Il racconto delle esperienze delle donne può esserci utile per impostare il lavoro che oggi occorre mettere in atto, perché non vi siano arretramenti, consapevoli che i diritti conquistati hanno bisogno di cura e di conferme costanti nel tempo.
“Attorno a me c’era una specie di combutta. Volevano difendermi da me stessa. Volevano regalarmi la vergogna, ma per me non era una vergogna, la vergogna erano loro. Io ero fiera di essere lesbica.”
Così parla Edda Billi, una ragazza che con tenacia ha attraversato anni difficili, di grandi cambiamenti, ma sempre con le idee chiare, limpide, con il coraggio della semplicità, coerente, spontanea, con naturalezza ha rivendicato i suoi diritti e il suo spazio. E questa ragazza che ha scelto di essere se stessa, semplicemente se stessa, vivendo intensamente, senza rinunciare a un solo attimo, a nessun sentimento. Nel suo racconto emergono le difficoltà, gli enormi ostacoli e pregiudizi incontrati, ma allo stesso tempo dal suo sguardo luminoso si comprende che il suo nucleo prezioso è rimasto intatto, la sua spinta a non fermarsi è lì, più solida che mai. Schietta, di una trasparenza cristallina, diretta, tanto da sentirla vicina, vicinissima al mio sentire, al mio approccio nella vita. Edda conosce la vita nelle sue pieghe di pioggia e di sole. Intenso il suo impegno, il suo crederci a fondo, la sua militanza nel movimento delle donne, ironica, dolce e autentica.
“I maschi avevano il sopravvento” e ancora oggi ne facciamo esperienza. Sceglie ragioneria, ma se ne pente; poi la ricerca di un impiego, le sfide quotidiane: “Meno male che è venuto il femminismo, che mi ha salvato.” Il suo racconto si snoda in un flusso di coscienza, di ricordi che però ci richiamano all’oggi.
Le donne del Movimento femminista romano di Via Pompeo Magno andavano anche nei mercati tra le donne, ecco lì dobbiamo tornare.
E poi lo sguardo al futuro:
“Io mi auguro e sogno un mondo senza etichette, perché un mondo senza etichette vorrebbe dire che c’è un mondo di persone, uomini e donne, persone.”
“Niente è per sempre, basta un niente per non averlo più. Noi abbiamo fatto abbastanza, ma abbiamo anche una certa età. Io continuerò finché avrò voce, ma se arrivasse un aiuto non farebbero un sol danno, ho l’impressione che le ragazze di oggi stiano in silenzio, sento troppo silenzio in giro.”
Lo so Edda, forse siamo rinchiuse in anguste dimensioni, piccole stanzette che non permettono di avere un respiro ampio, una diffusione e una pratica quotidiana, nel nostro quotidiano. Un esercizio di contorsionismi poco comprensibili. Eppure le difficoltà non sono poche, non ce la passiamo bene e come anche tu rilevi, basta un niente per perdere tutto.
Penso al fare le battaglie guardando in senso collettivo, per le donne tutte, anche quando non ci riguardano direttamente, quel saper guardare oltre i confini del proprio orizzonte personale: la legalizzazione dell’aborto è stata una di queste.
“Amo le donne dai grandi piedi, che poggiano con cura sulla terra”, ho trovato molto importante questo tuo richiamo, questa ricerca di un contatto con la terra, con le cose reali, alla ricerca di fondamenta solide che facciano da base al pensiero, all’agire. “Poggiare con cura”, e nelle tue parole ritorna spesso la “cura”, quasi un incessante tendere le azioni e l’orecchio in ascolto, operando oltre se stesse. Cura e costruzione di relazioni autentiche. Ecco, senza tanti orpelli ed elucubrazioni, si giunge all’essenziale, a ciò che dovrebbe fare da base e da guida per il lavoro delle donne. Con coraggio e concretezza, a partire da ciò che sentiamo sulla nostra pelle. Domandandoci sempre cosa avvertiamo, che sensazioni e ricadute sentiamo. Non ce ne dimentichiamo, anche se a volte mettiamo la nostra persona, il nostro ego davanti a tutto, mandando in frantumi tutto, anche le più buone intenzioni, i tentativi privi di circonvoluzioni personalistiche.
Accade quando una nostra compagna parla, si esprime e ci si comporta come se non avesse proferito parola, come se il suo contributo non avesse importanza, perché esiste qualcuna, investita o che si autoinveste, che stabilisce cosa è degno di ascolto e di considerazione e cosa no: un modo di fare molto maschile e da gerarchia machista molto diffuso.
Altrettanto diffuso è il negazionismo di chi sostiene che non esistono queste prassi da “schiacciasassi” tra donne. Forse vivo altrove, eppure a mio parere è come quando si cerca di negare che esiste una sproporzione tra le retribuzioni maschili e femminili (con tutte le conseguenze), che l’obiezione di coscienza ha di fatto svuotato la piena applicazione della legge 194, che esistono le discriminazioni nel mondo del lavoro aggravate dalla maternità, che il modello di organizzazione di lavoro è tuttora di stampo maschile ma va bene così.
Come quando ci dicono che se ce la mettiamo tutta possiamo tener tutto in equilibrio, perché siamo noi il problema, mica altri fattori. Se solo smettessimo di giudicare e di colpevolizzare saremmo a buon punto.
E di linguaggio verbale o nei fatti usato a mo’ di grimaldello per adunare e orientare le truppe ne abbiamo in abbondanza e direi che è da bandire se vogliamo progredire e andare da qualche parte. E uscire, incontrarsi, vedersi, approfondire i temi, ascoltarsi, perché poi certi meccanismi nocivi praticati da alcune donne risultano più difficili da esercitare di persona, non hanno il coraggio di metterli in scena quando si è faccia a faccia, al massimo mandano avanti le loro valvassine.
Edda incarna la forza delle donne, sorella femminista, poeta imprigionata in un corpo politico, ci piace un sacco così com’è, le sue idee, la sua energia, la sua passione contagiosa. Mano nella mano tra generazioni, mi sento orgogliosa di essere femminista, di aver incrociato il femminismo e tante compagne, proprio come Edda. Come ho detto in passato a Dale Zaccaria, queste ondate rigeneranti arrivano sempre al momento giusto e ti permettono di uscire dalle secche. Non a caso entrambe hanno il dono della poesia. Di questo sono infinitamente grata loro.
Ciò che ci trasmettono le esperienze di donne come Edda Billi a Roma e Daniela Pellegrini a Milano, è la strenue lotta al patriarcato, in tutte le sue conseguenze nocive, in tutte le sue ramificazioni, in ogni anfratto in cui si insinua e prospera ancora oggi.
È stato sempre molto difficile avere rapporti con il machismo, perché li vedevo dappertutto. Quando guardavo profondamente negli occhi un uomo, vi scorgevo una lucina “io valgo più di te”, io l’ho sempre visto.
Solo che spesso pensiamo al patriarcato come a un fantoccio del passato, un coacervo culturale superato, forse perché abbiamo disimparato a chiamare i fenomeni con il loro nome.
Di fronte alla realtà che viviamo non possiamo continuare a omettere la verità e la scia interminabile di violenze sulle donne lo dimostra. Ma a questo dobbiamo aggiungere che spesso si corre il rischio di non inquadrare il problema. La responsabilità spesso è talmente spalmata, è di tutti, ma proprio a causa di questa narrazione generalista, rischia di non essere di nessuno. Ecco ciascuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità, altrimenti sembra quasi un esercizio di retorica. Arrivare nelle case, dalle donne che hanno bisogno di aiuto è complicato. È un fattore culturale, si minimizza e si riduce a semplice conflitto. Nella cronaca si parla tuttora di follia, di raptus, di corresponsabilità delle vittime, di una rivittimizzazione delle sopravvissute. Non riusciamo a mettere a fuoco. Facciamo fatica, sembra quasi che non vogliamo vedere. Il problema è che chiedere scusa ha senso se da domani si cambia e si correggono le prassi, altrimenti se tutto resta così com’è, nessun impegno, nessuna ipotesi concreta, le donne continueranno a subire violenze e a perdere la vita, continueranno a non essere credute e magari chissà, con le nuove norme all’esame insieme al ddl Pillon, correranno il rischio di essere accusate di calunnia nel caso non fossero in grado di dimostrare le violenze domestiche.
E allora, sembrano incomprensibili alcuni veti e ostruzionismi che a volte si ergono come muri tra donne, ma non è in una lotta intestina tra donne che troveremo le soluzioni. Nella incessante e alacre opera di intralcio, che alcune donne mettono in atto, non è tanto rilevante il tentativo di far incespicare il cammino di una compagna che si compirà, quanto un danno a tutte le donne, causato alla lunga da una sistematicità di certe prassi. Guardiamoci intorno, la situazione non è rosea.
Arretriamo e il “niente” di cui parla Edda purtroppo lo tocchiamo con mano, in quel congedo di paternità obbligatorio, misura non rinnovata, nelle coperture per la legge “a tutela degli orfani da femminicidio” che andrebbe applicata, negli attacchi alla legge 194, nel lasciar correre l’opera di svuotamento dei movimenti no-choice, nel ddl Pillon e nei testi collegati, nel non voler intervenire in modo sistematico e strutturale sui problemi, nel cambio di cultura, nell’educazione, nelle misure a sostegno delle donne, nel voler sempre mettere in fila le priorità quando in realtà si dovrebbe avere uno sguardo ampio, che sia capace di non lasciare indietro niente e nessuna. Per me femminismo significa stare dalla parte delle donne, non permetterò che si perda tempo e che qualcuno ci distragga volutamente, quello è donnismo che fa il paio con il maschilismo, introiettato dalle donne. E poi si cavalcano alla meglio certi temi, ma non perché ci si crede veramente, bensì per fini strumentali, in cui si tira l’acqua al proprio mulino, tanto per far finta di tenerci. I risultati possiamo osservarli da sole. Per non tornare indietro, dipende da noi riuscire a bruciare il veleno che il patriarcato porta nelle nostre vite.
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