Huahine, l’isola dalle mille leggende e Bora Bora
Difficile non essere catturati dal fascino di Huahine non molto presente nei circuiti turistici classici. Nata da tre vulcani, in realtà è formata da due isole, unite da un ponte e percorse da poche strade.
Il suo nome significa ‘sesso femminile’ (‘Hua’ organi genitali e ‘Hine’ donna) forse perché la natura è feconda e le montagne hanno forme morbide…
Quando atterriamo Fare , capitale dell’isola, la nostra macchina a noleggio è parcheggiata fuori dall’aeroporto con le chiavi nel cruscotto e un cartello col nostro nome. La vita qui è proprio così: scorre lenta (ma questo già lo avevo scoperto nelle altre isole) e semplice, più semplice che altrove.
Fare è la più autentica tra tutte le capitali viste fino ad oggi, ed è l’unico punto trafficato (si fa per dire) dell’isola: pickup, più o meno male in arnese, percorrono l’unica strada, dissestatissima, che la attraversa. Il limite di velocità dice 30, ma comunque non si potrebbe andare più veloce. Ci sono un sacco di piccole botteghe e banchetti di frutta e verdura e anche un negozietto che vende cappelli. Si, perché qui, per andare alla funzione domenicale, le donne si vestono bene e indossano il cappello. Ci sono tante chiese sparse nell’isola, di tutte le confessioni…
La natura è verdissima, rigogliosissima, stratificata, impenetrabile, lucida… sì, perché tutte le foglie sono lucide e brillanti nel sole o lucide perché sta piovendo, ma comunque lucide e mi incantano… Il mare è un vero spettacolo con tante spiagge di sabbia corallina che rendono facile e particolarmente piacevole la balneazione.
La gente è sorridente e socievole, ci si saluta dalle macchine, quando ci si incrocia sulle strade: “Nanà” (ciao, arrivederci) e quando si entra a guardare qualcosa nei negozi e poi si esce, anche senza comprare nulla: “Mauruurù” (grazie), con una cantilena musicale e un bel sorriso.
Nel nostro giro dell’isola scopriamo anche delle trappole per pesci a forma di V, fatte con pietre. Pare siano qui da secoli e qualcuna è ancora in uso. La punta della V è rivolta verso l’oceano e i lunghi bracci verso terra. Quando, con la bassa marea, i bracci affiorano dall’acqua, i pesci restano intrappolati all’interno.
Al momento della partenza, lascio un po’ il cuore in quest’isola dove la sera è buio buio, ma proprio buio, dove la natura è -La Natura, dove la gente ti sorride, dove il mare è facile e di mille gradazioni di azzurro, dove ho consegnato i bagagli al checkin dicendo:”Mon mari est allé faire de l’essence pour la voiture” e invece di sentirmi rispondere che avrei dovuto aspettarlo per consegnare le valigie, mi è stato risposto “Mais il revient?”
Capisco come ci si possa innamorare di questo paese e chi ha scelto di vivere qui.
Sul volo per Bora Bora scegliamo i posti dalla parte sinistra dell’aereo perché sappiamo che l’arrivo, costeggiando l’isola e la laguna per atterrare all’aeroporto sul Motu Mute, sarà uno spettacolo e.. non veniamo delusi!
È facile innamorarsi di quest’isola, anche se la natura non è così rigogliosa come altrove e anche se ci sono più segni di passaggi umani dovuti al fatto che sia diventata la meta-paradiso per i viaggi di nozze e che sia presente in tutti i programmi di vacanze in Polinesia. Però a Bora Bora c’è Bora Bora, ovvero l’isola creata in modo da essere l’isola perfetta (chiedete a un bimbo di disegnare un’isola e avrà i contorni di Bora Bora) e c’è una laguna. Anzi, non una laguna, ma la laguna perfetta, quella in cui si trovano tutte le possibili gradazioni di azzurro, turchese, blu e acquamarina e dove i colori non sono mai gli stessi, perché il cielo è mutevole e le nuvole (praticamente sempre presenti sui monti Otemaru e Pahia) giocano con il mare trasformando il paesaggio un attimo dopo l’altro.
A Bora Bora il fondo marino è uno spettacolo: ho seguito le mante e le razze leopardo che ‘volavano’ in coppia e ho nuotato in mezzo a una quantità di pesci e coralli mai vista.
Ho già detto che il mare mi incanta, lo so, ma qui è diventato una sorta di gioco ipnotico, impossibile staccare gli occhi da quei colori per paura di perderne una nuova possibile sfumatura… Nonostante io abbia sempre guardato con diffidenza le moto d’acqua, qui non ho potuto esimermi dal fare un giro dell’isola in jetski. Si viene guidati attraverso la grande laguna lungo percorsi precisi, per approdare a un motu disabitato. Scivolare veloce sulle onde in questo paesaggio è stata un’esperienza impagabile
E che dire dell’Heiva? E’ una manifestazione annuale in cui le squadre si sfidano in gare di canoa (ma queste ce le siamo perse) e in altre assolutamente improbabili: dalla corsa (a piedi rigorosamente nudi) portando sulle spalle dei bilancieri fatti con i caschi di banane, alla abilità e velocità nell’intrecciare le foglie di palma per farne dei canestri, alla preparazione del “poisson cru” (pesce al latte di cocco e lime, una prelibatezza!). Divertente e colorata, l’Heiva è una sorta di ‘giochi senza frontiere’ polinesiano in cui gli abitanti dell’isola si trovano nella piazza a gareggiare o a fare il tifo.
Salutiamo Bora Bora e le Isole della Società per raggiungere Rangiroa nelle Tuamotu, ma questo sarà un altro racconto..
Rossana Piasentin, milanese di nascita ma con sangue veneto nelle vene, dopo il Liceo Scientifico si laurea in Scienze Biologiche ad indirizzo ecologico all’Università Statale di Milano e da subito si dedica con entusiasmo all’insegnamento nelle scuole superiori, attività che diventerà il suo lavoro-missione fino alla pensione. Sposata e madre di due figli maschi che ora sono adulti, scopre di avere del tempo libero. Appassionata di fotografia, cucina e viaggi, ama girare il mondo per conoscere popoli e culture diverse. Attiva anche sui social network, condivide le sue esperienze di viaggio costruendo album fotografici e filmati.