La legislatura si sta per chiudere. Insieme ad altri provvedimenti che rischiano di non vedere l’approvazione, c’è questa riforma del rito abbreviato che potrebbe non essere più applicabile ad alcuni reati particolarmente gravi e che prevedono l’ergastolo. Per questo abbiamo pensato a questa lettera al Presidente del Senato Pietro Grasso. Pensiamo che questa correzione vada nell’interesse trasversale, generale: non va assolutamente rinviata.
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Alla cortese attenzione del Presidente del Senato Pietro Grasso
Oggetto: richiesta di accelerazione iter per revisione rito abbreviato
Egregio Presidente,
Le scriviamo questa lettera, consapevoli che siamo alle battute finali della XVII Legislatura e che vi sono diversi provvedimenti di cui viene richiesta l’approvazione. Tra questi non possiamo non sottoporre alla Sua attenzione, quello che potrebbe rispondere alle istanze e alle sollecitazioni di diversi soggetti, nonché ad interessi trasversali e diffusi tra la popolazione italiana. Il progetto di legge 4376, contenente “Modifiche all’articolo 438 del codice di procedura penale, in materia di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato”, presentato il 21 marzo 2017, è passato in prima lettura alla Camera il 28 novembre scorso ed è stato trasmesso al Senato. Con questa norma si prescrive di escludere il giudizio abbreviato, che in caso di condanna, consente di ottenere l’abbattimento di un terzo della pena, nei procedimenti connessi ad alcuni gravi delitti, quali i crimini per i quali è prevista la pena dell’ergastolo. Qualora si superasse lo scoglio del Senato, il rito abbreviato non potrà più essere applicato a reati come strage, omicidio premeditato, violenze sessuali, tratta di persone e sequestro di minori o a scopo estorsivo con morte dell’ostaggio. Questo salvo che l’imputato non subordini la richiesta “a una diversa qualificazione dei fatti o all’individuazione di un reato diverso”.
Appare evidente che la scelta del Legislatore di introdurre il rito abbreviato per snellire e velocizzare i processi, ha causato non poche distorsioni in termini di giustizia, perché si sono moltiplicati i casi in cui, proprio grazie agli sconti previsti, si sono ridotte all’osso le pene anche per reati gravi e con ricadute pesantissime. Una conseguenza del genere ha conseguentemente indebolito, agli occhi dei più, la funzione di prevenzione, di dissuasione e di difesa sociale della pena.
Qualsiasi tipo di pena chiaramente non riuscirà a riportare in vita una persona, non cancellerà una violenza subita, ma dovrebbe dare la misura di come il sistema giudiziario italiano consideri determinati crimini e reati. L’entità della pena prevista per un reato contribuisce ad attribuire il giusto peso e gravità a determinati comportamenti lesivi. Se viene meno questa caratteristica in molti potrebbero sentirsi legittimati o protetti dal sistema giudiziario, come anche dal Legislatore che consente assottigliamenti anche consistenti delle pene. La certezza della pena e il rispetto delle vittime non possono essere lesi al prezzo di snellire la macchina della giustizia.
Il suindicato progetto di legge era stato già presentato nel 2013 ma, dopo essere passato alla Camera nel luglio 2015, non ebbe accoglienza favorevole al Senato. Oggi i tempi, prima della fine della legislatura, sono assai ridotti e rischiano di interrompere l’iter di una norma che potrebbe aiutare a correggere quelle suindicate distorsioni. Per questo chiediamo che si acceleri l’iter del DDL 2989 – giunto al Senato il 30 novembre scorso ed in attesa di assegnazione alla competente Commissione – e che si trovi la soluzione più idonea e rapida per non far decadere questa proposta come già in passato. Una di queste strade potrebbe essere la valutazione dell’applicazione del regolamento del Senato relativamente all’assegnazione dei disegni di legge in commissione deliberante. Sarebbe un vero peccato chiudere i lavori del Parlamento rinviando alla nuova legislatura il riavvio dell’iter di una norma siffatta, per l’ennesima volta.
Occorre che si trovi un equilibrio che salvaguardi da un lato i diritti delle vittime e dei loro familiari e dall’altro quelli dell’imputato. Occorre che la verità sia accertata e che sia fatta giustizia piena, cosa che senza un dibattimento rischia di non accadere del tutto, come necessita oltremodo per i crimini più efferati, soprattutto nella loro considerazione sociale. Pensiamo ai femminicidi ed alle violenza sessuali, reati verso i quali è particolarmente alta la nostra attenzione. L’occupazione simbolica del Parlamento da parte delle donne lo scorso 25 novembre dovrebbe avere delle ricadute concrete, volte a sollecitare una più precisa considerazione delle loro istanze, che necessitano di un ascolto e soluzioni capaci di sanare quanto ancora non funziona adeguatamente. Nella coscienza che una conseguenza del genere spesso va a ledere profondamente le vite delle sopravvissute e il loro desiderio di giustizia, come anche incide indelebilmente le sorti dei familiari delle donne uccise di femminicidio.
Ci auguriamo che si trovi la volontà politica di concludere la legislatura con un provvedimento che possa andare in questa direzione, affinché non decada ancora una volta un tentativo di riportare un equilibrio nel sistema e non si rinvii qualcosa che potrebbe cambiare la sostanza di tanti processi e giudizi. Alla Camera si è riusciti a trovare la convergenza di più parti politiche, evidenziando in siffatto modo come il tema sia condiviso e percepito come urgente da molti. Manca il passo successivo al Senato ed è nostro più vivo auspicio che esso avvenga repentinamente, nella più sentita consapevolezza della sua impellente necessità.
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