Costrette a fingersi uomini nella scienza
Agnodice, Sophie Germain, Émilie du Châtelet
Fu la prima ginecologa. Di buona famiglia ateniese, si tagliò i capelli e si travestì da uomo per studiare medicina con Erofilo, uno dei più rinomati medici dell’epoca, che insegnava ad Alessandria d’Egitto. Il travestimento fu reso necessario dal divieto di studiare medicina imposto alle donne e agli schiavi. Conclusi gli studi, rientrò ad Atene, dove diventò un’ostetrica molto ricercata. Usava mettere le pazienti a loro agio sollevando le vesti per rivelare il proprio sesso. Gelosi del suo successo, i medici la chiamarono davanti all’Areopago e la accusarono di sedurre le pazienti (cosa vietata dal giuramento d’Ippocrate, ora come allora). In tribunale lei sollevò di nuovo le vesti. Secondo la legge ateniese, per aver praticato la medicina sotto mentite spoglie, venne quindi condannata a morte. Nell’udire la notizia, numerose mogli di ateniesi illustri circondarono il tribunale e minacciarono di uccidersi contro l’esecuzione della sentenza. Ottennero non solo che Agnodice continuasse a esercitare, e finalmente in abito femminile, senza doversi più nascondere, ma che la legge venisse cambiata e che le donne nate libere potessero svolgere la professione medica, alla condizione che curassero soltanto altre donne. Così racconta Gaio Giulio Igino nelle “Fabulae”, dove afferma che quella era la prima volta che tale privilegio veniva esteso alle donne. Secondo altre fonti, invece, pare che le ginecologhe esercitassero già nel V secolo a.C. , mentre per altri storici Agnodice, cioè “casta e giusta”, sarebbe il soprannome di Fanostrata che una stele funeraria indica come ostetrica (maia) e medico (iatros).
Le donne di scienza sono sparite dai libri di storia non solo per negligenza degli storici, ma anche perché – per essere prese in considerazione – dovevano pubblicare col nome dei mariti o con uno pseudonimo maschile e perciò, spesso le loro opere venivano attribuite ai maestri. Questo fenomeno si attenuó (senza mai sparire del tutto) solo quando le ragazze ebbero accesso agli studi superiori e alle università (la prima ad aprirsi alle ragazze fu l’Ecole Polithecnique di Zurigo nel 1876). Sophie Germain, figlia di un ricco mercante di seta parigino, fu affascinata dalla matematica fin da bambina, quando a 13 anni lesse della morte di Archimede, troppo intento a cercare la soluzione di un problema geometrico per rispondere ad un gendarme romano che per rabbia lo uccise. Da allora fu colpita dalla magia del mondo dei numeri. Studiava di nascosto di notte, a lume di candela, contro la volontà dei genitori che lo ritenevano un interesse poco femminile. Negli anni, la famiglia fu costretta ad accettare la sua passione per la matematica e la fece seguire da un ottimo istitutore privato. Per accedere a studi superiori, poiché l’École Polythécnique di Parigi era preclusa alle donne, decise di assumere un’identità maschile. Con lo pseudonimo di “Antoine-Auguste Le Blanc” inizió una corrispondenza con il grande matematico Joseph Lagrange. I suoi lavori furono molto apprezzati dal professore che ne volle conoscere l’autore. Non si scandalizzò quando scoprì che era una ragazza, anzi la incoraggiò ad approfondire i suoi studi sulla nascente Teoria dei numeri e sul Teorema di Fermat, un rompicapo che ha impegnato per anni centinaia di studiosi. Sophie entrò a pieno titolo nella comunità dei matematici e trovò un altro mentore anche in Carl Gauss. La “Memoria sulle vibrazioni delle piastre elastiche” fu il suo contributo più importante alla Matematica, un lavoro ricco di brillanti intuizioni che gettò le fondamenta della moderna teoria dell’elasticità. Peccato che lo studio passò alla storia col nome di “equazione differenziale di Lagrange”, corretto solo recentemente in Lagrange-Germain. Quando la studiosa morì, sul certificato di morte non venne riconosciuta come matematica, ma solo come possidente terriera, un’altra cancellazione del suo lavoro e del suo valore.
Émilie Le Tonnelier de Breteuil,
marchesa du Châtelet (1706-1749)
Le donne intellettuali all’epoca erano poche e Émilie du Châtelet fu la prima scienziata di Francia. Soprattutto, era estremamente libera. A dispetto degli obblighi sociali, non si sottomise mai ai pregiudizi e diede prova di indipendenza, stravaganza e ambizione, contro un mondo ostile a tali pretese. Col suo metro e settantacinque di altezza, si doveva travestire da uomo per raggiungere i suoi amici matematici Mapertuis e Moreau al caffè dove gli scienziati si riunivano per discutere di filosofia. A trent’anni, lasciò Parigi, marito, figli e amanti per andare a vivere con Voltaire nel castello di Cirey, al confine con la Lorena. Dal 1733 al 1746 ne fu l’amante, la compagna e la musa. Fu la prima delle “Femmes Savantes”, tradusse i “Principia” di Newton” contribuendo a divulgare in Francia la “nuova fisica” newtoniana che soppiantò la fisica cartesiana allora in auge. Finita la relazione con Voltaire, ebbe altri amori e morì a 43 anni a causa di una gravidanza. Dopo la sua morte, Voltaire scrisse: “Non ho perduto un’amante ma la metà di me stesso. Un’anima per la quale sembrava fatta la mia”.
Testi da : Sara Sesti e Liliana Moro , “Scienziate nel tempo. 100 biografie”, Ledizioni, Milano 2018, 230 pagine, 16 euro.
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