Antonietta e le sue figlie morte per colpa di un uomo che diceva di amarla.
Lettera ad Antonietta
Ora ti prego, Antonietta, ti supplico, non cedere. Il tuo corpo ha risposto per te, col suo vigore superstite e intatto, giovane, biondo. Nel silenzio respirava, a testimoniare la volontà e la forza, anzi, la singolare stupefazione della (r)esistenza qui, su questa terra.
Abbandonata, lo eri già prima. Quando presentasti un esposto contro il criminale che ti percuoteva brutalmente davanti alle figlie. Quando ti umiliava davanti ai colleghi. Ma non era successo nulla. Come sempre. Già, la parola della donna non conta, e dovere della moglie è tenere unita la famiglia, cioè i famuli, cioè i servi. E serve, infatti, egli vi considerava: serve, oggetti da possedere, patenti di rispettabilità sociale. Persone, mai. Perché avrebbe dovuto, del resto? Era la storia. La letteratura. La politica. La religione. La stampa e, più recentemente, l’informazione digitale. Tutto, nel tempo, è cambiato, tranne il solo tassello in grado di farci davvero uscire dallo stato di barbarie: la convinzione della piena umanità delle donne.
Così tu e le tue figlie – anch’esse avevano urlato, anch’esse temevano il padre, anch’esse ignorate, irrise, obliate – siete rimaste vittime, ennesime vittime, di questa ferinità 2.0, di questo atavismo contemporaneo, sempiterno. Ennesime, mai uguali. Gli assassini si replicano e duplicano, ma ognuna di voi, di noi, è diversa. Unica.
Stavolta nemmeno i grandi media sono riusciti a giustificare il femminicida. Ci hanno provato, ci proveranno ancora, ma con sempre maggior difficoltà e, speriamo, vergogna. Non osano più parlare di raptus; non possono. L’assassino aveva infatti pianificato tutto scrupolosamente, in cinque lettere, contemplando persino le spese del funerale, la vendita della casa, la disdetta dei contratti per la fornitura del gas… e il lascito all’amante. Sì, lui poteva permettersi di tradirti e pretendere la tua incondizionata dedizione.
Nessun raptus dunque, ma una lucidità glaciale che taluni cercano ora di contrabbandare per follia. Ma il cervello del carnefice, per giunta uomo d’ordine – ritenuto idoneo al suo ruolo malgrado i ripetuti accessi di violenza – ragionava alla perfezione. Cattivo. Era semplicemente cattivo. Un delinquente freddo e spietato. Politico: i femminicidi non appartengono alla cronaca nera ma all’antropologia, alla filosofia. Teologicamente, rientrano nell’ordine del peccato perché il dominio del maschio sulla femmina non è un fatto naturale ma il frutto della malizia e della superbia.
Adesso che il tuo corpo si riaffaccia alla vita, affronti lo strazio più duro. Non hai visto le figlie accanto a te, non le rivedrai più. E lo sai.
Tanto valeva andarsene, mormorano già certe voci. Hai perso le figlie. Hai perso l’uomo che diceva di amarti. Hai perso, insomma, la tua ragion d’essere.
Vedi? Ancora una volta, la tua soggettività non è contemplata. Non “servi” più. Questa eutanasia di senso si presenta col volto della compassione. E, dietro a essa, si cela forse un’altra immagine: sempre la stessa: la “famiglia” finalmente riunita, ognuno al suo posto, il padrone e le sue famule, se non su questa terra, almeno nel sonno eterno.
Ma tu rimani, scompagna e urticante. Resti per spezzare questa gerarchia mortifera. Ci sei perché il futuro ti si prospetta durissimo. Ma qualcosa è ancor più tenace, vero e onorevole. Tu. Antonietta e basta. Antonietta che si basta. E che, per essere realmente ancora madre, saprà e dovrà proseguire il suo cammino. Col nostro aiuto – te lo dobbiamo, a ogni costo, dopo averti colpevolmente ignorata. Non ascoltare le sirene dell’inganno, vivi lo stesso. Soltanto così le figlie cui è stato spezzato il futuro saranno glorificate, soltanto così potranno nascerne altre legate principalmente al loro cuore, libere d’amare, fuggire, sbagliare, di sovvertire una Storia mutila d’umanità.
© Daniela Tuscano