ANNA CACCHERANO ha investito grandi energie e speso tanto tempo per costruire la sua carriera professionale. Un solo orpello abita la sua sobrietà – gli occhiali – un vero e proprio feticcio che, irrinunciabile nel suo look muta per le molteplici forme e i colori più svariati.
Vive a Torino e proprio di questi tempi è assorbita dalla ristrutturazione della sua nuova casa, a due passi dal centro cittadino ma al contempo protetta dal verde delle pendici della collina torinese. Ce l’ha fatta perché è caparbia, verrebbe da dire incontrandola. E in effetti ha investito grandi energie e speso tanto tempo per costruire la sua carriera professionale. Un solo orpello abita la sua sobrietà – gli occhiali – un vero e proprio feticcio che, irrinunciabile nel suo look muta per le molteplici forme e i colori più svariati. Al primo impatto sembra scontrosa, imbronciata e maldisposta ma si rivela quasi all’istante intimamente disponibile e generosa nel profondo dell’animo. Non porta mai i tacchi; lei porta scarpe comode e ama stare alla guida anche per lunghi viaggi. Si rivela a tratti romantica e partigiana all’inverosimile. Conosco molto bene la sua storia ma sarà lei a delineare il suo profilo e tracciare il suo percorso progettuale.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Provengo da una famiglia operaia, mio padre un grandissimo lavoratore e mia mamma, suo malgrado, casalinga. Diciamo che mio papà ha accolto la mia scelta con grande orgoglio, quindi mi ha dato coraggio, mamma nella sua totale e perenne negatività mi ha detto “intanto non ce la farai mai”: è nata così una sfida più con me stessa che con lei. Ho quindi iniziato il mio percorso da studentessa/lavoratrice: per cinque lunghi anni lavoravo otto ore al giorno come disegnatrice in uno studio di ingegneria e la sera frequentavo la facoltà; studiavo di notte, durante i weekend e nei periodi di vacanza. Mi sono laureata in cinque anni con il massimo dei voti … così tutti contenti… io per prima (non ne potevo più!)
Architetto o Architetta?
In questi ultimi anni abbiamo assistito alla presa di posizione di parecchie donne nel campo della politica che a mio avviso stanno vanificando anni di battaglie da parte di Donne vere, che si sono battute per legittimare la donna nelle diverse professioni. Stiamo infatti assistendo a disquisizioni di natura puramente linguistica che considero poco significative e piuttosto fuorvianti rispetto ad un argomento che è ancora di grande attualità. Comunque in linea di principio mi è indifferente.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
Bisogna capire e ascoltare, è un’arte complessa quella dell’ascolto; è difficile perché spesso le voci di quelli che hanno più cose da dire sono discrete e sottili. Ascoltare non è obbedire. Ascoltare, quindi capire, quindi progettare.
Cos’è per te la bellezza?
Come diceva Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo.”
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Credo che siamo più rispettose e con maggior capacità di ascolto nei confronti dei nostri clienti; questo si traduce in progetti nei quali emerge la capacità che abbiamo di connettere sensibilità e tecnica.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
L’affermarsi per un architetto nel nostro paese è difficile a prescindere dal genere! Si, per una donna di più!
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Ho iniziato la mia carriera lavorativa in un tempo in cui ero molto giovane, frequentando da subito i cantieri di allestimento e da subito ho imparato che per una donna è indispensabile “tirar fuori le unghie”. Questo mi ha aiutata e oggi posso dire che non ho ricordi particolari…..certo per una donna ogni cantiere richiede una fatica che va oltre il normale svolgimento di un lavoro. Anzi, ora che ci penso, un ricordo mi è rimasto: un tempo mi sentii discriminata…..all’epoca ero un giovane architetto neolaureato ed ero anche una giovanissima madre. Il lavoro che avevo da poco intrapreso mi appassionava molto ma venni talmente ostacolata da una donna che pur avendo un ruolo diverso dal mio e sicuramente un livello più alto non tollerava né la mia giovinezza, né il mio essere madre nel contempo molto appassionata e coinvolta dal mio lavoro che lasciai l’azienda.
Quale è il progetto architettonico che ti è rimasto nel cuore?
Mi occupo e mi sono sempre occupata di allestimenti, la loro temporaneità fa si che il ricordo sia legato principalmente alle persone con cui o per cui ho lavorato. In questo mi sento molto fortunata, ho dei clienti fantastici e sono ricca di bei ricordi. La mia esperienza si è sviluppata nel campo degli allestimenti, sia in merito alla progettazione, ma soprattutto nell’ambito gestionale di gruppi di lavoro complessi ed eterogenei. Il mio compito è spesso stato un vero e proprio slalom: destreggiarmi tra il pensiero del direttore, del curatore, del comitato scientifico, dello scenografo, delle maestranze con le quali ho sintetizzato e concretizzato il pensiero di tutti coloro che ci hanno preceduti. La meraviglia di lavorare in luoghi che non sempre sono semplici contenitori ma edifici storici che richiedono attenzione e rispetto per la loro storia e quindi la loro conservazione, ha rappresentato un interessante stimolo a progettare con metodo e discrezione verso “il contorno” che rappresenta lo scenario del mio mestiere. Progettare il temporaneo, collaborare con le aziende a presentare il loro prodotto all’interno di uno spazio vendita o nelle innumerevoli sedi fieristiche in tutto il mondo, è da sempre una delle attività alle quali mi sono maggiormente dedicata. Ho lavorato percorrendo un complesso processo che non può prescindere dalla conoscenza della realtà produttiva: la comprensione e le peculiarità dei prodotti da esporre fino a raggiungere il mercato di competenza. Con alcune aziende ho maturato nel tempo una conoscenza e una affinità che mi ha permesso di sentirmi a pieno titolo loro partner, di guadagnare la loro totale fiducia e di avere il piacere di lavorare CON loro e non PER loro. Ho esplorato mercati molto diversi tra loro che vanno dalla meccanica, al food, all’automotive, all’editoria, al packaging, alla gioielleria. L’eterogeneità di questo settore è ciò che ha reso divertente e affascinante il mio lavoro
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
L’architettura nella storia spesso è stato lo strumento scelto per rappresentare il potere, cosa che da molto tempo non avviene più. Oggi l’architetto, donna o uomo che sia, è considerato un professionista di serie B e i “nomi riconosciuti sono per la maggior parte maschili. La donna fa ancora fatica ad affermarsi, c’è ancora tanta strada da fare. Non ho mai rinunciato a dedicarmi alla progettazione edilizia e alla costruzione, né all’opportunità di progettare un interno. Costruire qualcosa che potenzialmente sia in grado di sopravviverci credo sia uno dei temi al quale chi fa questo mestiere inevitabilmente rivolga un pensiero. Disegnare uno spazio destinato all’abitare è, ancora una volta, un’attività che richiede studio, comprensione e conoscenza e rispetto di chi all’interno di quello spazio realizzerà il proprio scenari di vita
Che rapporto hai, nel tuo lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?
Lavorando oggi molto da sola la tecnologia per me è indispensabile per relazionarmi con l’esterno, per fare ricerca e per tenermi aggiornata riguardo al mio lavoro. Non utilizzo abitualmente i programmi di disegno: ritengo che alcuni programmi di grafica richiedano una preparazione e una professionalità specifica. Io amo disegnare a mano, mi aiuta a pensare; utilizzo con una certa moderazione i social, li considero uno strumento molto buono per mantenere delle relazioni di natura superficiale ma non mi piace l’utilizzo che ne viene fatto quale strumento di autocelebrazione.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Quando inizio un nuovo progetto ho sempre bisogno di un tempo in cui lavorare in solitudine; successivamente sviluppo il progetto con la collaborazione di giovani architetti, dapprima per preparare la presentazione al cliente e in un secondo tempo per procedere con lo sviluppo esecutivo del progetto. Amo molto lavorare con i giovani con i quali facilmente entro in sintonia, mentre ho più difficoltà con i miei coetanei.
Quale è stato il tuo approccio nella guida dello studio ?
Sono stata per anni contitolare in aziende all’interno delle quali ho sempre avuto un ruolo di responsabile dell’ufficio tecnico e della progettazione. Ho sempre cercato rapporti di scambio e di rispetto dei ruoli sia a livello professionale che individuale.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura?
Consiglierei sempre di seguire le proprie passioni a prescindere da quali siano. Se la passione è l’architettura o il design certo che lo consiglio; per me resta sempre un bellissimo mestiere.
Un oggetto di design o di architettura a cui sei particolarmente affezionata
Le terme di Vals di Peter Zumthor, terme meravigliose, connubio di acqua e roccia, con scorci di vista sulla valle e le montagne innevate.
Sul tuo tavolo non manca mai….
Matite, colori e la mia irrinunciabile agenda rigorosamente cartacea.
Una buona regola che ti sei data?
Non rimandare a domani ciò che posso fare oggi, regola che come vedi non ho applicato a questa intervista.
Il tuo working dress?
Sobrio, pratico, tendenzialmente di gusto un po’ maschile: l’abito non deve mai intralciare né condizionare i miei movimenti.
Città o campagna?
Certamente città!
Qual è il tuo rifugio?
La mia famiglia, ovvero mia figlia e mio marito…. noi tre.
Ultimo viaggio fatto?
Giordania. Ho visto luoghi incredibili, colori che per settimane ti restano dentro negli occhi, si, ma soprattutto mi sono incontrata con tutto ciò che sta intorno: la gente, i sorrisi, le emozioni
Il tuo difetto maggiore?
Ho moltissimi difetti…..Sono sempre stata permalosa e lo sono ancora, ho uno scarso senso dell’umorismo e ultimamente, mio malgrado, sono diventata molto diffidente, sentimento quest’ultimo che non fa parte della mia natura ma che mi è stato indotto da alcuni brutti incontri che ho fatto nel corso degli anni.
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
Sicuramente la tenacia e la determinazione. Sono molto spontanea e diretta; questo, che considero un pregio, si è rivelato talvolta uno svantaggio … a volte occorre un po’ di diplomazia.
Un tuo rimpianto?
Non essere andata via da questo paese quando ero più giovane; ora mi pare troppo tardi
Work in progress?
Sto preparando un micro allestimento all’interno di una convention che si terrà a Londra e anche in una piccola dimensione la parte più interessante è sempre la costruzione del progetto.