Nella politerapia, i farmaci possono interagire fra di loro, penalizzando l’effetto terapeutico o generando reazioni avverse: occorre fare attenzione.
Può capitare di assumere più farmaci contemporaneamente. Succede a tutti, almeno una volta nella vita, di dover prendere più di una medicina. Si tratta per lo più di circostanze occasionali e transitorie. Ma può anche accadere, come vedremo fra poco, che la politerapia (così è definita la contemporanea assunzione di più farmaci) configuri un quadro abituale.
In clinica, l’assunzione di più di un farmaco è frequentemente utile per ottenere l’effetto terapeutico desiderato. E’ l’obiettivo del trattamento dell’AIDS (per cui viene prescritto un cocktail di antiretrovirali) e del tumore (i chemioterapici vengono generalmente combinati fra loro), per citare due esempi paradigmatici.
Tuttavia, in qualche caso, non raro, la politerapia risulta essere sfavorevole, perché causa di reazioni avverse o di fallimento terapeutico. I medicinali interagiscono fra di loro, talvolta potenziandosi e tal’altra riducendo reciprocamente il loro effetto. Può anche capitare che due sostanze farmacologicamente attive, se prese insieme, causino effetti collaterali nuovi, diversi da quelli a loro singolarmente correlati. La tendenza è quella di sottovalutare le possibili conseguenze: in realtà, l’interazione fra farmaci è una delle principali fonti di problemi clinici.
Quando è lo stesso medico a prescrivere tutti i farmaci che prendiamo, non ci sono problemi. Ma se si tratta di dottori diversi, che si occupano di disturbi differenti o di aspetti diversi della stessa malattia, bisogna prestare attenzione. Il rischio di ricevere farmaci con eventuali interazioni aumenta con l’aumentare del numero dei medici prescrittori e, statisticamente, diminuisce, quando si fa riferimento per l’acquisto ad un’unica Farmacia.
Il fascicolo sanitario elettronico è lo strumento con il quale il cittadino può tracciare e consultare tutta la storia della propria vita sanitaria, condividendola con i professionisti per garantire un servizio più efficace ed efficiente. Questa iniziativa, che a regime sarà un valido strumento per monitorare anche questo aspetto della propria storia clinica, non è ancora attivata sull’intero territorio italiano.
I pazienti anziani sono soggetti a rischio, da questo punto di vista, perché spesso hanno malattie croniche per cui assumono farmaci in via permanente e facilmente si ammalano di altro. La probabilità che debbano prendere molti farmaci è alta e per questo necessitano di un coordinamento, normalmente rappresentato dalla figura del medico di base.
Spesso tendiamo a trascurare il fatto che anche integratori e rimedi di Fitoterapia possono dare interazioni farmacologiche, che l’abitudine all’assunzione può farci dimenticare che la pillola anticoncezionale è un farmaco e che anche numerosi cibi e persino abitudini possono inficiare una terapia o provocare l’insorgenza di effetti collaterali.
L’iperico è usato in Fitoterapia per il trattamento delle forme lievi di depressione, ma inibisce l’azione degli immunosoppressori (cioè riduce l’azione dei farmaci che proteggono le persone che hanno subito un trapianto dai rischi di rigetto), della pillola anticoncezionale (esponendo al rischio di una gravidanza indesiderata), dei digitalici usati nella terapia dello scompenso cardiaco congestizio, delle statine (medicinali che controllano la colesterolemia), di alcuni antidepressivi (come la venlafaxina) e di alcuni antiipertensivi (come i calcio-antagonisti). Ce n’è abbastanza per sconsigliarne l’uso indiscriminato.
La fenitoina, antiepilettico, ha un’azione abbastanza simile, ma in questo caso si tratta di un farmaco salvavita e, di conseguenza, la valutazione deve essere effettuata per le altre sostanze prescritte.
Fra gli integratori ed i fitoterapici più usati, il gingko biloba è una pianta i cui estratti vengono utilizzati per migliorare la microcircolazione, in particolare quella cerebrale, e quindi rallentare il declino cognitivo nell’invecchiamento. Tuttavia, la sua capacità di generare interazione (con anticoagulanti come il warfarin, con calcio-antagonisti e con antidepressivi), richiede grande attenzione.
Occhi aperti anche per il ginseng, che non dovrebbe mai essere assunto se in terapia con anticoagulanti, antidepressivi o antiepilettici.
Diffuso è l’utilizzo degli inibitori della pompa protonica (PPI), perché davvero tante sono le persone che soffrono di reflusso gastroesofageo: anche qui l’abitudine all’assunzione potrebbe far sottovalutare i rischi. I PPI, così come il fumo da sigaretta e le carni cotte alla brace, depotenziano l’efficacia di alcuni antipsicotici (clozapina, olanzapina), antidolorifici (naproxene) e della teofillina (usata nel trattamento dell’asma). Quest’ultima ha una finestra terapeutica ristretta: il dosaggio deve essere stabilito con estrema precisione ed è fra le sostanze più frequentemente causa di ricovero ospedaliero per interazione.
Alcuni antimicotici (fluconazolo) e antibiotici (claritromicina, eritromicina) ed il succo di pompelmo, aumentano il rischio di effetti collaterali delle statine, di alcuni ansiolitici (benzodiazepine) e dei calcio-antagonisti usati per abbassare la pressione arteriosa. In particolare, il succo di pompelmo interagisce con numerosi farmaci: riferite sempre al medico quali assumete, per non correre rischi.
Se miscelati prima della somministrazione (ad esempio uniti in un’unica fiala per l’iniezione), i medicinali possono dare luogo a reazioni chimiche che generano composti tossici o privi di efficacia terapeutica: per questo i farmaci non devono mai essere mescolati fra loro.
Monica Torriani è moglie, mamma di quattro ragazzi, farmacista e blogger. Si occupa di Salute e Benessere per WELLNESS4GOOD, il sito che ha fondato.