro all’anno necessari ad incrementare la misura degli indennizzi in favore delle vittime. Tra poco più di due mesi, quindi, con l’approvazione della legge di bilancio, sarà possibile rivedere il decreto di determinazione degli importi, aumentando significativamente gli indennizzi.