Tra novità in ambito europeo e la vita quotidiana nelle nostre città, occorre intervenire in modo strutturale su più livelli, con nuove strategie e soprattutto investimenti, che portino a una espansione del welfare pubblico, oggi ridotto all’osso o che disperde energie e risorse in bonus o interventi una tantum, per niente sistematici. Qualcosa che ci faccia superare i limiti e i pesi di anni di abitudine al fai da te.
Nel corso della seduta del 21 giugno del Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori”, gli Stati membri dell’UE “hanno raggiunto un accordo su tre fascicoli legislativi che rappresentano un elemento essenziale per costruire un’Europa sociale più forte: la revisione delle norme sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, una nuova direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare e una direttiva relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili”. Un passaggio che si inserisce nell’alveo del pilastro europeo dei diritti sociali.
Marianne Thyssen, Commissaria responsabile per l’Occupazione, gli affari sociali, le competenze e la mobilità dei lavoratori, ha commentato:
“Oltre a confermare ufficialmente l’accordo sulle norme relative al distacco dei lavoratori, che garantisce la parità di retribuzione per uno stesso lavoro svolto nel medesimo luogo, il Consiglio ha raggiunto un accordo sulla revisione delle norme relative al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, che garantirà maggiore equità e chiarezza per i lavoratori mobili e le autorità degli Stati membri. Per quanto riguarda la direttiva su condizioni trasparenti e prevedibili, avevo sostenuto un approccio più ambizioso. Con la nostra proposta volevamo far sì che tutti i lavoratori, in un mondo del lavoro in rapida evoluzione, godessero dei diritti fondamentali. L’accordo di oggi può rappresentare solo un primo passo; in occasione dei prossimi negoziati con il Parlamento europeo mi adopererò per raggiungere un compromesso equilibrato. Lo stesso vale per la questione dell’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, un ambito in cui spero potremo veramente cambiare le cose per le numerose coppie e famiglie che affrontano quotidianamente la sfida di conciliare lavoro e vita familiare.”
La proposta di direttiva sull’equilibrio tra l’attività professionale e la vita familiare è volta a un approccio più equilibrato per promuovere e rendere realmente più agevoli le scelte dei genitori e dei prestatori di assistenza su come vogliono conciliare lavoro e vita familiare. L’augurio di Věra Jourová, Commissaria responsabile per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, è che il Parlamento europeo e il Consiglio portino avanti questa importante proposta e raggiungano un compromesso che permetta di offrire miglioramenti concreti, insieme a una soluzione al problema della sottorappresentanza delle donne nel mercato del lavoro.
CONTESTO
Il 26 aprile 2017 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. Tale documento, che rappresenta uno dei principali obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali, “stabilisce una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per i prestatori di assistenza; fa seguito al ritiro, nel 2015, della proposta della Commissione di rivedere la direttiva 92/85/CEE sul congedo di maternità e adotta una prospettiva più ampia per migliorare la vita dei genitori e dei prestatori di assistenza che lavorano.”
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Anche la proposta di una nuova direttiva per condizioni di lavoro più trasparenti e prevedibili in tutta l’UE, adottata il 21 dicembre 2017, fa parte del disegno contenuto nel pilastro europeo dei diritti sociali. “La proposta integra e aggiorna gli obblighi vigenti di informare ogni lavoratore in merito alle sue condizioni di lavoro e introduce nuove norme minime per garantire che tutti i lavoratori, inclusi quelli che hanno contratti atipici, beneficino di maggiore prevedibilità e chiarezza per quanto riguarda le condizioni di lavoro. La proposta aggiorna e sostituisce la direttiva sulle dichiarazioni scritte (91/533/CEE) del 1991, che non rispecchia più l’evoluzione delle realtà del mercato del lavoro, in particolare le nuove forme di lavoro sviluppatesi negli ultimi anni.”
Insomma, occorre intervenire in modo strutturale, con nuove strategie e soprattutto investimenti, che portino a una espansione del welfare pubblico oggi ridotto all’osso o che disperde energie e risorse in bonus o interventi una tantum, per niente sistematici.
Nel marasma delle discussioni, tra un “donne state a casa e fate figli” e una più diffusa indifferenza e un disinteresse generale, la genitorialità resta per lo più una questione privata, determinata da quanto si è bravi a cavarsela con il fai da te.
In un contesto in cui la partecipazione femminile al mercato del lavoro mostra tutti i suoi limiti e ritardi, come non concordare con l’analisi schietta e precisa di Loredana Taddei, responsabile nazionale Cgil delle Politiche di Genere, a proposito dei tassi occupazionali:
“Un aumento che si basa sulla bassa qualità di questa occupazione, sempre più debole e precaria. Con altissime percentuali di part-time involontario, che supera ormai il 60% e che contribuisce ad impoverire i salari delle donne, oltre che le loro pensioni future. Lo snaturamento del part-time ha finito per segregare ulteriormente il lavoro femminile: da una parte poco retribuito, dall’altra precario, a causa del dilagare dei contratti a termine.”
Per cui ci si augura che si riesca a guardare con maggior attenzione ai suggerimenti e alle analisi anche di ambito europeo, perché è anche a quel livello che si giocano i nostri diritti.
La scarsità di opportunità di lavoro, la persistente segregazione in alcuni ambiti, il gap retributivo di genere e un cospicuo ricorso al part time involontario, che hanno ricadute a lungo termine, l’abitudine a scaricare pesi e difficoltà sul welfare femminile gratuito, una parità che stenta a decollare schiacciata e appesantita da discriminazioni più o meno evidenti. E anche quando un lavoro c’è, spesso mette di fronte a rinunce e a scelte difficili, compromessi che solo noi donne ci troviamo ad affrontare. Anche perché da noi, a mancare è una cultura che consideri le questioni familiari un qualcosa da condividere e da gestire insieme, non come “affare” femminile.
Ma questo è un percorso lungo, da compiere a più livelli, con rallentamenti e persino passi indietro a osservare la 118ma posizione in classifica del Wef dell’Italia per partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Una domanda di eguaglianza, di parità di genere, di cittadinanza di genere sostanziale, che vada oltre le testimonianze sterili di solidarietà posticcia che poi non si traducono in niente, perché tanto le difficoltà quando si torna a casa sono sempre lì, intatte, nella realtà che ciascuna vive, nelle nostre città piccole o grandi, fatte soprattutto di periferie. Una domanda di condizioni di vita veramente più rispettose del nostro benessere, della nostra dignità, dei nostri diritti fondamentali. Domande che restano lì, che dipendono dalla nostra capacità, volontà di partecipazione che non sia solo passivamente al rimorchio di eventi mondani di richiamo, ma deve essere sinceramente e permanentemente al centro. Uscire dall’invisibilità è possibile solo se si crede alle donne oltre i numeri freddi delle statistiche, se si riesce a vincere la rassegnazione e la perenne difficoltà a fare la differenza, insieme, non per tornaconto personale ma per costruire davvero qualcosa. E nei volti delle donne si può scorgere quanto questo manchi e quanto incida. Lo so che ho fatto un volo pindarico dalla dimensione europea a quella di quartiere, ma a mio avviso se non si tiene tutto insieme e si è capaci di muoversi solo sporadicamente e superficialmente, i risultati stenteranno ad arrivare, perché è necessario cogliere i bisogni, le istanze delle donne, perché se non si interviene su di loro, tutti gli altri discorsi saranno parziali e fallimentari. Questo vale in ogni ambito, in cui la componente femminile viene sottaciuta, invisibilizzata, neutralizzata in un mega minestrone.
Putroppo non è una festa e non sopportiamo più chi ci suggerisce di “riderci un po’ su” e di prendere tutto con leggerezza. Facile quando i problemi sono degli altri o si scaricano su altri. Vale per tutti e tutte, il “tanto non mi riguarda” porta alla cecità. La situazione non cambia per tanti fattori, ma soprattutto perché la nostra causa è sempre strumentalizzata e messa in fondo all’agenda politica. Finora ci hanno dato solo briciole di attenzione e i risultati sono nelle nostre vite precarie, marginalizzate e in salita, a fare i conti con la forbice delle discriminazioni che si apre sempre più.
Approfondimenti sul tema
http://www.mammeonline.net/content/donne-equilibri-disequilibri-condizione-che-merita-cure-adeguate
http://www.mammeonline.net/content/destini-diritti-interconnessi-bambini-adolescenti-donne
http://www.mammeonline.net/content/quanto-valore-diamo-al-lavoro-invisibile-delle-donne
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