Nel 1996 ha fondato in Mangiagalli, a Milano, il “Centro medico specialistico di assistenza per i problemi della violenza alle donne e ai minori”, noto come Soccorso Violenza Sessuale e Domestica. Si tratta di un centro antiviolenza pubblico, rivolto a tutte le vittime di violenza, di qualunque sesso e età.
Per me è Alessandra perché, da bambine e da ragazzine ,abbiamo studiato per tanti anni nella stessa scuola. E poi, sempre per me, è la mamma di Viola e di Pietro, miei stupendi allievi di tanti anni fa. Per mia figlia è la zia Alessandra in quanto zia di una sua carissima amica. Ed è pure la sua ginecologa.
Per il mondo medico é la prima donna diventata primario dopo cento anni di storia della clinica Mangiagalli di Milano, per chi ha lottato pro o contro l’aborto Alessandra Kustermann é la storica ginecologa abortista con alle spalle 30 anni di lotte per la difesa della legge sull’aborto. Per le donne che si rivolgono a lei per abortire é il medico che si preoccupa per loro a trecentosessanta gradi, accertando con attenzione e accudimento che sappiano cosa stanno facendo. Per il mondo politico é stata una candidata del centrosinistra alle primarie della Lombardia. Per le donne che hanno subito violenza é un punto di riferimento molto importante perché, oltre ad essere un’eccellente professionista è una donna di grande sensibilità, capace di donare tutta se stessa per andare incontro a chi ha bisogno del suo aiuto. Da tanti punti di vista. E ecco perché Alessandra Kustermann é tra le altre Donne Eccellenti che potete trovare qui
Nel 1996 ha fondato in Mangiagalli, a Milano, il “Centro medico specialistico di assistenza per i problemi della violenza alle donne e ai minori”, noto come Soccorso Violenza Sessuale e Domestica. Si tratta di un centro antiviolenza pubblico, rivolto a tutte le vittime di violenza, di qualunque sesso e età. Quello che lei dirige e promuove è anche un sostegno psicologico e sociale che possa dare informazioni e accoglienza. Coordina una equipe di ginecologi, medici legali, neuropsichiatri infantili, psichiatri, infermieri, ostetriche, assistenti sociali e psicologhe.
Direttore di Ginecologia e Ostetricia del Pronto Soccorso e Accettazione Ostetrico – Ginecologico, ha introdotto nella pratica clinica ginecologica in Pronto Soccorso un’organizzazione di emergenza e assistenza. Ha organizzato la Diagnosi Prenatale in collaborazione con tutti gli specialisti necessari per le consulenze alle coppie con feto affetto da patologie malformative . Ha anche creato in Mangiagalli fin dal 1987 un ambulatorio per seguire le gravidanze gemellari.
Una donna di carattere, molto decisa e nello stesso tempo molto accogliente, affettiva, empatica , capace di ascoltare e di accudire, splendida mamma diventata anche nonna molto presto.
Con lei ci siamo buttate subito nel cuore di alcune delle sue tematiche professionali e umane, per le altre avremo bisogno di un’altra intervista e la prospettiva mi fa molto piacere.
Come vivi tu, in quanto Alessandra, ogni alleanza terapeutica?
Vorrei poterti rispondere che la vivo nello stesso modo con qualunque paziente, ma non sarebbe vero. Alcune persone hanno difficoltà a fidarsi e stabilire un’alleanza terapeutica con loro diventa un’impresa complessa. Senza un reciproco riconoscimento non c’è alleanza. In questi casi impegnarsi a stabilire un legame può essere stimolante e riuscirci è gratificante. A volte invece devo ammettere la sconfitta, senza sentirmi colpevoli di non essere riuscita a trovare le parole e gli atteggiamenti giusti. D’altra parte, ho ben chiaro che stabilire un’alleanza terapeutica non è equivalente ad affermare che da quel momento il paziente aderirà alle terapie prospettate e soprattutto che, anche se aderirà, questo porterà alla sua guarigione.
*Mamma a 40 anni, un tempo ritenuto pericoloso, oggi sempre più diffuso. Cosa è cambiato oggi rispetto a ieri dal punto di vista della sicurezza?
A 40 anni le donne oggi arrivano sentendosi ancora ragazze, con un’intera vita davanti. Forse non hanno torto, dato che l’aspettativa di vita si è molto allungata. Purtroppo la biologia non si è adeguata e la fertilità decresce con l’aumentare dell’età, esattamente come in passato. Se una donna arriva a 40 anni senza patologie importanti, la gravidanza comporta solo qualche rischio aggiuntivo rispetto a una donna di 20 anni. La diagnosi prenatale può aiutarle a individuare alcune anomalie fetali, la cui probabilità aumenta all’aumentare dell’età materna (ad esempio la sindrome di Down). Le migliori condizioni di vita e i progressi della medicina, insomma, rendono possibile avere un figlio anche dopo i 40 anni.
*Come lo Stato si prende carico dei problemi di sterilità e come ti poni tu di fronte ad una coppia che non riesce ad avere figli?
La sterilità è oggi a tutti gli effetti considerata una patologia curabile, per cui la terapia è a carico dello Stato. Sentenze successive della Corte Costituzionale hanno smantellato l’impianto penalizzante della legge 40 e la fecondazione medicalmente assistita è un’opzione possibile per chi non riesce a procreare. Purtroppo le percentuali di successo delle diverse tecniche restano ancora molto al di sotto del 50 per cento. Persino il successo dell’ovulodonazione raggiunge al massimo il 50 per cento. Insomma, fare figli prima dei 30 anni continua ad essere la scelta migliore dal punto di vista del successo riproduttivo. Io lo dico alle giovani donne che incontro ma so che, per tutti i motivi che ho citato precedentemente, fare figli presto è un’opzione difficilmente affrontabile oggi.
Insomma, con gli anni ho imparato a convivere con i limiti della medicina e a sentirmi sempre meno onnipotente.
*Per quali motivo alcune donne decidono di lasciare in Mangiagalli il loro bambino appena nato?
Sono poche le donne che non possono o non riescono a riconoscere un figlio alla nascita. I motivi più frequenti sono legati a problemi socio-economici, o a gravi malformazioni del nascituro. Qualche volta sono ragazze molto giovani, talora delle bambine, vittime di abusi intrafamiliaro o di stupri da parte di estranei. Abbiamo psicologhe e assistenti sociali che le aiutano nella decisione, prospettando le possibili soluzioni alternative, e le accompagnano anche dopo, nell’elaborazione di quanto è avvenuto. Quasi tutte hanno voluto vedere il bambino dopo il parto e se ne sono separate con ambivalenza. Alcune a distanza di anni mi hanno detto che avevano ancora rimpianti.
*E tu cosa provi di fronte a questi bambini e pensando a queste mamma che si sono trovate in questa situazione estrema?
In tutti i casi che ho seguito mi ha aiutato la convinzione che, nella situazione data, la scelta di lasciare il bambino era l’unica possibile per loro in quella fase della loro vita. Il neonato ha avuto un destino migliore con una famiglia adottiva di quello che avrebbe avuto con una madre che non si sentiva in grado di accudirlo o amarlo. Persino nei casi di gravi malformazioni ci sono famiglie disponibili ad amare e aiutare questi bimbi ad avere una vita accettabile, a renderli felici. Sembra impossibile, ma ho incontrato famiglie affidatarie o adottive straordinarie, anche se devo ammettere che spesso sono persone con una forte spinta religiosa. Forse questa consapevolezza mi aiuta nel trasmettere alle donne, che decidono di non riconoscere un figlio, la certezza che quel bambino troverà sicuramente una famiglia che lo ami.
*In Italia come vengono tutelate le neomamme e come, secondo te, dovrebbero esserlo?
Purtroppo, la famiglia e le donne in particolare sono poco tutelate da un punto di vista economico, lavorativo e sociale. Conosci le statistiche demografiche sull’invecchiamento della popolazione e sulla denatalità e le conseguenze sociali di queste carenze. D’altra parte l’Italia non è un paese amico dei bambini, nonostante l’apparente diffuso amore per i piccoli. I tempi delle nostre città non tengono conto delle esigenze di chi ha figli piccoli e lavora. Le donne fanno sempre meno figli e a età più avanzate. Fare un figlio senza una sicurezza lavorativa e senza poter fare affidamento sui nonni è molto difficile. Il secondo figlio comporta ancora per molte donne la rinuncia alla propria attività lavorativa. Insomma, la maternità dovrebbe essere desiderata come un arricchimento, come un evento positivo, mentre in effetti le nostre ragazze sanno che i sacrifici loro richiesti sono più di quanto siano in grado di sopportare.
*Si sentono poco appoggiate dai partner?
Si, quando sono pronte non è detto che il loro partner lo sia, quindi rinviano ancora. Non per egoismo, secondo me, rimandano il loro desiderio di avere un figlio, ma per un sano senso di se’. Studiano oramai più dei loro coetanei uomini, si laureano di più, ma guadagnano meno a parità di mansioni. Sanno che per il tempo dedicato al lavoro di cura i loro partner italiani sono tra i peggiori nelle classifiche del mondo occidentale. Dovremmo educarli meglio questi maschi italiani, viziarli meno, responsabilizzarli di più. Che fare? Creare padri italiani più nord europei, più scuole a tempo pieno, orari di lavoro più flessibili, più aiuti economici per i giovani, lavori meno precari, un ottimismo più diffuso rispetto al futuro.
*Che differenza c’è, in questo, tra la nostra generazione e quelle attuali?
La differenza tra noi donne che siamo diventate madri tra 30 e 40 anni fa e le ragazze di oggi credo che stia nelle aspettative. La maggioranza assoluta delle donne allora non lavorava e la famiglia era vissuta come una realizzazione. Per quelle tra noi che lavoravano contava molto la sfida, sentivamo che la nostra realizzazione come donne nel lavoro non ci obbligava a rinunciare al nostro desiderio di essere madri. Il futuro non ci spaventava: i figli allora avevano una buona probabilità di guadagnare più dei loro genitori, la disoccupazione giovanile era relativamente bassa, i laureati avevano quasi la certezza di trovare un lavoro adeguato ai loro studi.
I ragazzi oggi hanno meno motivi per essere ottimisti, sono piu’ incerti, hanno meno speranza di poter costruire un futuro migliore per se’ e per i loro sempre più eventuali figli. Credo che senza un ragionevole ottimismo e senza speranza sia difficile impegnarsi nel difficile compito di educare e amare un figlio “per sempre, finché morte non ci separi”.
*Anche tu, come me, sei diventata mamma molto presto..
Si, sono stata felice di averne avuti due molto presto, avevo 22 e 25 anni quando sono nati Viola e Pietro. Li ho desiderati mentre ancora studiavo medicina e contemporaneamente facevo l’art designer per dei negozi che aprimmo con il mio ex marito, i suoi fratelli e le cognate. Ero conscia delle difficoltà di conciliare tutto, ma c’è l’ho fatta. Avevo una grande e affettuosa famiglia: io, le mie sorelle e mio fratello abbiamo avuto una straordinaria solidarietà nel crescere i nostri figli insieme. Senza questo appoggio e senza mia madre, probabilmente non c’è l’avrei fatta. I miei figli sono diventati autonomi molto presto, ma non sono scomparsi dalla mia vita. A loro si è aggiunto Francesco, che io chiamo il mio figlio per scelta, in effetti è figlio di Gianni, con cui vivo da 20 anni. Probabilmente a 40 anni non avevo esaurito il mio desiderio di maternità e Francesco mi ha reso facile amarlo, anche se ogni tanto mi rimprovera di amare di più i miei figli di sangue. Mi rendo conto che avrei potuto essere una madre migliore, ma ho fatto il possibile per esserci sempre nei momenti in cui mi chiedevano esplicitamente aiuto o quando sentivo che ne avevano bisogno. Ovviamente li amo con tenerezza e orgoglio, oggi come allora.
https://www.youtube.com/watch?v=qObM2TT0mgI
*Che tipo di mamma sei stata e sei? E come il tuo essere mamma ti ha aiutato o ti ha reso più difficili certe scelte nel tuo impegno di sostegno alle donne?
Questo dovresti chiederlo ai miei figli. I miei ricordi e i loro non coincidono
Rispetto al mio lavoro ovviamente essere stata mamma mi ha aiutato enormemente. Conosco la gioia, il dolore, la paura, i sensi di colpa e la felicità che i figli determinano. So quanta sofferenza porta con se’ un aborto spontaneo. Mi sembra di capire le donne per aver vissuto molte delle loro esperienze e per un senso di sorellanza che non si è attenuato con gli anni. Anche oggi, quando le giovani ginecologhe, che lavorano con me, mi dicono di aspettare un figlio penso subito che solo così potranno diventare del tutto empatiche con le pazienti.
*Che tipo di nonna sei? Di fronte al comportamento maschile dilagante, cosa hai insegnato ai tuoi nipoti ?
Sono una nonna poco severa, mentre sono stata una madre severa. Ho un nipote diciottenne, figlio della mia prima figlia, che ha trascorso molto tempo con me. L’ho amato moltissimo e l’ho percepito come un regalo meraviglioso che la vita mi aveva dato. È un ragazzo generoso, sensibile e affettuoso con me, ancora oggi che ha i tipici problemi dell’adolescenza. Recentemente è morta una mia cara amica e lui è arrivato all’improvviso la stessa sera ad abbracciarmi per consolarmi. Vedo mia figlia in difficoltà e capisco le sue paure, visto che ora tende a sprecare i suoi talenti, ma ho molta fiducia nel suo futuro e nella sua capacità di ritrovare i valori che abbiamo cercato di trasmettergli. Bisogna solo attendere che l’adolescenza passi e noi più vecchi sappiamo che è una malattia da cui si guarisce, quasi sempre. Eccetto i Peter Pan ( prevalentemente uomini) che non cresceranno mai e renderanno difficile la vita alle loro donne.
* E poi sei nonna anche da parte di Pietro…
Si, ho un altro nipote, figlio di mio figlio, che ha 4 anni ed è adorabile e buonissimo. Purtroppo vive a Bruxelles e lo vedo poco per avere delle abitudini con lui. Però mi riempie di tenerezza con le sue straordinarie certezze: “i bambini di 4 anni non si devono imboccare, puoi solo preparare il boccone sulla forchetta”. Oppure: “mi manca la mia mamma, ma puoi leggermi un altro libro così mi addormento meglio”. Tra pochi mesi nascerà la sua sorellina e io a questo punto vorrei tanto smettere di lavorare per godermi la loro infanzia, andando spesso a Bruxelles. Sogno di trovarmi piccole case in affitto settimanale e di vederli crescere, magari dicendo la r come gli italiani e non come i francesi
* Hai dato vita al primo Centro Antiviolenza pubblica in Italia per vittime di violenza sessuale e domestica. Che tipo di persone arrivano?
Bambini, donne e ragazze e persino qualche maschio di ogni età e di ogni ceto sociale. Persone di diverse culture, accomunate apparentemente solo dall’essere state vittime di un reato grave come la violenza sessuale o la violenza intrafamiliare. Il genere femminile è, come dimostrano tutti i dati, il più colpito. La genesi della violenza degli uomini sulle donne è riconducibile a una cultura diffusa che ancora assegna agli uomini il ruolo dominante in famiglia, nel lavoro e in politica. Le donne che non accettano questo dominio provano a ribellarsi, ma questo suscita un aumento dell’espressione della violenza da parte del partner e in loro un aumento del senso di impotenza appresa. La perdita progressiva di autostima le rende incapaci di rompere il legame con il maltrattante.
* Come far comprendere agli uomini il dolore che le donne subiscono?
Credo che il percorso che devono intraprendere gli uomini maltrattanti sia lungo e complesso. Prima di tutto devono ammettere di essere loro a sbagliare, smettere di attribuire la responsabilità delle loro esplosioni di rabbia ai comportamenti della loro partner. Esistono trattamenti criminologici e psicologici che sono in grado di interrompere l’abitudine al maltrattamento. D’altra parte se non trattati, gli uomini che maltrattano riproducono gli stessi comportamenti aggressivi anche con le successive partner. Insomma, il carcere da solo non serve a questi uomini, che si giustificano ad oltranza e colpevolizzano le donne che hanno scelto di denunciarli. Invertono i ruoli e la loro vittima per loro diviene la carnefice.
*Cosa scatta nella mente di un uomo che esercita violenza su una donna che dice di amare e di cui si sente fiero? I nostri uomini erano così?
Un uomo che esercita violenza verso la sua partner, secondo me non la ama, ma la vuole possedere, assimilare al suo ideale di perfezione, umiliare e asservire. Sono la sua personalità, il suo ego, le sue pulsioni sessuali, i suoi sogni che mette al primo posto e alla sua donna non lascia spazio, altro che come testimone del suo potere su di lei. I nostri uomini non erano maltrattanti; per questo ci hanno visto come altro da se’ e accettato per come eravamo. E quando per caso non ci amavamo più abbiamo potuto separarci senza eccessive tragedie, mantenendo intatti i ricordi positivi e cercando di perdonarci i momenti peggiori. Gli amori possono finire, ma il rispetto reciproco è alla base di ogni storia d’amore. Questo rispetto, questa fiducia nelle potenzialità dell’altro, questa generosità nel perdonare i difetti dell’altro mancano nelle storie di violenza domestica
* E nella mente di una donna che subisce violenza da un uomo che crede la ami cosa passa? Quali sono le conseguenze magari meno evidenti ma più profonde nella sua vita ?
La violenza domestica pervade pian piano la vita di queste donne, in modo ciclico. Sale la tensione, esplode con aggressioni fisiche o psichiche, segue la fase della cosiddetta luna di miele. In questa fase lui chiede scusa, promette che cambierà ma di fatto continua ad attribuire alla donna la responsabilità della crescita della tensione e dell’esplosione. La donna è sempre più disorientata e sempre più pervasa dai sensi di colpa. L’autostima progressivamente scompare. Può diventare sempre più depressa, avere attacchi di panico, adottare comportamenti autolesivi, iniziare ad abusare di alcool e droghe, tentare di suicidarsi. Può perdere il lavoro per cercare di essere sempre più adeguata al ruolo sottomesso che il partner richiede. Può accettare di isolarsi progressivamente dalla sua famiglia d’origine e dalle sue amicizie. Di fatto finisce per dipendere psicologicamente dal suo maltrattante, diviene incapace di pensare che una vita migliore sia possibile per lei e per i suoi eventuali figli, che assistono ai maltrattamenti del padre sulla madre.
La violenza contro le donne è un reato di cui le donne provano vergogna e senso di colpa..
Sembra incredibile ma l’ho sperimentato parlando con le vittime persino di violenza su strada da sconosciuti: le donne si sentono colpevoli e si vergognano. Colpevoli di non essersi difese per paura di peggiori conseguenze, colpevoli di essere tornate a casa da sole attraversando strade buie, colpevoli di aver portato il cane a spasso in un parco alle 2 del pomeriggio, colpevoli di aver aperto il portone di casa senza controllare se avevano qualcuno dietro le spalle, colpevoli di aver parlato con un amico o di aver accettato che pagasse la cena, colpevoli di essersi ubriacate in compagnia, colpevoli di aver riso mentre il partner era di cattivo umore, colpevoli di aver indossato il vestito sbagliato. Quanti esempi mi vengono in mente dopo aver ascoltato così tante storie di donne. La vergogna invece è più facile da descrivere: la violenza è un’ invasione del nostro corpo, un estremo affronto, un’umiliazione intollerabile.
Maria Goretti si è difesa fino alla morte da uno stupro e è stata santificata. Quanto deve difendersi una donna per non sentirsi in parte almeno responsabile dello stupro subito? Ecco i danni degli stereotipi.
* Quali sono gli stereotipi che spingono gli uomini a vedere l’amore come possesso ?
Ti amo e quindi sono geloso. Occhi bassi, Concettina. Se mi ami devi essere solo mia. Se mi ami devi essere sempre disponibile. Se mi ami lascerai per me tuo padre, tua madre, le tue sorelle e le tue amiche.Se mi ami sarai disposta a qualsiasi sacrificio per me. Ti amo e mi appartieni per sempre.Ti amo e tu sei la mia vita. Posso continuare ma il senso è legato comunque che solo il possesso totale può placare la paura dell’abbandono
* Partire dagli uomini o dalle donne per risolvere il problema della violenza di genere? E invertendo la tendenza cosa cambierebbe?
Se le donne non pensassero di poterli salvare, di poterli migliorare starebbero più attente a cogliere i primi segnali di maltrattamento. Se agli uomini venisse insegnato fin da piccoli a tenere a freno la rabbia non agirebbero la violenza. Insomma chi va cambiato è l’uomo maltrattante o violentatore. Le donne devono assumersi il compito di educare i loro figli a rispettare le differenze di genere e devono essere fiere della loro diversità.
*La incapacità di tollerare le differenze ha un peso determinate nella violenza di genere?
Secondo me si. Uomini e donne camminano a fianco ma sono diversi. Vergognarsi o ignorare la propria diversità non aiuta nessuno.
*E poi, perché la si chiama “tolleranza”, non è già di per sé un termine oppositivo?
Sono d’accordo che la parola tolleranza ha un’accezione negativa. Comprendere le differenze lo preferisco.
*Cosa pensi delle Quote Rosa e perché del tuo pensiero?
Le Quote Rosa sono un mezzo imperfetto per costringere gli uomini a cedere un pezzetto del loro potere alle donne. L’obbligo di avere nei consigli d’amministrazione delle donne ha funzionato in termini numerici. In politica meno, visto i trucchi che si possono mettere in atto per diminuire significativamente le donne elette. Un esempio mettere capolista in più regioni, sul proporzionale la stessa donna. Una volta eletta in una città lascia libero il posto al secondo nome in lista che, ovviamente, è uomo in tutte le altre regioni.
*Tu che sei donna come vivi tutto il dolore che incontri quotidianamente nel tuo lavoro?
In genere riesco a impegnarmi ad aiutare le donne ad uscire dal loro inferno quotidiano solo se non mi lascio travolgere dalla loro singola storia. Altrimenti rischio di essere colta dal senso di impotenza che loro stesse riescono a trasmettermi. Lavoro da più di 40 anni con le donne e so che ognuna è artefice del proprio destino, ma per qualcuna è necessario un aiuto per capire che non è obbligatorio soffrire fino alle estreme conseguenze. Il centro antiviolenza che dirigo in Mangiagalli ( Soccorso violenza sessuale e domestica-SVSeD)è composto da assistenti sociali, psicologhe, infermiere, ostetriche, ginecologhe e medici legali tutti competenti, empatici e capaci di non giudicare le donne che si rivolgono a noi. Mettere la donna al centro, per chi lavora in SVSeD, vuol dire camminare con lei verso l’uscita dalla violenza senza prevalicarla, rispettando i suoi tempi e lasciando che sia lei a accettare gli aiuti possibili.
*Come si possono educare i giovani contro il bullismo e la violenza, cosa può fare la scuola da questo punto di vista?
Insegnare ai bambini fin dalla prima infanzia la gentilezza, l’empatia, la generosità, il senso di responsabilità verso i più fragili vuol dire vaccinarli contro la possibilità che diventino bulli. L’esempio deve venire dalla famiglia e dalla cerchia amicale e parentale. Sappiamo tutti che i bambini assorbono e imitano i comportamenti degli adulti di riferimento. La scuola non può essere lasciata sola di fronte al compito di combattere il bullismo. Un bravo insegnante è in grado di effettuare una diagnosi precoce, ma non compete a lui la prevenzione primaria. La vaccinazione di cui parlavo all’inizio. Sono i genitori che devono insegnare quotidianamente ai propri figli che non si deve fare agli altri quello che non si vorrebbe fosse fatto a noi stessi.
*Come ti poni di fronte alle persone che hanno comportamenti che non condividi?
Mi lascio guidare dal mio istinto e dai miei valori. Un razzista, un nazista, un fascista, un misogino, un opportunista, un evasore fiscale, un truffatore di persone indifese, un omicida, un Femminicida, un criminale violentatore seriale, un violento maltrattante, li giudico senza rimorso. Non li odio, ma li condanno. Poi posso cercare di capirne la storia, posso concedere le attenuanti, posso sperare che trattandoli da un punto di vista psico-criminologico si redimano. Mi dispiace so che questo mio dividere il bene dal male è scorretto, che il dubbio è fondamentale, però non riesco ad essere diversamente. Per mia fortuna faccio il medico, quindi ho un obbligo morale di curare chiunque, senza discriminazioni, quindi non mi pongo il problema come invece dovrei fare se fossi un giudice.
*Il problema dal punto di vista legislativo a che punto è in Italia?
Manca una legge che imponga in qualche modo il trattamento ai maltrattanti, ai violentatori e ai pedofili. Sono disponibile a studiare come ottenere che gli aggressori accettino di essere trattati. Manca una legge che affermi che un padre che costringe i figli ad assistere alla sua violenza sulla madre compie un reato verso i figli di violenza psicologica che può determinare gravissimi danni a distanza. Bisognerebbe far sì che i processi contro i maltrattanti durino poco e che gli uomini in attesa di giudizio vengano allontanati dal domicilio coniugale in breve tempo, mettendo in atto sistemi di protezione per la donna e gli eventuali figli. Bisognerebbe avere forze dell’ordine e magistrati più diffusamente preparati a valutare le situazioni più pericolose per far sì che le donne non muoiano più di una morte annunciata.