Un figlio è sempre buono anche se “altro”. Lo dice Luisa Velluti, che per 29 anni ha cercato la madre biologica che l’aveva rifiutata perchè frutto di una violenza. Come racconta anche Pirandello ne ”L’altro figlio” dove il protagonista però è un uomo.
Ormai il suo volto invade i social e la sua vicenda, straziante, è considerata unica. Ma in realtà di lei s’era già occupato Pirandello, quasi un secolo fa. La novella si studia normalmente a scuola, tuttavia in quest’epoca d’analfabetismo di ritorno nulla da stupirsi che non se ne ricordi nessuno.
È lei, Luisa Velluti, la reincarnazione de “L’altro figlio“. In Pirandello era un uomo, contadino, meridionale, dai tratti rozzi e bruni; oggi è una donna dalla pelle radiosa e gli occhi d’una devastante bellezza azzurra. Entrambi frutto d’uno stupro, entrambi rifiutati da una madre che pur li riconosce innocenti. Ma non c’è nulla da fare: “…Le giuro che mi sarei strappata le viscere per non mettere al mondo questo figlio! Sentivo che non me lo sarei potuto vedere tra le braccia. Al solo pensiero che avrei dovuto attaccarmelo al petto, gridavo come una pazza… Ma che posso farci, se appena lo vedo, anche da lontano, sono tutt’un tremito? È tal quale suo padre, finanche nella voce! Non sono io: il sangue si ribella!…”. Così Pirandello; e così, in un certo senso, Luisa Velluti, che come il personaggio dello scrittore siciliano non s’arrende, ed è consapevole, lucidamente consapevole del rifiuto.
E non può che aspettare. E subire persino il peso dell’avvenenza, di quell’azzurro simbolo di purezza, colore della Vergine, che alla madre evoca però il tradimento, l’orrore. Tutto è rovesciato in questa storia, tutto violato, forse per sempre. Non è infatti per nulla sicuro che la madre riesca a valicare quel muro, quell’essere lei che non è lei, quel sangue che si ribella e al contempo si cristallizza. E lo sa pure Luisa, a cui, peraltro, non va negata la speranza. L’augurio, comunque finisca la storia – e, speriamo, prima ne facciano scempio gli orridi salotti televisivi -, è che non manchi la compassione. Chi, in queste ore, tracima odio dal web, eruttando frasi sconnesse e illetterate sulla madre snaturata, umilia una seconda volta Luisa e si rende complice dell’unico, vero colpevole di questa sciagura, il convitato di pietra, il proprietario degli occhi azzurri – occhi di ghiaccio, freddi come la sua violenza -, lo stupratore. Non lo definiamo padre, colui che ha gettato il seme nel corpo d’una donna inerme con la stessa indifferenza di Onan. Volendo disperderlo, in realtà senza nemmeno pensare se non a un soddisfacimento puramente animale.
Nelle invettive verso la madre di Luisa si scorge il dramma d’un paese senza cultura, senza ragione, tenacemente ancorato alla legge della caverna, quella del patriarcato violento. Una dimensione a-storica più che preistorica, priva di consapevolezza, incapace di problematizzare. Una dimensione che perpetra, giustifica e moltiplica la violenza sulle donne come un fatto del tutto ovvio, naturale, talmente prevedibile da non venir nemmeno calcolato. Il silenzio sull’autentico responsabile scagiona quest’ultimo, tranquillizzandolo nella sua onnipotenza criminale.
Il tutto si riduce alla “madre che rinnega la figlia”, mostro senz’anima, traditrice della sua natura, anzi, vocazione. E invece, per comprendere appieno gli eventi, bastavano le poche pagine di Pirandello, autore scolastico, non esattamente un campione di femminismo ma un artista e, come tale, in grado di darci voce; e saperci leggere, prima di scrivere di noi. Le avessimo sfogliate, quelle pagine, ora si alzerebbe un urlo, sì, ma di pietà e ribellione. Ora capiremmo e ci adopereremmo, coi nostri mezzi e il nostro esempio – in famiglia, sul lavoro, tra i banchi di scuola, in politica -, affinché i diritti umani, a partire da quelli femminili, siano davvero applicati e non rimangano mere dichiarazioni d’intenti.
È vero quanto afferma la determinata Luisa: “Da quel rapporto è nato qualcosa di buono, che sono io”. Un figlio è sempre buono anche se “altro”, e non retoricamente. Di più: è buono proprio perché altro. Il sangue può ribellarsi, e tuttavia egli (o essa) è pure una storia diversa, tutta da inventare. Un figlio non è una replica, ma futuro. Gli occhi glaciali appartengono a un evento remoto. Quelli di Luisa raccontano la celestialità d’un nuovo mattino. Non sappiamo se il limite umano, ferito della madre riuscirà mai ad aprirsi a quella luce. Ma Luisa deve, assolutamente deve farlo. Già lo sta facendo, anche scontando una croce immeritata; e ogni croce, del resto, lo è. Ha però bisogno di noi, della nostra vicinanza. Non vuol leggere parole di condanna, non per la madre che ama, o da cui vorrebbe lasciarsi amare. Luisa, comunque vada, è una vittoria per la sua irruente vitalità. La fiducia ha molte strade. Diamo a lei – e sommessamente, misteriosamente, alla madre – la possibilità di percorrerle tutte.